ORDINANZA N. 115
ANNO 2016
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO
ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Paolo GROSSI Presidente
-
Giuseppe FRIGO Giudice
-
Alessandro CRISCUOLO ”
-
Giorgio LATTANZI ”
- Aldo CAROSI ”
- Marta CARTABIA ”
- Mario
Rosario MORELLI ”
-
Giancarlo CORAGGIO ”
-
Giuliano AMATO ”
-
Silvana SCIARRA ”
- Daria de PRETIS ”
-
Nicolò ZANON ”
- Franco MODUGNO ”
- Augusto Antonio BARBERA ”
-
Giulio PROSPERETTI ”
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale degli
artt. 15, 16, 17, 18, 19, 20 e 21 della legge
della Provincia autonoma di Trento 16 giugno 2006, n. 3 (Norme in materia di
governo dell’autonomia del Trentino), promosso dal Consiglio di Stato,
sezione quinta giurisdizionale, nel procedimento vertente tra il Comune di
Vallarsa e la Provincia autonoma di Trento e altri, con ordinanza
del 28 luglio 2014, iscritta al n. 236 del registro ordinanze 2014 e pubblicata
nella Gazzetta Ufficiale della
Repubblica n. 54, prima serie speciale, dell’anno 2014.
Visti l’atto di costituzione della Provincia autonoma di
Trento, nonché l’atto di intervento del Comun general de Fascia;
udito nell’udienza pubblica del 19 aprile 2016 il Giudice
relatore Nicolò Zanon;
uditi gli avvocati Damiano Florenzano per la Provincia
autonoma di Trento e Giandomenico Falcon per il Comun general de Fascia.
Ritenuto che, con ordinanza del 28 luglio 2014, il Consiglio
di Stato, sezione quinta giurisdizionale, ha sollevato, in riferimento agli artt. 5, 114, 118 e 128 della Costituzione
e all’art. 5 della legge
costituzionale 26 febbraio 1948, n. 5 (Statuto speciale per il Trentino-Alto
Adige), questioni di legittimità costituzionale degli artt. 15, 16, 17, 18,
19, 20 e 21 della legge della Provincia autonoma di Trento 16 giugno 2006, n. 3
(Norme in materia di governo dell’autonomia del Trentino), come successivamente
modificata;
che il giudice a quo riferisce di essere chiamato a decidere il ricorso in appello
proposto dal Comune di Vallarsa avverso la sentenza del Tribunale regionale di
giustizia amministrativa di Trento 25 settembre 2013, n. 311, che ha respinto
il ricorso – promosso dal medesimo Comune – per l’annullamento della
deliberazione della Giunta della Provincia autonoma di Trento n. 1449 del 6
luglio 2012;
che, con l’atto da ultimo citato, ha
trovato attuazione l’art. 8-bis della
«legge provinciale n. 18/2011» (rectius:
della legge della Provincia autonoma di Trento 27 dicembre 2010, n. 27, recante
«Disposizioni per la formazione del bilancio annuale 2011 e pluriennale
2011-2013 della Provincia autonoma di Trento – Legge finanziaria provinciale
2011», inserito dall’art. 4 della legge provinciale 27 dicembre 2011, n. 18,
recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale 2012 e pluriennale
2012-2014 della Provincia autonoma di Trento»), il quale obbligava i Comuni e
le unioni di Comuni con popolazione inferiore a 10.000 abitanti ad esercitare
«mediante le comunità di appartenenza» i compiti e le attività connessi ai
servizi e alle funzioni amministrative in materia di entrate, informatica,
contratti e appalti di lavori, servizi e forniture e, con progressiva
estensione, i compiti e le attività relativi al commercio;
che, secondo il rimettente, «presupposto
della controversia», la quale investe in via immediata la deliberazione della
Giunta di avvio delle gestioni associate obbligatoriamente affidate alle
comunità di appartenenza, sarebbe la costituzione stessa di tali comunità ad
opera della legge della Provincia autonoma di Trento n. 3 del 2006, in quanto,
senza la costituzione di tale ente da parte della legge da ultimo citata, la
determinazione impugnata «non avrebbe alcuna ragion d’essere»;
