Sentenza n. 217 del 2014

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SENTENZA N. 217

ANNO 2014

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

-           Sabino                         CASSESE                                        Presidente

-           Giuseppe                     TESAURO                                         Giudice

-           Paolo Maria                 NAPOLITANO                                       ”

-           Giuseppe                     FRIGO                                                     ”

-           Alessandro                  CRISCUOLO                                          ”

-           Paolo                           GROSSI                                                   ”

-           Aldo                            CAROSI                                                   ”

-           Marta                           CARTABIA                                             ”

-           Sergio                          MATTARELLA                                       ”

-           Giancarlo                     CORAGGIO                                            ”

-           Giuliano                       AMATO                                                   ”

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 2, comma 5-ter, del decreto-legge 28 giugno 2013, n. 76 (Primi interventi urgenti per la promozione dell’occupazione, in particolare giovanile, della coesione sociale, nonché in materia di imposta sul valore aggiunto − IVA − e altre misure finanziarie urgenti), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 9 agosto 2013, n. 99, promosso dalla Provincia autonoma di Trento con ricorso notificato il 19 ottobre 2013, depositato in cancelleria il 29 ottobre 2013 ed iscritto al n. 99 del registro ricorsi 2013.

Visto l’atto di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri; 

udito nell’udienza pubblica del 24 giugno 2014 il Giudice relatore Paolo Maria Napolitano;

uditi l’avvocato Giandomenico Falcon per la Provincia autonoma di Trento e l’avvocato dello Stato Alessandro Maddalo per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1.− Con ricorso notificato il 19 ottobre 2013 e depositato il successivo 29 ottobre (previa deliberazione n. 2233 del 17 ottobre 2013, adottata in via d’urgenza ai sensi dell’art. 54, numero 7, dello statuto speciale della Regione Trentino-Alto Adige/Sudtirol e ratificata dal Consiglio provinciale di Trento con delibera n. 4 del 18 dicembre 2013, successivamente depositata in data 2 gennaio 2014), la Giunta provinciale di Trento ha impugnato – in riferimento all’art. 8, numero 29), all’art. 9, numeri 2) e 4), e all’art. 16 del d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670 (Approvazione del testo unico delle leggi costituzionali concernenti lo statuto speciale per il Trentino-Alto Adige), nonché in riferimento agli artt. 117 e 118 della Costituzione, in combinato disposto con l’art. 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione) − l’art. 2, comma 5-ter, del decreto-legge 28 giugno 2013, n. 76 (Primi interventi urgenti per la promozione dell’occupazione, in particolare giovanile, della coesione sociale, nonché in materia di imposta sul valore aggiunto – IVA − e altre misure finanziarie urgenti), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 9 agosto 2013, n. 99.

Premette la ricorrente che la Provincia autonoma di Trento è dotata di competenza legislativa primaria in materia di «addestramento e formazione professionale» (art. 8, numero 29, dello statuto speciale) nonché di competenza concorrente in materia di «apprendistato; libretti di lavoro; categorie e qualifiche dei lavoratori», ai sensi dell’art. 9, numero 4), dello statuto speciale di autonomia. In tali materie, la Provincia è titolare anche delle corrispondenti competenze amministrative, ai sensi dell’art. 16 dello statuto. Tali norme hanno ricevuto attuazione con il d.P.R. 1° novembre 1973, n. 689 (Norme di attuazione dello statuto speciale per la regione Trentino-Alto Adige concernente addestramento e formazione professionale).

Secondo la Provincia autonoma, deve in primo luogo aversi riguardo alle competenze statutarie sulla base della giurisprudenza di questa Corte secondo cui «in materia di istruzione e formazione professionale l’art. 117 Cost. non prevede una forma di autonomia più ampia di quella configurata dagli artt. 8 e 9 dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige» (sentenze n. 328 del 2010 e n. 213 del 2009). In ogni caso, la ricorrente segnala che in altra pronuncia (sentenza n. 328 del 2006) la Corte ha ritenuto applicabile l’art. 10 della legge cost. n. 3 del 2001 in materia di formazione professionale in quanto rientrante nella competenza residuale delle Regioni ordinarie stabilita dell’art. 117, quarto comma, Cost.

