ORDINANZA N. 24
ANNO 2015
Commento alla decisione di
Filomena Manganiello
La discussa competenza comunale nella localizzazione delle farmacie
per g.c del Forum di Quaderni Costituzionali
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Alessandro CRISCUOLO Presidente
- Paolo Maria NAPOLITANO Giudice
- Giuseppe FRIGO ”
- Paolo GROSSI ”
- Giorgio LATTANZI ”
- Marta CARTABIA ”
- Mario Rosario MORELLI ”
- Giancarlo CORAGGIO ”
- Giuliano AMATO ”
- Silvana SCIARRA ”
- Daria de PRETIS ”
- Nicolò ZANON ”
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 2, comma 1, secondo periodo, della legge 2 aprile 1968, n. 475 (Norme concernenti il servizio farmaceutico), nel testo introdotto dalla lettera c) del comma 1 dell’art. 11 del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1 (Disposizioni urgenti per la concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e la competitività), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 24 marzo 2012, n. 27, e dell’art. 11 del medesimo decreto-legge n. 1 del 2012, promosso dal Tribunale amministrativo regionale per il Veneto nel procedimento vertente tra Paolo Marini e il Comune di Treviso, con ordinanza del 17 maggio 2013, iscritta al n. 182 del registro ordinanze 2013 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 35, prima serie speciale, dell’anno 2013.
Visti gli atti di costituzione di Marini Paolo e della Federfarma − Federazione nazionale unitaria dei titolari di farmacia italiani, nonché l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell’udienza pubblica del 10 febbraio 2015 il Giudice relatore Paolo Grossi;
uditi gli avvocati Massimo Luciani per la Federfarma − Federazione nazionale unitaria dei titolari di farmacia italiani, Bruno Riccardo Nicoloso e Laura Giordani per Paolo Marini e l’avvocato dello Stato Giuseppe Fiengo per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto che, nel corso di un giudizio promosso dal titolare di una farmacia – per ottenere l’annullamento della deliberazione della Giunta comunale di Treviso n. 134 del 18 aprile 2012, recante l’individuazione di nuove sedi farmaceutiche disponibili sul territorio comunale –, il Tribunale amministrativo regionale per il Veneto, con ordinanza emessa il 17 maggio 2013, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 2, comma 1, secondo periodo, della legge 2 aprile 1968, n. 475 (Norme concernenti il servizio farmaceutico), nel testo introdotto dalla lettera c) del comma 1 dell’art. 11 del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1 (Disposizioni urgenti per la concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e la competitività), come convertito dall’art. 1, comma 1, della legge 24 marzo 2012, n. 27 e dell’art. 11, comma 2, del medesimo decreto-legge n. 1 del 2012, per violazione degli artt. 41, 97 e 118, primo comma, della Costituzione;
che il rimettente deduce, in primo luogo, che le norme censurate – le quali, abrogando le disposizioni che prevedevano la formazione e la revisione periodica delle piante organiche comunali delle farmacie ad opera di un’autorità sovracomunale, hanno attribuito ai Comuni il compito di identificare le zone nelle quali collocare le nuove farmacie – introducono un potere regolatorio caratterizzato da un ampio margine di discrezionalità, che non può ritenersi delimitato dai parametri numerici e dagli scopi di equa distribuzione sul territorio e di garanzia di accessibilità del servizio che ne vincolano l’esercizio;
che – attribuita al Comune «la facoltà di identificare zone, ciascuna con popolazione diversa (pur nel rispetto del parametro medio di una farmacia ogni 3.300 abitanti), in modo che restino favoriti i titolari delle farmacie per le cui zone è stato previsto un maggior numero di abitanti e dunque un più ampio bacino d’utenza» – poiché la titolarità delle farmacie (anche in forma di partecipazione minoritaria a relative società di gestione) può essere stata assunta dall’ente locale (come effettivamente avviene a Treviso), il Comune stesso può essere indotto a disegnare la zonizzazione delle farmacie in modo tale da favorire quelle proprie, assicurando alle stesse un bacino d’utenza maggiore rispetto alle farmacie non comunali;