che, in particolare, il giudice a quo dubita della legittimità
costituzionale degli artt. 15, 16, 17, 18, 19, 20 e 21 della legge della
Provincia autonoma di Trento n. 3 del 2006 (incluso, quindi, l’art. 19 che ha
istituito il Comun general de Fascia in relazione ai Comuni in cui sono presenti
minoranze ladine, mochene e cimbre), per contrasto con gli artt. 5, 114 e 128
Cost., in quanto tali disposizioni non prevederebbero la creazione di mere
strutture operative dei Comuni, bensì l’istituzione di un nuovo ente dotato di
autonomia politica – le cosiddette comunità di valle – alle quali sarebbero
state conferite competenze in parte provinciali, in parte comunali o delle
unioni di Comuni, e i cui organi rappresentativi sono la conferenza dei
sindaci, con funzioni consultive, e l’assemblea della comunità, composta per
due quinti da componenti designati dai Comuni e per i restanti tre quinti da
componenti eletti direttamente dalla popolazione residente;
che il rimettente – richiamate le
sentenze di questa Corte n. 876 del 1988
e n. 107 del
1976, con le quali sarebbero state dichiarate costituzionalmente
illegittime leggi istitutive di «figure soggettive esponenziali di comunità
locali» diverse dagli enti elencati dall’art. 114 Cost., i cui organi erano
eletti a suffragio universale e diretto dai cittadini – ritiene che l’art. 114
Cost. sarebbe violato in quanto le disposizioni censurate prevederebbero
«un’elezione diretta, tra l’altro della parte maggioritaria dell’Assemblea» da
parte di un ente intermedio non previsto dalla Costituzione; e che gli artt. 5
e 128 Cost. sarebbero lesi in quanto «l’attribuzione ai nuovi enti, come
previsto sulla base di altre leggi provinciali, di compiti che si venivano a
sovrapporre a quelli dei Comuni o si diversificavano da quelli della Provincia,
finiva per realizzare la sottrazione di competenze agli enti territoriali di
base»;
che, dunque, secondo il rimettente, le
disposizioni evocate a parametro consentirebbero solo la creazione di strutture
di raccordo funzionale dei Comuni, così che possa restare inalterato l’assetto
delle loro competenze, mentre tale assetto sarebbe irreparabilmente
pregiudicato da un’elezione diretta della parte maggioritaria dell’assemblea
delle comunità;
che, in secondo luogo, il giudice a quo assume che le disposizioni
censurate si porrebbero in contrasto con l’art. 118 Cost., in quanto ai Comuni,
«titolari "naturali” delle funzioni amministrative a livello locale», sarebbero
state sottratte rilevanti funzioni a favore di un ente di nuova istituzione non
previsto dalla Costituzione, dallo statuto o dai decreti di attuazione di
quest’ultimo;
che, infine, sarebbe violato l’art. 5,
numero 1), della legge cost. n. 5 del 1948, come modificato dalla legge
costituzionale 10 novembre 1971, n. 1 (Modificazioni e integrazioni dello
statuto speciale per il Trentino-Alto Adige), in quanto la «drastica sottrazione
di competenze» ai Comuni spetterebbe alla Regione e non alla potestà
legislativa della Provincia;
che si è costituita in giudizio, con
atto depositato il 20 gennaio 2015, la Provincia autonoma di Trento, parte del
giudizio a quo, eccependo
l’inammissibilità delle questioni e, in subordine, chiedendone il rigetto;
che la difesa della Provincia autonoma
eccepisce, anzitutto, un «radicale» difetto di rilevanza delle sollevate
questioni di legittimità costituzionale, in quanto le disposizioni censurate
sarebbero relative alla costituzione delle comunità, mentre, nel giudizio a quo, sarebbero stati impugnati
provvedimenti di attuazione degli artt. 8 e 8-bis della legge della Provincia autonoma di Trento n. 27 del 2010,
ossia provvedimenti non imputabili alle comunità, non integranti l’esercizio di
