ORDINANZA N. 128
ANNO 2016
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Paolo GROSSI Presidente
- Giuseppe FRIGO Giudice
- Alessandro CRISCUOLO ”
- Giorgio LATTANZI ”
- Aldo CAROSI ”
- Marta CARTABIA ”
- Mario Rosario MORELLI ”
- Giancarlo CORAGGIO ”
- Giuliano AMATO ”
- Silvana SCIARRA ”
- Daria de PRETIS ”
- Nicolò ZANON ”
- Franco MODUGNO ”
- Augusto Antonio BARBERA ”
- Giulio PROSPERETTI ”
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 119, ultima parte, del decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia – Testo A), promosso dal Tribunale amministrativo regionale per la Calabria, sezione staccata di Reggio Calabria, nel procedimento vertente tra Associazione “Dacci una Zampa – Onlus” e il Comune di Reggio Calabria ed altra, con ordinanza del 14 maggio 2015, iscritta al n. 194 del registro ordinanze 2015 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 40, prima serie speciale, dell’anno 2015.
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 6 aprile 2016 il Giudice relatore Franco Modugno.
Ritenuto che, con ordinanza emessa il 14 maggio 2015, il Tribunale amministrativo regionale per la Calabria, sezione staccata di Reggio Calabria, ha sollevato, in riferimento agli artt. 2, 3 e 24 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 119, ultima parte, (ovvero, limitatamente alle parole «e non esercitano attività economica») del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia – Testo A);
che il giudice a quo premette che la Commissione per il patrocinio a spese dello Stato, costituita presso il medesimo TAR, aveva rigettato, con provvedimento del 16 dicembre 2014, la richiesta di ammissione al patrocinio a spese dello Stato avanzata dall’Associazione “Dacci Una Zampa – Onlus”, la quale aveva instaurato un giudizio dinnanzi a quella giurisdizione amministrativa, sul presupposto che difettasse «il requisito previsto dall’art. 119 del d.P.R. n. 115/2002 inerente il non esercizio dell’attività economica»;
che l’interessata aveva conseguentemente proposto dinnanzi al Tribunale rimettente, ai sensi dell’art. 126, comma 3, del d.P.R. n. 115 del 2002, istanza di ammissione al beneficio, lamentando l’erroneità del precedente diniego;
che la predetta Associazione aveva in quella sede evidenziato, per un verso, di essere, secondo previsione statutaria, associazione di volontariato senza fini di lucro e, per altro verso, di non aver mai esercitato attività economica, come comprovato dall’assenza di corrispettivo per i servizi e le attività espletate, nonché dal rendiconto per l’anno 2013, nel quale si era dichiarato un patrimonio pari a zero;
che il rimettente argomenta quindi, in diritto, che il citato art. 119, affinché un ente possa essere ammesso al cosiddetto gratuito patrocinio, pone la duplice condizione che l’ente non persegua fini di lucro e che esso non eserciti attività economica;
che, a parere del giudice a quo, la distinzione tra i due presupposti risulta perfettamente delineata nella corrente riflessione teorica, in quanto, mentre il metodo lucrativo di esercizio dell’attività ricorre quando le modalità di gestione tendono alla realizzazione di ricavi eccedenti i costi, il metodo economico – vale a dire: l’esercizio di attività economica – ricorre quando le predette modalità di gestione tendono alla copertura dei costi con i ricavi;
che tale significato di “attività economica” comporta tuttavia, secondo il rimettente, che esula da essa solo l’esercizio svolto «strutturalmente e necessariamente in perdita», mentre svolge comunque attività con metodo economico il soggetto che eroga servizi di utilità sociale, sebbene questi siano ispirati da un fine ideale e anche se le condizioni di mercato non consentano di remunerare i fattori produttivi, rappresentati dalle prestazioni spontanee e gratuite degli aderenti all’associazione di volontariato;
che, a parere del giudice a quo, nel caso di specie, se risulta indubbio – alla luce delle norme statutarie – che l’Associazione istante non persegue scopi di lucro, non è per contro dimostrato che essa non svolga attività economica; non risultando escluso che l’erogazione dei servizi tenda al pareggio fra costi e ricavi, sotto il profilo non tanto del corrispettivo alle prestazioni rese, pure esplicitamente escluso, quanto della previsione delle ulteriori entrate indicate nell’art. 22 dello statuto dell’Associazione stessa;