Secondo la Provincia autonoma di Trento, ciò che assume rilievo per la soluzione del caso in esame non è tanto la titolarità della potestà legislativa, quanto il principio di leale collaborazione e di ragionevolezza.

Nel ricorso si precisa che, nell’esercizio delle proprie competenze legislative, la Provincia autonoma di Trento ha disciplinato la materia dei tirocini formativi e di orientamento, ed in particolare i soggetti promotori (art. 4-bis della legge provinciale 16 giugno 1983, n. 19, recante «Organizzazione degli interventi di politica del lavoro», e relative deliberazioni attuative, tra cui la deliberazione della Giunta provinciale 1° febbraio 2013, n. 175).

Nella materia in questione è intervenuto il decreto-legge n. 76 del 2013, il cui art. 2, recante «Interventi straordinari per favorire l’occupazione, in particolare giovanile», prevede al comma 5-ter, oggetto d’impugnazione, che: «Per i tirocini formativi e di orientamento di cui alle linee guida di cui all’Accordo sancito il 24 gennaio 2013 in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano i datori di lavoro pubblici e privati con sedi in più regioni possono fare riferimento alla sola normativa della regione dove è ubicata la sede legale e possono altresì accentrare le comunicazioni di cui all’articolo 1, commi 1180 e seguenti, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, presso il Servizio informatico nel cui ambito territoriale è ubicata la sede legale».

Il «tirocinio formativo e di orientamento» è un istituto introdotto dall’art. 18 della legge 24 giugno 1997, n. 196 (Norme in materia di promozione dell’occupazione), e ulteriormente disciplinato dal d.m. 25 marzo 1998, n. 142, «Regolamento recante norme di attuazione dei principi e dei criteri di cui all’articolo 18 della L. 24 giugno 1957, n. 196, sui tirocini formativi e di orientamento».

La Provincia segnala anche che, in attuazione dell’art. 1, comma 34, della legge 28 giugno 2012, n. 92 (Disposizioni in materia di riforma del mercato del lavoro in una prospettiva di crescita), è stato concluso l’Accordo del 24 gennaio 2013 per la definizione di linee-guida condivise in materia di tirocini formativi e di orientamento. Nel punto 2 dell’Accordo sì prevede che «le regioni e province autonome, nell’esercizio delle proprie competenze legislative e nella organizzazione dei relativi servizi, si impegnano a recepire nelle proprie normative quanto previsto nelle Linee guida entro sei mesi dalla data del presente accordo». Nel punto 4 si aggiunge che «le regioni a statuto speciale e le province autonome di Trento e Bolzano provvedono all’applicazione delle Linee guida nell’ambito delle competenze ad esse spettanti e secondo quanto disposto dai rispettivi statuti speciali». Infine, nel punto 5 si stabilisce che «le disposizioni regionali attuative delle presenti Linee guida costituiscono la disciplina settoriale in materia a decorrere dalla data della relativa entrata in vigore».

Nella premessa delle Linee-guida è scritto che esse indicano «taluni standard minimi di carattere disciplinare la cui definizione lascia, comunque, inalterata la facoltà per le Regioni e Province autonome di fissare disposizioni di maggiore tutela», e l’art. 3 aggiunge che, «Fatti salvi gli aspetti eventualmente ricadenti nelle materie di potestà legislativa dello Stato, la regolamentazione in materia di tirocini è di competenza delle amministrazioni regionali e delle province autonome di Trento e Bolzano». L’art. 4 attribuisce alle Regioni la competenza ad individuare i «soggetti, pubblici e privati, accreditati o autorizzati, che possono promuovere il tirocinio nel proprio territorio».

Secondo la ricorrente, dall’Accordo e dalle Linee-guida risulterebbe chiaramente la competenza regionale in materia di tirocini.