una competenza assegnata agli organi di queste ultime, e che non hanno disposto
il trasferimento di una specifica competenza comunale in favore delle predette
comunità, né vi hanno dato applicazione;
che, pertanto, l’accoglimento delle
questioni di legittimità costituzionale proposte non inciderebbe in alcun modo
sull’esito del giudizio principale;
che secondo la difesa della Provincia
autonoma di Trento le censure proposte, nel merito, non sarebbero fondate;
che essa ritiene, in primo luogo, che la competenza
della Provincia a disciplinare la materia in oggetto troverebbe fondamento
nell’art. 8, numero 5) e seguenti, del d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670
(Approvazione del testo unico delle leggi costituzionali concernenti lo statuto
speciale per il Trentino-Alto Adige) e nelle disposizioni di attuazione
statutaria di cui all’art. 7 del d.P.R. 22 marzo 1974, n. 279 (Norme di
attuazione dello statuto speciale per la regione Trentino-Alto Adige in materia
di minime proprietà colturali, caccia e pesca, agricoltura e foreste) e di cui
all’art. 15, comma 2, del d.P.R. 19 novembre 1987, n. 526 (Estensione alla
regione Trentino-Alto Adige ed alle province autonome di Trento e Bolzano delle
disposizioni del decreto del Presidente della Repubblica 24 luglio 1977, n.
616), che assegnerebbero alla Provincia, e non alla Regione, la possibilità di
disciplinare gli «Enti associativi dei Comuni, sia pure ad appartenenza
obbligatoria», tali essendo – per la parte costituita – le comunità;
che sarebbe, pertanto, non fondata la censura
sollevata in relazione all’art. 5, numero 1), della legge cost. n. 5 del 1948,
la quale, peraltro – secondo la difesa provinciale – dovrebbe, prima ancora,
ritenersi inammissibile, in quanto tale disposizione «non esiste»;
che, in secondo luogo, la difesa della
Provincia autonoma di Trento nega che le disposizioni impugnate abbiano
modificato l’ordinamento comunale, sottraendo competenze ai Comuni, poiché la
legge provinciale n. 3 del 2006 avrebbe piuttosto trasferito ai Comuni
competenze proprie o competenze che erano state delegate ai comprensori, pur
prescrivendo che le medesime siano esercitate in forma associata mediante le
comunità, in conformità ai principi di cui all’art. 118 Cost.;
che, infatti, la stessa legge
provinciale n. 3 del 2006, all’art. 11, comma 1, avrebbe fatto salvo
l’ordinamento dei Comuni, come definito a livello regionale, stabilendo che «i
comuni esercitano la potestà amministrativa nelle materie e con riferimento
alle funzioni già loro spettanti in base alla legge regionale 4 gennaio 1993,
n. 1 (Nuovo ordinamento dei comuni della Regione Trentino-Alto Adige)»;
che, in terzo luogo, per quanto concerne
la composizione degli organi delle comunità, la difesa provinciale rileva come
le disposizioni censurate prevedano «un sistema misto», in quanto la
rappresentanza dei Comuni associati è integrata da forme di elezione diretta
nella formazione di alcuni di tali organi;
che, in particolare, in relazione alla suddetta
censura, la difesa provinciale ritiene che il giudice a quo non abbia considerato la differenza tra le disposizioni
dichiarate costituzionalmente illegittime con la sentenza n. 876 del
1988 e quelle ora in esame, poiché, mentre la legge della Provincia
autonoma di Trento, allora sottoposta allo scrutinio della Corte
costituzionale, aveva introdotto un’elezione a suffragio universale e diretto
dell’organo rappresentativo dei comprensori dei Comuni, le disposizioni
censurate nel presente giudizio prevedono, invece, un sistema misto per
l’investitura dell’assemblea delle comunità (tre quinti dei componenti eletti a
suffragio universale e diretto, due quinti nominati da ciascun consiglio