che, rispetto alla eventualità di un vero e proprio conflitto d’interessi, che viene a determinarsi in rapporto al maggiore beneficio economico a favore del Comune derivante da tale scelta, i limiti posti dal legislatore all’esercizio della discrezionalità attribuita al Comune, anche considerando i pareri non vincolanti che devono essere richiesti nel procedimento, non sono sotto tale profilo idonei ad assicurare il perseguimento del carattere di imparzialità del potere regolatorio attribuito al Comune, con conseguente violazione dell’art. 97 Cost.;
che, inoltre, il Collegio a quo ritiene che le norme medesime ledano l’art. 118, primo comma, Cost., poiché la possibilità che il Comune gestisca farmacie all’atto dell’esercizio del potere in esame, evidenzia che il livello comunale non è il livello di competenza adeguato all’esercizio del potere di zonizzazione delle farmacie;
che, infatti, il rimettente osserva che, «pur essendo il comune il livello amministrativo più vicino ai cittadini, il comune stesso può trovarsi (come nel caso di specie) in una situazione di possibile conflitto d’interessi, la cui presenza impone lo spostamento della competenza al livello superiore» proprio in applicazione del principio di sussidiarietà (sancito dall’evocato parametro), che appunto impone di valutare l’adeguatezza dell’allocazione della competenza e dunque di ponderarne i fattori ostativi rispetto ad un determinato livello di governo; e che, sul punto, non varrebbe sostenere che il Comune persegua necessariamente i fini di interesse generale della popolazione locale, poiché il settore farmaceutico è un settore caratterizzato da elevati profili di specializzazione e la legislazione prevede molteplici casi in cui, pur presentando la materia interessi territoriali di carattere generale, la competenza è allocata al livello superiore, allorquando quello inferiore possa recare pregiudizio ad un efficace perseguimento degli interessi pubblici;
che, in terzo luogo, il rimettente denuncia il contrasto delle norme impugnate con l’art. 41 Cost., in quanto l’attribuzione al Comune del potere in questione lede la libertà d’iniziativa economica, perché il Comune medesimo (quale possibile soggetto che esercita l’attività economica farmaceutica) non è posto sullo stesso piano della farmacia privata, essendogli attribuito il privilegio di assegnare a sé medesimo dei benefici a scapito della farmacia privata;
che, infine, per il Collegio, «la rilevanza della questione di costituzionalità proposta permane anche nel caso in cui fossero fondati gli ulteriori vizi di mancata applicazione dell’art. 11 del. D.L. n. 1 del 2012 e di difetto d’istruttoria e di carenza di congrua motivazione, prospettati con distinto motivo di ricorso. Infatti l’eventuale annullamento del provvedimento impugnato determinerebbe l’obbligo del comune di Treviso di riesaminare la questione, esercitando nuovamente il potere amministrativo, con il rischio di reiterazione del pregiudizio nei confronti di parte ricorrente, per effetto dell’inidoneità della disciplina dell’esercizio del potere ad assicurarne un esercizio imparziale e della non adeguatezza della competenza comunale all’esercizio del potere regolatorio in materia di farmacie»;
che si è costituito il ricorrente nel giudizio a quo, il quale – ricostruite le vicende processuali e riportate le argomentazioni poste a sostegno della affermazione, ivi svolta quale preliminare motivo, di non manifesta infondatezza delle censure mosse alla normativa de qua – ha concluso per l’accoglimento della sollevata questione per contrasto sia con i parametri evocati nell’ordinanza di rimessione (alle cui argomentazioni si riporta condividendole), sia con gli artt. 117, primo e secondo comma, e 118, secondo comma, Cost.;