che quest’ultima, nota ancora il TAR Calabria, ha infatti depositato in giudizio un rendiconto che fa ritenere che l’attività esercitata sia idonea a raggiungere, almeno tendenzialmente, il pareggio di bilancio proprio in ragione di una dilazione dei pagamenti dovuti ai fornitori: dilazione che non avrebbe avuto ragion d’essere se fossero stati gli associati o altri donatori ad assicurare la copertura delle spese;
che, quindi, l’Associazione “Dacci Una Zampa – Onlus” non rientra fra i soggetti legittimati all’ammissione al beneficio del patrocinio a spese dello Stato, non essendovi prova dell’assenza dell’esercizio di attività economica: e ciò comporta – afferma espressamente il giudice a quo – che «non v’è spazio per scrutinare la sussistenza degli ulteriori requisiti di ammissione al gratuito patrocinio»;
che, nondimeno, il Tribunale rimettente dubita della compatibilità costituzionale dell’art. 119 del d.P.R. n. 115 del 2002, nella parte in cui, appunto, preclude l’accesso al patrocinio a spese dello Stato ad un ente non profit, che pure svolge un’attività di sicuro rilievo sociale, solo perché esercente “un’attività economica”;
che, in particolare, la disposizione impugnata violerebbe l’art. 2 Cost., che riconosce alle formazioni sociali, tra cui indubbiamente rientrano le associazioni di volontariato e gli enti non profit, la titolarità di diritti inviolabili, «garantendo alle stesse i medesimi diritti degli individui»;
che risulterebbe altresì violato l’art. 3 Cost., perché la disposizione censurata pone in essere una «grave ed ingiustificata» disparità di trattamento sotto un duplice profilo: per un verso, consentendo l’accesso al patrocinio a spese dello Stato ad una persona fisica che eserciti attività economica e non ad un ente che pure non persegua fini di lucro; per altro verso, con riferimento agli organismi di volontariato, parificando il trattamento di quelli che non esercitano attività economica e quelli che, invece, la esercitano;
che il contrasto della norma denunciata con l’art. 3 Cost. risulterebbe anche sotto il profilo della ragionevolezza, poiché mentre è ragionevole escludere dal beneficio del patrocinio a spese dello Stato gli enti che, perseguendo uno scopo di lucro, assumono istituzionalmente il rischio delle perdite, appare invece irragionevole escludere enti «che non perseguono un siffatto scopo pur esercitando attività economiche» e che peraltro risultano destinatari di numerosi interventi normativi volti a promuoverli e sostenerli;
che, inoltre, sempre in punto di irragionevolezza della disposizione censurata, il giudice a quo argomenta che ogni organizzazione stabile mira necessariamente al pareggio tra entrate ed uscite, pena la sua stessa perdurante esistenza, cosicché l’assenza dell’attività di gestione con metodo economico potrebbe riscontrarsi solo con riferimento a soggetti collettivi «caratterizzati da episodicità», risultando in tal modo esclusa dall’accesso al beneficio una moltitudine di organismi operanti nel terzo settore;
che, infine, è denunciata altresì la violazione dell’art. 24 Cost., perché non consentire l’accesso al patrocinio a spese dello Stato ad un ente non profit che eserciti attività economica integrerebbe lesione al diritto di azione e di difesa di cui esso è titolare;
che nel giudizio è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile o, in subordine, infondata;
che la difesa dello Stato osserva, preliminarmente, come il procedimento nell’àmbito del quale è stata sollevata la questione non costituisca un procedimento giurisdizionale, con conseguente inammissibilità della questione di legittimità costituzionale;
che, infatti, l’art. 126 del d.P.R. n. 115 del 2002 – nel prevedere che, in caso di rigetto dell’istanza di ammissione al cosiddetto gratuito patrocinio, questa può essere proposta al magistrato competente per il giudizio, il quale decide con decreto – non prevede, per tale fase, né la partecipazione dell’ufficio finanziario cui spetta la verifica della sussistenza delle condizioni reddituali per l’ammissione al beneficio, né quella del Ministro della giustizia, che è l’organo «tenuto a sopportare l’onere economico derivante dall’ammissione al gratuito patrocinio»;
che, oltre al profilo dell’assenza del contraddittorio, contro la natura giurisdizionale del procedimento deporrebbe, altresì, la revocabilità del provvedimento di ammissione al beneficio da parte dell’ufficio finanziario per il caso di sopravvenuta carenza dei presupposti per la sua concessione;