La norma impugnata, nel dare ai «datori di lavoro pubblici e privati con sedi in più regioni» la possibilità di «fare riferimento alla sola normativa della regione dove è ubicata la sede legale», limita illegittimamente il campo di applicazione della legislazione della Provincia autonoma di Trento in relazione ad attività che si svolgono nel suo territorio.

La Provincia ribadisce che la disciplina dei tirocini formativi e di orientamento è di competenza regionale, come stabilito da questa Corte con la sentenza n. 287 del 2012. In tale occasione questa Corte ha chiarito che, dopo la riforma costituzionale del 2001, la competenza esclusiva delle Regioni in materia di istruzione e formazione professionale «riguarda la istruzione e la formazione professionale pubbliche che possono essere impartite sia negli istituti scolastici a ciò destinati, sia mediante strutture proprie che le singole Regioni possano approntare in relazione alle peculiarità delle realtà locali, sia in organismi privati con i quali vengano stipulati accordi» (sentenza n. 50 del 2005). Viceversa, «la disciplina della formazione interna − ossia quella formazione che i datori di lavoro offrono in ambito aziendale ai propri dipendenti − di per sé non rientra nella menzionata materia, né in altre di competenza regionale; essa, essendo intimamente connessa con il sinallagma contrattuale, attiene all’ordinamento civile, sicché spetta allo Stato stabilire la relativa normativa (sentenza n. 24 del 2007)».

Assodata la competenza provinciale piena in materia, risulterebbe chiara l’illegittimità costituzionale della norma impugnata, là dove dispone che «i datori di lavoro pubblici e privati con sedi in più regioni possono fare riferimento alla sola normativa della regione dove è ubicata la sede legale». In primo luogo, il solo fatto che il legislatore statale intervenga nella materia in questione, senza rispettare alcuno dei limiti costituzionali o statutari, rappresenta una violazione dell’art. 8, numero 29), dello statuto o dell’art. 117, quarto comma, Cost.

Inoltre, la norma sarebbe illegittima in quanto violerebbe il principio costituzionale di territorialità che pacificamente governa la competenza del legislatore regionale ed, ovviamente, anche della ricorrente Provincia autonoma di Trento.

Tale principio costituisce, innanzitutto, un caratteristico e da sempre ben noto limite della legge regionale: sarebbe costituzionalmente illegittima una legge regionale che pretendesse di disciplinare fattispecie che si svolgono nel territorio di un’altra Regione (sentenza n. 285 del 1997).

Ma esso limita, con ogni evidenza, anche il legislatore statale, il quale non può disporre esso stesso dell’ambito territoriale di applicazione della legge regionale. Il legislatore statale non può né disporre l’ultraterritorialità di una legge regionale nel territorio di altra Regione, né sottrarre al potere legislativo di una Regione fattispecie che si svolgono nel territorio di essa.

La norma impugnata consente, invece, ai datori di lavoro pubblici e privati, aventi sedi in più Regioni, di applicare alla formazione svolta in una Regione la normativa della Regione dove è ubicata la sede legale. In tal modo, la disciplina di una certa Regione viene, in violazione della Costituzione ad essere applicata ad attività che si svolgono al di fuori dei confini della Regione stessa, con conseguente compressione della potestà legislativa della Regione sede del tirocinio.

La ricorrente Provincia autonoma di Trento non nega che possano verificarsi ipotesi in cui può essere necessario un coordinamento dei poteri legislativi di diverse Regioni, ma in tale eventualità la Costituzione, dispone che «La legge regionale ratifica le intese della Regione con altre Regioni per il migliore esercizio delle proprie funzioni» (art. 117, ottavo comma).

In questa prospettiva è stato stipulato l’Accordo del 24 gennaio 2013 il quale contempla esso stesso la possibilità di una deroga al criterio territoriale, ma sulla base di specifici accordi fra le Regioni e non certo a seguito di una decisione unilaterale dello Stato. Infatti, il punto 3 dell’Accordo dispone che «le regioni e province autonome si impegnano a definire, con appositi accordi, disposizioni volte a tener conto delle esigenze delle imprese multilocalizzate, anche in deroga a quanto previsto nelle linee guida al paragrafo 9».