che, in particolare, la parte sottolinea che la censurata situazione di incompatibilità tra le funzioni regolatrici e quelle di gestione del servizio pubblico garantito dalle farmacie comunali, nell’affidare ai Comuni le funzioni di pianificazione delle farmacie sul territorio, si pone in contrasto con le esigenze sottese alla disciplina delle farmacie private, che sono portatrici del medesimo munus publicum; e che ciò comporta altresì l’evidente contrapposizione delle norme censurate con i princìpi comunitari attinenti lo svolgimento di detto servizio anche in termini economici, oltre che con la normativa e la giurisprudenza comunitaria (ampiamente richiamate in atti) sulla tutela della libera concorrenza e sulla repressione dell’abuso di posizioni dominanti, nella logica della sussidiarietà e della proporzionalità, cui non sono sottratte le aziende organizzate in forma di impresa per assicurare un servizio d’interesse economico generale a tutela della salute umana;
che la Federazione nazionale unitaria dei titolari di farmacia italiani (Federfarma), rilevato di essere intervenuta ad adiuvandum nel processo principale con atto notificato il 23 luglio 2013, ha depositato atto di costituzione in giudizio, in cui conclude per l’accoglimento della sollevata questione;
che è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, concludendo per l’inammissibilità o per l’infondatezza della questione;
che l’Avvocatura rileva, in particolare, come – poiché l’intento del legislatore attraverso le norme in esame è quello di far sì che, nell’individuazione dei siti ove allocare le farmacie, prevalga non già il criterio della difesa di un bacino di utenza commerciale, bensì quello dell’equa distribuzione delle farmacie sul territorio, onde assicurare il servizio che esse devono svolgere per i cittadini – l’attribuzione della relativa funzione programmatoria al Comune sia del tutto ragionevole, in quanto l’intero settore delle farmacie è connotato di rilevanti aspetti di pubblico servizio (in senso oggettivo e soggettivo) e la presenza di farmacie “comunali”, come pure la riserva generale delle farmacie ai farmacisti, non altera alcuna regola dell’Unione europea;
che, d’altronde, l’individuazione, da parte del Comune, delle zone nelle quali collocare le nuove farmacie viene effettuata sulla base di una puntuale verifica della sussistenza dei requisiti di legge, e la relativa scelta deve essere sorretta da adeguata istruttoria; sicché, per l’Avvocatura, le eventuali determinazioni comunali che dovessero presentare “risvolti patologici della discrezionalità”, sembrano escludere in concreto i presupposti da cui muove il giudice a quo per incardinare un dubbio di costituzionalità sorretto solo da un astratto richiamo ad un principio di distinzione tra funzione di regolazione e gestione dei pubblici servizi essenziali, che non trova alcuna concreta sanzione nella normativa europea o in quella nazionale;
che, ciò premesso, quanto alle censure riferite agli artt. 97 e 41 Cost., la difesa dello Stato rileva la non conferenza di detti parametri, giacché l’esistenza di un possibile conflitto d’interessi dell’amministrazione comunale che sia anche titolare di esercizi farmaceutici (profilo che riguarderebbe l’imparzialità dell’attività amministrativa) e il possibile abuso di una posizione di privilegio (che limiterebbe la libertà d’iniziativa economica) si prospettano, non già come conseguenza necessaria dell’esercizio del potere attribuito al Comune, bensì quale riflesso di un esercizio illegittimo della potestà amministrativa di zonizzazione delle farmacie;
che, quanto alla denunciata violazione dell’art. 118, primo comma, Cost., l’Avvocatura osserva che proprio il principio di sussidiarietà enfatizza la posizione dell’ente istituzionale più vicino al tessuto sociale, tanto che, a parità di condizioni, in termini di adeguatezza e sussistendo la necessità di assicurare l’esercizio unitario delle funzioni amministrative, la scelta non può che essere condizionata dal tasso di prossimità, nel senso di una chiara preferenza del dettato costituzionale in favore del Comune; rispetto alla quale sarebbe una diversa soluzione allocativa ad assumere i caratteri di eccezionalità, che obbligherebbero il legislatore ad allegare le puntuali motivazioni a sostegno della scelta operata;
che in prossimità dell’udienza, la parte privata costituita e Federfarma hanno depositato memorie, in cui – ribadite le rassegnate conclusioni ed approfondite le tesi difensive sviluppate nell’atto di costituzione – contestano in particolare le argomentazioni svolte dalla Avvocatura dello Stato a sostegno della insussistenza della lesione degli evocati parametri.