che in ogni caso la censura relativa all’asserita violazione dell’art. 2 Cost. risulterebbe comunque inammissibile, non essendo stato specificato il vulnus recato dalla disposizione denunciata al suddetto parametro costituzionale;
che, con riferimento alla asserita violazione dell’art. 3 Cost., la questione sollevata, in generale, impingerebbe in spazi riservati alla discrezionalità del legislatore, risultando sotto tale profilo inammissibile, e, nel merito, risulterebbe comunque infondata;
che, infatti, quanto ai dedotti profili di disparità di trattamento rispetto alle persone fisiche che svolgono attività economica, la difesa statale osserva come tale comparazione sia invero istituita tra situazioni non omogenee, sicché proprio la differenza tra di esse giustifica la scelta legislativa, risultando la situazione di carenza di adeguate fonti di reddito per agire o resistere in giudizio emendabile, nel caso di persona fisica, solo con l’intervento di sostegno dello Stato con il beneficio in questione, laddove, per gli enti o associazioni che svolgono attività economica, invece, è ragionevole che a provvedervi siano i soggetti che hanno costituito o che partecipano all’ente attraverso il ricorso ai propri mezzi finanziari;
che questa prospettiva, inoltre, sarebbe pienamente avallata anche dalla giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione europea (di cui viene citata la sentenza della seconda sezione, 22 dicembre 2010, in causa C-279/09, DEB Deutsche Energiehandels- und Beratungsgesellschaft mbH contro Bundesrepublik Deutschland) in tema di compatibilità di normativa nazionale in materia di gratuito patrocinio con l’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, firmata a Nizza il 7 dicembre 2000, adottata il 12 dicembre 2007 a Strasburgo.
Considerato che il Tribunale amministrativo regionale per la Calabria, sezione staccata di Reggio Calabria, dubita della legittimità costituzionale dell’art. 119 del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia – Testo A), nella parte in cui stabilisce che gli enti e le associazioni, al fine di poter conseguire il beneficio del patrocinio a spese dello Stato nel processo civile, amministrativo contabile e tributario, non debbano esercitare “attività economica”;
che, secondo il giudice a quo, la disposizione censurata vìola: a) l’art. 2 Cost., poiché non garantirebbe alle associazioni di volontariato e agli enti non profit, che sono indubbiamente formazioni sociali, la titolarità dei medesimi diritti inviolabili degli individui; b) l’art. 3 Cost., poiché determinerebbe una «grave ed ingiustificata» disparità di trattamento consentendo l’accesso al patrocinio a spese dello Stato ad una persona fisica che eserciti attività economica e non ad un ente, nonché, sotto diverso ma finitimo profilo, perché tale accesso è consentito agli organismi di volontariato che non esercitano attività economica e non a quelli che invece la esercitano; c) l’art. 3 Cost. anche sotto il profilo della ragionevolezza, poiché sarebbe irragionevole escludere dal beneficio enti che non perseguono scopo di lucro pur esercitando attività economica e che inoltre risultano destinatari di numerosi interventi normativi volti a promuoverli e sostenerli; d) l’art. 3 Cost., ancora sotto il profilo della ragionevolezza, perché ogni organizzazione stabile mira necessariamente al pareggio tra entrate ed uscite, pena la sua stessa perdurante esistenza, cosicché la richiesta assenza di attività di gestione con metodo economico escluderebbe dall’accesso al patrocinio a spese dello Stato una moltitudine di organismi operanti nel terzo settore; e) l’art. 24 Cost., perché non consentire l’accesso a tale beneficio ad un ente non profit che eserciti attività economica integrerebbe lesione del diritto di azione e di difesa di cui esso è titolare;
che, preliminarmente, non è fondata l’eccezione di inammissibilità avanzata dal Presidente del Consiglio dei ministri circa la natura non giurisdizionale del procedimento a quo;
che, infatti, questa Corte ha esplicitamente affermato che «nel decidere se spetti il patrocinio a spese dello Stato, il giudice esercita appieno una funzione giurisdizionale avente ad oggetto l’accertamento della sussistenza di un diritto, peraltro dotato di fondamento costituzionale, sicché i provvedimenti nei quali si esprime tale funzione hanno il regime proprio degli atti di giurisdizione, revocabili dal giudice nei limiti e sui presupposti espressamente previsti, e rimuovibili, negli altri casi, solo attraverso gli strumenti di impugnazione, che nella specie sono quelli previsti dalla legge che istituisce il patrocinio a spese dello Stato» (ordinanza n. 144 del 1999);