comunale del territorio);
che, pertanto, secondo la difesa della
Provincia autonoma di Trento, la previsione di alcune limitate forme di
partecipazione diretta dei cittadini alla formazione dell’organo assembleare
non potrebbe determinare ex se la
riconduzione delle comunità al novero degli enti locali dotati di «autonomia
politica», e far perdere loro la natura di enti «di secondo livello», in quanto
l’adozione di un sistema misto per la composizione dell’assemblea sarebbe
piuttosto funzionale a coniugare le esigenze di rappresentanza democratica con
quelle di valorizzazione del profilo associativo e di raccordo tra i Comuni e,
pertanto, le comunità avrebbero natura di enti associativi di Comuni, sia pure
ad appartenenza obbligatoria;
che, per le enunciate ragioni, secondo
la difesa della Provincia autonoma di Trento, le censure sollevate in relazione
agli artt. 5, 114, 118 e 128 Cost. non sarebbero fondate;
che, infine, la difesa della Provincia
autonoma di Trento rileva che, successivamente alla proposizione delle
questioni di legittimità costituzionale da parte del Consiglio di Stato, le
disposizioni censurate sono state modificate dalla legge provinciale 13
novembre 2014, n. 12, recante «Modificazioni della legge provinciale 16 giugno
2006, n. 3 (Norme in materia di governo dell’autonomia del Trentino), della
legge provinciale 15 giugno 2005, n. 7 (legge provinciale sul Consiglio delle
autonomie locali 2005), e di disposizioni connesse», la quale ha rivisto
l’organizzazione delle comunità, sopprimendo l’organo denominato assemblea e
prevedendo che i restanti organi (il consiglio, il presidente e il comitato
esecutivo) sono formati con un meccanismo di investitura di secondo grado;
che, in particolare, il consiglio,
definito «organo di indirizzo e controllo», è ora composto dal presidente e da
un numero variabile di componenti eletti, insieme al presidente, dal cosiddetto
«corpo per l’elezione degli organi della comunità», costituito da
rappresentanti eletti dai Consigli comunali (vengono citati gli artt. 15, 16,
17, 17-quater e seguenti della legge
provinciale n. 3 del 2006, come modificati dalla legge provinciale n. 12 del
2014);
che, essendo venuto meno il meccanismo
misto di investitura degli organi delle comunità, sarebbe venuta meno – secondo
la difesa della Provincia autonoma – «qualsivoglia plausibilità» delle
questioni sollevate dal giudice rimettente;
che, in data 20 gennaio 2015, ha
spiegato atto di intervento il Comun general de Fascia, motivando, anzitutto,
in ordine alla propria legittimazione ad intervenire nel giudizio di fronte
alla Corte costituzionale;
che, a tal fine, la difesa del Comun
general de Fascia osserva di essere una parte necessaria e pretermessa nel
giudizio amministrativo, atteso che la delibera impugnata nel giudizio a quo riguarderebbe tutte le comunità
allo stesso modo, mentre il ricorso sarebbe stato notificato solo ad una delle
comunità, senza che nel giudizio amministrativo sia stata ordinata
l’integrazione del contraddittorio, e rilevando, in subordine, che una delle disposizioni
censurate dal giudice a quo – l’art.
19 della legge provinciale n. 3 del 2006 – sarebbe istitutiva del Comun general
de Fascia;
che, per le ragioni esposte,
sussisterebbe un interesse qualificato alla partecipazione ad un giudizio
rivolto a travolgere sia il provvedimento amministrativo – impugnato nel
giudizio principale – dal quale deriva il concreto trasferimento delle
funzioni, sia la stessa disposizione di legge che istituisce il Comun generale
de Fascia quale organizzazione dei Comuni ladini (sono menzionate le sentenze
della Corte costituzionale n. 138 del 2010,
n. 128 del 2008,
n. 349 del 2007,
n. 279 del 2006
e l’ordinanza n.