Considerato che il Tribunale amministrativo regionale per il Veneto censura l’art. 2, comma 1, secondo periodo, della legge 2 aprile 1968, n. 475 (Norme concernenti il servizio farmaceutico), nel testo introdotto dalla lettera c) del comma 1 dell’art. 11 del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1 (Disposizioni urgenti per la concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e la competitività), come convertito dall’art. 1, comma 1, della legge 24 marzo 2012, n. 27, nonché l’art. 11, comma 2, del medesimo decreto-legge n. 1 del 2012;
che la prima delle due norme sancisce, al secondo periodo del comma 1, che «Al fine di assicurare una maggiore accessibilità al servizio farmaceutico, il comune, sentiti l’azienda sanitaria e l’Ordine provinciale dei farmacisti competente per territorio, identifica le zone nelle quali collocare le nuove farmacie, al fine di assicurare un’equa distribuzione sul territorio, tenendo altresì conto dell’esigenza di garantire l’accessibilità del servizio farmaceutico anche a quei cittadini residenti in aree scarsamente abitate»;
che la seconda norma prevede che «Ciascun comune, sulla base dei dati ISTAT sulla popolazione residente al 31 dicembre 2010 e dei parametri di cui al comma 1, individua le nuove sedi farmaceutiche disponibili nel proprio territorio e invia i dati alla regione entro e non oltre trenta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto»;
che le disposizioni menzionate sono censurate nella parte in cui (avendo abrogato le disposizioni che prevedevano la formazione e la revisione periodica delle piante organiche comunali delle farmacie ad opera di un’autorità sovracomunale), hanno attribuito ai Comuni la identificazione delle zone nelle quali collocare le nuove farmacie, con un potere regolatorio caratterizzato (in tesi) da un ampio margine di discrezionalità, che non può ritenersi delimitato adeguatamente dai parametri numerici e dagli scopi di equa distribuzione sul territorio e di garanzia di accessibilità del servizio;
che, per il rimettente, esse si porrebbero dunque in contrasto: a) con l’art. 97 della Costituzione, in quanto la titolarità delle farmacie può essere stata assunta dal Comune (come a Treviso), la qual cosa può «indurre il comune stesso a disegnare la zonizzazione comunale delle farmacie in modo tale da favorire le farmacie comunali, assicurando alle stesse un bacino d’utenza maggiore rispetto alle farmacie non comunali», così determinandosi un vero e proprio conflitto d’interessi, là dove il minore o maggiore fatturato della farmacia determina un minore o maggiore beneficio economico a favore del Comune medesimo; b) con l’art. 118, primo comma, Cost., poiché la possibilità che il Comune gestisca farmacie all’atto dell’esercizio del potere regolatorio evidenzia che il livello comunale non è il livello di competenza adeguato all’esercizio del potere di zonizzazione delle farmacie, potendo il Comune stesso trovarsi (come nel caso di specie) in una situazione di possibile conflitto d’interessi, la cui presenza impone lo spostamento della competenza al livello superiore» in applicazione del principio di sussidiarietà; c) con l’art. 41 Cost., in quanto «l’attribuzione al comune del potere regolatorio in materia di farmacie lede la libertà d’iniziativa economica, perché il comune quale possibile soggetto che esercita l’attività economica farmaceutica non è posto sullo stesso piano della farmacia privata, ma gli viene attribuito il privilegio, attraverso l’esercizio del potere regolatorio, di assegnare a sé medesimo dei benefici a scapito della farmacia privata»;