che, successivamente, questa Corte ha più volte implicitamente confermato tale principio scrutinando questioni sul patrocinio a spese dello Stato sempre maturate nel medesimo contesto procedimentale (da ultimo, sentenze n. 237 e n. 192 del 2015) e che, inoltre, esso appare ripreso e pacificamente affermato anche dalla giurisprudenza di legittimità, pure nella sua massima espressione (Corte di cassazione, sezioni unite penali, sentenza 14 luglio - 10 settembre 2004, n. 36168);
che, tuttavia, la questione di legittimità è per altra ragione manifestamente inammissibile;
che, invero, come si evidenzia nella stessa ordinanza di rimessione, affinché un’associazione possa essere ammessa al beneficio del patrocinio a spese dello Stato, non è sufficiente la duplice condizione negativa dell’assenza dello scopo di lucro e dell’esercizio dell’“attività economica”, ma risulta necessaria anche la concomitante sussistenza delle «ulteriori condizioni previste dalla legge, ovvero il rispetto dei limiti reddituali e la non manifesta infondatezza della pretesa»;
che, dunque, il rimettente dimostra piena consapevolezza della circostanza che la norma impugnata, estendendo espressamente il «trattamento previsto per il cittadino italiano» in materia di patrocinio a spese dello Stato ad altre categorie soggettive – quali lo straniero regolarmente soggiornante sul territorio ed, appunto, gli enti o associazioni che non perseguono scopi di lucro e non esercitano attività economica – subordina l’ammissione al beneficio innanzitutto alla sussistenza dei presupposti di carattere generale, sanciti precisamente per la categoria soggettiva di riferimento del cittadino italiano, cui si aggiungono quelli, specifici, riferibili ai soli enti o associazioni (o allo straniero);
che detti presupposti di carattere generale sono rappresentati dal generale limite di reddito – indistintamente riferibile a tutti i soggetti che, in qualunque tipo di processo, intendano essere ammessi al beneficio – nonché dalla non manifesta infondatezza della pretesa che si intende far valere (artt. 76 e 122 del d.P.R. n. 115 del 2002);
che, nella specie, il rimettente ha omesso qualsivoglia motivazione in ordine alla sussistenza dei citati presupposti, essendosi limitato ad argomentare esclusivamente su quelli specificamente inerenti gli enti e le associazioni ed, anzi, espressamente assumendo che «de iure condito, in definitiva, non v’è spazio per scrutinare la sussistenza degli ulteriori requisiti di ammissione al gratuito patrocinio […] non essendovi prova dell’assenza di esercizio dell’attività economica»;
che, pertanto, il rimettente assume la rilevanza dell’incidente di legittimità costituzionale sulla base dello scrutinio solo di alcuni dei presupposti di applicazione della disposizione denunciata nel giudizio principale, ma nell’assenza di ogni delibazione in ordine alla sussistenza di altri egualmente implicati;
che, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, allorquando plurime sono le condizioni richieste dalla norma impugnata ai fini della sua stessa applicabilità, il rimettente è tenuto a delibare l’esistenza di ciascuna di esse, con le relative argomentazioni ed indicazioni nell’ordinanza di rimessione (ex plurimis, sentenze n. 97 del 2016 e n. 217 del 2010; ordinanze n. 34 del 2016, n. 317 del 2007 e n. 76 del 2006);
che, dunque, la mancata considerazione di tutti i profili inerenti la concreta applicabilità nel giudizio a quo della norma denunciata si risolve in un difetto di motivazione in ordine alla rilevanza della questione, con conseguente manifesta inammissibilità della stessa (ex multis ordinanze n. 52 del 2015 e n. 173 del 2013);
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara manifestamente inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 119, ultima parte, del decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia – Testo A), sollevata – in riferimento agli artt. 2, 3 e 24 della Costituzione – dal Tribunale amministrativo regionale per la Calabria, sezione staccata di Reggio Calabria, con l’ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 18 aprile 2016.
F.to:
Paolo GROSSI, Presidente
Franco MODUGNO, Redattore
Roberto MILANA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria l'1 giugno 2016.