250 del 2007);
che, secondo la difesa
dell’interveniente, le questioni sollevate sarebbero inammissibili per plurime
ragioni;
che, anzitutto, esse sarebbero
irrilevanti, poiché oggetto del giudizio principale sarebbe una delibera
attuativa dell’art. 8-bis della legge
provinciale n. 27 del 2010, mentre il giudice a quo censura norme contenute nella legge provinciale n. 3 del 2006
e, pertanto, un’eventuale decisione di accoglimento non avrebbe alcun effetto
sul giudizio principale;
che, in particolare, sarebbe
inammissibile per irrilevanza la questione di legittimità costituzionale avente
ad oggetto l’art. 19 della legge provinciale n. 3 del 2006, in quanto tale
disposizione detterebbe per il Comun general de Fascia una disciplina
specifica, diversa da quella, generale, prevista per le altre comunità, mentre
il giudice rimettente – a sostegno di tale censura – si sarebbe limitato ad
affermare che il Comun general de Fascia sarebbe analogo alle altre comunità;
che tutte le questioni sollevate
sarebbero, inoltre, inammissibili, in quanto l’ordinanza di rimessione sarebbe
stata adottata dal Consiglio di Stato in assenza di contraddittorio;
che, infine, l’interveniente chiede che
la Corte costituzionale restituisca gli atti al giudice a quo, poiché, successivamente all’ordinanza di rimessione, le
disposizioni censurate sono state modificate dalla legge provinciale n. 12 del
2014, e, in particolare, è mutato il sistema di elezione del presidente e della
assemblea delle comunità, i quali sarebbero ora organi di piena derivazione
comunale, secondo un modello largamente presente nella stessa legislazione
statale;
che, in ogni caso, le questioni
prospettate, ad avviso dell’interveniente, non sarebbero fondate;
che, in primo luogo, la competenza della
Provincia autonoma di Trento a disciplinare la materia di cui alle disposizioni
censurate si fonderebbe sullo statuto d’autonomia e sulle relative disposizioni
di attuazione (in particolare, sull’art. 7 del d.P.R. n. 279 del 1974 e
sull’art. 15, comma 2, del d.P.R. n. 526 del 1987); che la stessa Corte costituzionale,
nella sentenza
n. 876 del 1988, pur censurando l’elezione diretta degli organi dei
comprensori (ossia dei «precursori delle attuali Comunità di Valle»), avrebbe
implicitamente affermato la competenza provinciale in materia; e che, per
quanto riguarda più specificamente la disciplina del Comun general de Fascia,
essa competerebbe senz’altro alla Provincia, attenendo alla tutela delle
minoranze linguistiche di cui agli artt. 15, 19, 30, 36, 48, 62 e 98 dello
statuto d’autonomia;
che, in secondo luogo, infondate
sarebbero anche le censure relative alla modalità di formazione dell’assemblea
delle comunità, poiché l’art. 16, comma 1, della legge provinciale n. 3 del
2006 – nella formulazione a cui fa riferimento il giudice a quo – prevede che tale organo abbia una composizione mista,
intendendo il legislatore provinciale contemperare l’esigenza di una
rappresentanza dei Comuni con quella della diretta partecipazione dei cittadini
alla scelta degli organi delle comunità;
che, conseguentemente, le comunità
manterrebbero il carattere di ente rappresentativo dei Comuni associati, tale
ultima considerazione valendo, in particolare, per il Comun general de Fascia,
dal momento che l’art. 19, comma 4, lettera a),
della legge provinciale n. 3 del 2006, prevede una presenza solo eventuale di
organi rappresentativi della popolazione, spettando tale decisione,
all’unanimità, ai Comuni interessati;
che infondate sarebbero anche le censure
prospettate in relazione all’art. 118 Cost.: anzitutto, poiché tale
disposizione costituzionale sarebbe applicabile alle Regioni a statuto speciale
solo in relazione alle materie «nuove», ossia a quelle ad esse spettanti in
virtù dell’art. 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche
al titolo V della parte seconda della Costituzione), mentre il giudice a quo non avrebbe dimostrato, né
affermato, che le disposizioni censurate prevedano l’attribuzione di funzioni
comunali alle comunità in materie non statutarie; in secondo luogo, poiché,
dall’art. 2, comma 1, della stessa legge provinciale n. 3 del 2006
discenderebbe che le funzioni attribuite alle comunità non sarebbero state
sottratte ai Comuni, ma il legislatore provinciale si sarebbe limitato ad
imporre che esse siano gestite dai Comuni in forma associata;
che, in data 29 marzo 2016, la difesa
della Provincia autonoma di Trento ha presentato una memoria in cui ribadisce
le considerazioni già espresse nell’atto di costituzione;
che, in data 29 marzo 2016, la difesa
del Comun general de Fascia ha presentato una memoria, in cui approfondisce le
eccezioni di inammissibilità e gli argomenti a sostegno dell’infondatezza delle
questioni di legittimità costituzionale sollevate dal Consiglio di Stato.