che, in primo luogo, deve essere ribadita l’inammissibilità della costituzione nel giudizio incidentale di Federfarma – intervenuta ad adiuvandum nel giudizio a quo in data 23 luglio 2013, dopo la sospensione dello stesso disposta con l’ordinanza di rimessione del 17 maggio 2013 – dichiarata con ordinanza della quale è stata data lettura in udienza e che è allegata alla presente decisione;
che, inoltre – poiché l’oggetto del giudizio di legittimità costituzionale in via incidentale è limitato alle disposizioni e ai parametri indicati nell’ordinanza di rimessione, non potendo essere presi in considerazione, oltre i limiti in queste fissati, ulteriori questioni o profili di costituzionalità dedotti dalle parti, eccepiti ma non fatti propri dal giudice a quo, oppure diretti ad ampliare o modificare successivamente il contenuto delle ordinanze stesse (ex plurimis, sentenze n. 238, n. 220 e n. 219 del 2014) – non potrebbero formare oggetto di esame in questa sede, le (pur assai articolate) deduzioni della parte privata costituita (ricorrente nel giudizio a quo) dirette ad estendere il thema decidendum, tramite la denuncia dell’asserito contrasto delle norme censurate, oltre che con gli specifici parametri evocati nell’ordinanza di rimessione, anche con gli ulteriori princìpi costituzionali di cui all’art. 117, primo e secondo comma, ed all’art. 118, secondo comma, Cost., per lesione in particolare (e tra l’altro) della normativa e della giurisprudenza comunitaria (analiticamente richiamate in atti) sulla tutela della libera concorrenza e sulla repressione dell’abuso di posizioni dominanti;
che peraltro, preliminarmente, si configura un profilo di inammissibilità delle sollevate questioni, derivante da una carente motivazione in ordine alla attuale rilevanza delle stesse rispetto alla definizione del processo a quo;
che, infatti, il rimettente – riportata la motivazione della delibera impugnata, con la quale la Giunta comunale di Treviso ha individuato due nuove sedi farmaceutiche – osserva che la parte ricorrente si duole che tale localizzazione, lungi dal garantire un servizio in una località che ne è sprovvista, sia in realtà posta a tutela del bacino d’utenza delle farmacie comunali, per nulla toccato da essa; e che, dunque (dedotto che «il provvedimento impugnato sarebbe pertanto affetto dal vizio di eccesso di potere per esercizio di una posizione dominante») la parte, «oltre a chiedere di sollevare la questione di legittimità sopra prospettata, lamenta ulteriori autonomi vizi di mancata applicazione di fatto dell’art. 11 del D.L. n° 1 del 2012, perché non sarebbero state adeguatamente considerate le effettive esigenze farmaceutiche dei cittadini e di difetto di istruttoria e di carenza di congrua motivazione»;
che, a fronte dei così riferiti motivi di impugnazione, il TAR rimettente (a conclusione della ordinanza di rimessione) testualmente afferma «altresì che la rilevanza della questione di costituzionalità proposta permane anche nel caso in cui fossero fondati gli ulteriori vizi di mancata applicazione dell’art. 11 del. D.L. n. 1 del 2012 e di difetto d’istruttoria e di carenza di congrua motivazione, prospettati con distinto motivo di ricorso»; ciò in quanto, secondo il giudice a quo, «l’eventuale annullamento del provvedimento impugnato determinerebbe l’obbligo del comune di Treviso di riesaminare la questione, esercitando nuovamente il potere amministrativo, con il rischio di reiterazione del pregiudizio nei confronti di parte ricorrente, per effetto dell’inidoneità della disciplina dell’esercizio del potere ad assicurarne un esercizio imparziale e della non adeguatezza della competenza comunale all’esercizio del potere regolatorio in materia di farmacie»;
che siffatte argomentazioni non chiariscono in alcun modo se la invocata pregiudiziale soluzione dei palesati dubbi di incostituzionalità della normativa denunciata sia indispensabile per la definizione del giudizio principale (in conformità della condizione imposta dal secondo comma dell’art. 23 della legge n. 87 del 1953 per ritenere la sussistenza della rilevanza della questione medesima: sentenza n. 91 del 2013);