Dunque, l’eventuale deroga al criterio del luogo del tirocinio dovrebbe essere concordata tra le Regioni e poi recepita da leggi regionali, secondo lo schema di cui all’art. 117, ottavo comma, Cost.

Inoltre, è da tener presente che la norma impugnata, non solo determina l’applicazione in una Regione delle leggi di un’altra Regione, nella quale si trova la sede legale del datore di lavoro, ma produce l’aberrante conseguenza di assoggettare alle leggi di un’altra Regione i soggetti promotori, anche se essi non hanno con quest’ultima alcun collegamento.

Infatti, l’art. 6 delle Linee-guida prevede che «I tirocini sono svolti sulla base di apposite convenzioni stipulate tra i soggetti promotori e i soggetti ospitanti pubblici e privati», e che «Alla convenzione [...] deve essere allegato un progetto formativo per ciascun tirocinante, predisposto sulla base di modelli definiti dalle Regioni e Province autonome».

Dunque, un datore di lavoro «multilocalizzato», in base alla norma impugnata, potrebbe scegliere di applicare la normativa della Regione ove si trova la sede legale e, di conseguenza, il soggetto che promuove «il tirocinio nel proprio territorio» (art. 4 delle Linee-guida) si vedrebbe applicata una disciplina cui è del tutto estraneo.

In definitiva, al legislatore statale non spetta il potere di sottrarre certi comportamenti − la cui disciplina rientra nella competenza regionale − al criterio territoriale, cioè alla competenza della Regione nel cui territorio l’attività deve essere svolta.

La ricorrente, in subordine, rispetto alla questione sopra esposta solleva ulteriori questioni di legittimità costituzionale dell’art. 2, comma 5-ter, per violazione dei principi di leale collaborazione e di ragionevolezza.

Le Linee-guida allegate all’Accordo del 24 gennaio 2013 dispongono, all’art. 9, comma 6, che, «In relazione alle specifiche caratteristiche dei tirocini, sia in termini di finalità che di modalità organizzative, si ritiene che in caso di soggetto ospitante multilocalizzato e, quindi, anche di pubblica amministrazione con più sedi territoriali il tirocinio sia regolato dalla normativa della Regione o della Provincia autonoma nel cui territorio il tirocinio è realizzato».

Dunque, la disciplina concordata fra Stato e Regioni, sulla base di una norma legislativa statale (art. 1, comma 34, della legge n. 92 del 2012), ha previsto il criterio del luogo del tirocinio, in caso di soggetto ospitante multilocalizzato, e ha previsto che eventuali deroghe siano oggetto di «appositi accordi» tra le Regioni (art. 9, comma 6), secondo il modello dell’art. 117, ottavo comma, Cost.

Invece, la norma impugnata attribuisce al datore di lavoro la possibilità di derogare a tale criterio, violando il principio di leale collaborazione, dato che lo Stato unilateralmente disattende quanto concordato in sede pattizia.

A tale affermazione non contraddice l’affermazione, più volte sottolineata nella giurisprudenza costituzionale, che, in termini generali, il principio di leale collaborazione non comporta un vincolo specifico per il legislatore, trattandosi, in questo caso, di uno spostamento di competenza del legislatore regionale, che richiede necessariamente il suo consenso. La violazione del principio di leale collaborazione si accompagnerebbe all’intrinseca irragionevolezza della norma impugnata in quanto l’art. 2, comma 5-ter, del d.l. n. 76 del 2013 richiama l’Accordo del 24 gennaio 2013 e, contemporaneamente, si discosta da esso.

Al riguardo, la ricorrente osserva che la Provincia autonoma di Trento sarebbe legittimata ad invocare il principio di ragionevolezza, in quanto la norma impugnata incide su una materia provinciale.