Considerato che il Consiglio di Stato, sezione quinta
giurisdizionale, dubita, in riferimento agli artt. 5, 114, 118 e 128 della
Costituzione e all’art. 5 della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 5
(Statuto speciale per il Trentino-Alto Adige), della legittimità costituzionale
degli artt. 15, 16, 17, 18, 19, 20 e 21 della legge della Provincia autonoma di
Trento 16 giugno 2006, n. 3 (Norme in materia di governo dell’autonomia del
Trentino), come successivamente modificata;
che il giudice a quo ritiene violati gli artt. 5, 114 e 128 Cost. – quest’ultimo,
peraltro, notoriamente abrogato dall’art. 9 della legge costituzionale 18
ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo V della parte seconda della
Costituzione) – in quanto le disposizioni censurate, prevedendo che alcuni
organi rappresentativi delle comunità siano eletti, in larga parte, a suffragio
universale e diretto, avrebbero istituito nuovi enti dotati di autonomia
politica;
che il rimettente ritiene, altresì,
violato l’art. 118 Cost., poiché sarebbero state sottratte ai Comuni rilevanti
funzioni a favore di un ente di nuova istituzione, non previsto dalla
Costituzione, dallo statuto o dai decreti di attuazione di quest’ultimo;
che il giudice a quo ritiene, infine, violato l’art. 5, numero 1), della legge
costituzionale 26 febbraio 1948, n. 5 (Statuto speciale per il Trentino-Alto
Adige) – disposizione, peraltro, dapprima riprodotta nell’art. 5, numero 1),
del d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670 (Approvazione del testo unico delle leggi
concernenti lo Statuto speciale per il Trentino-Alto Adige) e successivamente
abrogata dall’art. 6 della legge costituzionale 23 settembre 1993, n. 2
(Modifiche ed integrazioni agli statuti speciali per la Valle d’Aosta, per la
Sardegna, per il Friuli-Venezia Giulia e per il Trentino-Alto Adige) e dal
medesimo trasfusa, con diversa formulazione, nell’art. 4, numero 3), del d.P.R.