che, al contrario, il rimettente muove dall’esplicito assunto in base al quale la questione sarebbe comunque rilevante anche nel caso in cui fossero da accogliere i motivi ulteriori e la domanda potesse essere accolta per riscontrata fondatezza dei vizi «di mancata applicazione dell’art. 11 del. D.L. n. 1 del 2012 e di difetto d’istruttoria e di carenza di congrua motivazione, prospettati con distinto motivo di ricorso»;
che, in questo modo, tuttavia, il TAR non solo non illustra, neppure sommariamente, le ragioni di infondatezza degli altri motivi di ricorso, nonostante la loro priorità logico-giuridica, derivante dalla constatazione che il loro eventuale accoglimento determinerebbe l’annullamento del provvedimento impugnato (ordinanza n. 158 del 2013); ma nel contempo – sostenendo che l’annullamento del provvedimento impugnato non precluderebbe al Comune di Treviso di esercitare nuovamente il potere attribuitogli dalle norme censurate, con il rischio di reiterazione del pregiudizio nei confronti di parte ricorrente – il rimettente di fatto svincola, nella specie, la proposizione del dubbio di costituzionalità dal nesso di pregiudizialità attuale con la soluzione del giudizio principale, finendo col proiettare lo scrutinio sulle future possibili ed eventuali nuove applicazioni delle medesime norme attraverso un (del tutto eventuale) riesercizio del potere attribuito al Comune «pur con un provvedimento adottato con motivazione congrua e sulla base di idonea motivazione»;
che la inconciliabile contraddittorietà di siffatto argomentare rispetto alla affermazione del principio di necessità della attualità della questione (quale corollario del postulato della pregiudizialità del giudizio in via incidentale: sentenza n. 213 del 2014), unita alla non del tutto chiarita particolare modalità di proposizione dei motivi di ricorso, sembra in realtà configurare un tentativo da parte del rimettente di proporre in via diretta un controllo di costituzionalità;
che dunque, in tali termini, detto controllo risulta impropriamente attivato, al di fuori dei limiti sanciti dall’art. 1 della legge costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1 (Norme sui giudizi di legittimità costituzionale e sulle garanzie d’indipendenza della Corte costituzionale) e dall’art. 23, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), essendo carente (ovvero non essendo stato dimostrato) il nesso di indispensabile pregiudizialità dello specifico scrutinio richiesto alla Corte rispetto agli esiti della decisione del giudizio principale (ordinanze n. 57 del 2014 e n. 196 del 2013);
che la sollevata questione è, dunque, manifestamente inammissibile.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 2, comma 1, secondo periodo, della legge 2 aprile 1968, n. 475 (Norme concernenti il servizio farmaceutico), nel testo introdotto dalla lettera c) del comma 1 dell’art. 11 del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1 (Disposizioni urgenti per la concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e la competitività), come convertito dall’art. 1, comma 1, della legge 24 marzo 2012, n. 27 e dell’art. 11, comma 2, del medesimo decreto-legge n. 1 del 2012, sollevata – in riferimento agli artt. 41, 97 e 118, primo comma, della Costituzione – dal Tribunale amministrativo regionale per il Veneto, con l’ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 10 febbraio 2015.
F.to:
Alessandro CRISCUOLO, Presidente
Paolo GROSSI, Redattore
Gabriella Paola MELATTI, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 27 febbraio 2015.
Allegato:
Ordinanza letta all’udienza del 10 febbraio 2015