n. 670 del 1972 – in quanto tale disposizione attribuirebbe alla Regione, e non
alla Provincia, la disciplina degli enti locali;
che, con ordinanza
dibattimentale adottata nel corso dell’udienza pubblica, allegata al presente
provvedimento, è stato dichiarato ammissibile l’intervento del Comun
general de Fascia;
che, successivamente all’ordinanza di rimessione, è entrata in vigore la legge della Provincia autonoma di Trento 13 novembre 2014, n. 12, recante «Modificazioni della legge provinciale 16 giugno 2006, n. 3 (Norme in materia di governo dell’autonomia del Trentino), della legge provinciale 15 giugno 2005, n. 7 (legge provinciale sul Consiglio delle autonomie locali 2005), e di disposizioni connesse», la quale ha modificato la legge provinciale n. 3 del 2006, innovando in profondità sia l’assetto istituzionale delle comunità, sia l’allocazione delle funzioni amministrative tra Provincia, comunità e Comuni;
che, in particolare, l’art. 12 della legge provinciale n. 12 del 2014 ha modificato il censurato art. 15 della legge provinciale n. 3 del 2006, che prevede ora un diverso assetto istituzionale delle comunità, essendo mutati il numero e la tipologia degli organi delle stesse;
che l’art. 13 della legge provinciale n. 12 del 2014, sostituendo il censurato art. 16 della legge provinciale n. 3 del 2006, non stabilisce più che il presidente e la maggioranza dell’assemblea delle comunità siano eletti a suffragio universale e diretto dai residenti nel territorio, ma disciplina ora il «consiglio» – organo che ha sostituito l’«assemblea» – nonché il numero dei suoi componenti, e le cause di incandidabilità, ineleggibilità e incompatibilità alla carica di consigliere;
che le modalità di elezione del consiglio e del presidente sono attualmente contenute nelle disposizioni di cui al nuovo Capo V-bis della legge provinciale n. 3 del 2006, introdotte dagli artt. 17, 18, 19, 20, 21, 22 e 23 della legge provinciale n. 12 del 2014;
che, in particolare, gli artt. 17-quinquies e 17-sexies, contenuti nel citato Capo V-bis, prevedono che il presidente e tutti i membri del consiglio siano eletti dal «corpo per l’elezione degli organi della comunità», composto dai rappresentanti eletti dai consigli comunali, attraverso un sistema di elezione di secondo grado;
che, in conseguenza delle citate modifiche, anche il censurato art. 17 della legge provinciale n. 3 del 2006 – che disciplinava il presidente e l’organo esecutivo delle comunità – è stato sostituito dall’art. 14 della legge provinciale n. 12 del 2014;
che, oltre ad avere inciso sulle disposizioni censurate dal giudice rimettente, la legge provinciale n. 12 del 2014 ha apportato modificazioni anche all’art. 8-bis della legge della Provincia autonoma di Trento 27 dicembre 2010, n. 27 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale 2011 e pluriennale 2011-2013 della Provincia autonoma di Trento – Legge finanziaria provinciale 2011), novellando, dunque, la disposizione cui aveva dato attuazione la deliberazione della Giunta della Provincia autonoma di Trento n. 1449 del 6 luglio 2012, oggetto di impugnazione nel giudizio principale;
che, in particolare, l’art. 39, comma 2, lettere a) e b), della legge provinciale n. 12 del 2014 ha disposto la soppressione, al comma 1 del citato art. 8-bis, delle parole «mediante le comunità di appartenenza» e delle parole «e dal presidente della comunità di riferimento», con l’effetto che l’esercizio associato delle funzioni ivi previste non deve necessariamente avvenire, da parte dei Comuni, mediante le comunità;
che, inoltre, lo stesso art. 39 della legge provinciale n. 12 del 2014, al comma 3, prevede un’abrogazione differita, tra gli altri, del comma 1 dell’art. 8-bis della legge provinciale n. 27 del 2010, così modificato, «a decorrere dalla data stabilita dal provvedimento di individuazione degli ambiti previsto dall’art. 9-bis, comma 3, della legge provinciale n. 3 del 2006»;
che, avendo la Giunta provinciale, d’intesa con il Consiglio delle autonomie locali, provveduto ad individuare tali ambiti associativi con deliberazione n. 1952 del 9 novembre 2015, il comma 1 dell’art. 8-bis della legge provinciale n. 27 del 2010 risulta ora abrogato;
che, dunque, la normativa sopravvenuta ha inciso sia sulle disposizioni censurate, sia sulla disposizione sulla base della quale era stato adottato l’atto impugnato nel giudizio principale;
che, pertanto, deve essere disposta la restituzione degli atti al giudice rimettente, al quale spetta compiere una nuova valutazione in ordine alla rilevanza e alla non manifesta infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale sollevate, alla luce del profondo mutamento del complessivo quadro normativo di riferimento.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
ordina la restituzione degli atti al Consiglio di Stato, sezione quinta giurisdizionale.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 19 aprile 2016.
F.to:
Paolo GROSSI, Presidente
Nicolò ZANON, Redattore
Roberto MILANA, Cancelliere