2.− In data 27 novembre 2013, si è costituito il Presidente del Consiglio dei ministri chiedendo il rigetto del ricorso.

La difesa dello Stato ritiene che nell’attuale contesto socio-economico, caratterizzato da alti tassi di disoccupazione, specialmente giovanile, con l’art. 2 del d.l. n. 76 del 2013, rubricato «Interventi straordinari per favorire l’occupazione, in particolare giovanile», il legislatore sia intervenuto per far fronte all’inerzia delle Regioni, predisponendo misure urgenti e procedure semplificate, in linea anche con le politiche e le iniziative assunte a livello europeo, come testimoniato dall’attenzione alla condizione giovanile espressa nelle Conclusioni del Consiglio europeo del 7-8 febbraio 2013 e dalle raccomandazioni del Consiglio europeo formulate il 29 maggio 2013 sul programma nazionale di riforma 2013 dell’Italia.

I tirocini di formazione e di orientamento di cui alla disposizione impugnata sono finalizzati ad agevolare le scelte professionali e l’occupazione dei giovani nel percorso di transizione tra scuola e lavoro mediante formazione a diretto contatto con il mondo del lavoro. Alla luce di tali considerazioni, la materia dei tirocini orientativi non dovrebbe essere ricondotta interamente a quella dell’istruzione professionale in quanto: a) al tirocinante deve essere obbligatoriamente corrisposta un’indennità; b) il tirocinio formativo ha lo scopo di «agevolare le scelte professionali e l’occupazione dei giovani nel percorso di transizione tra scuola e lavoro».

La disposizione censurata, nel conferire facoltà al datore di lavoro di fare riferimento alla normativa dell’ente ove è ubicata la sede legale, si appaleserebbe del tutto funzionale a tale scopo, essendo ben possibile che un datore di lavoro operi in un settore produttivo del tutto avulso dalla realtà produttiva di una Regione o Provincia autonoma in cui è ubicato il soggetto promotore del tirocinio, onde il «riferimento» alla normativa di tali enti potrebbe indurlo a non «assumere» tirocinanti nelle sedi ubicate nel territorio degli stessi.

In conclusione, la norma in esame, che risponde ad un evidente intento di semplificazione, sarebbe stata emanata per evidenti e pressanti ragioni di politica economica di rilevanza nazionale e, pertanto, non sussisterebbe la lamentata lesione della competenza della Provincia autonoma di Trento.

Infatti, la materia «tirocini formativi» non è contemplata dall’art. 117 Cost. e non è nemmeno immediatamente e per intero riconducibile alle altre materie ivi indicate. L’intervento normativo dello Stato dovrebbe potersi giustificare sotto il duplice profilo della non frazionabile rilevanza nazionale dell’interesse perseguito e della possibile riconducibilità della disposizione alla materia delle professioni, oggetto di legislazione concorrente ex art. 117, terzo comma, Cost.

È, del resto, pacificamente riconosciuto che il livello territoriale dell’interesse influenza e determina il contenuto precettivo delle materie.

Infine, l’evidente prevalenza della materia «nazionale», unitamente alla necessità di immediata adozione di misure volte a favorire l’occupazione giovanile, giustifica il mancato ricorso agli strumenti della leale collaborazione.

3.− Con memorie depositate in prossimità dell’udienza, le parti hanno ribadito le proprie argomentazioni, insistendo per l’accoglimento delle rispettive conclusioni.

Considerato in diritto

1.− La Giunta della Provincia autonoma di Trento – con deliberazione del 17 ottobre 2013 n. 2233, adottata d’urgenza ai sensi dell’art. 54, numero 7), dello statuto speciale della Regione Trentino-Alto Adige/Sudtirol e ratificata dal Consiglio provinciale di Trento con delibera n. 11 del 18 dicembre 2013 depositata in data 2 gennaio 2014 ha proposto, in via principale, con ricorso notificato il 19 ottobre 2013 e depositato il successivo 29 ottobre, questione di legittimità costituzionale dell’art. 2, comma 5-ter, del decreto-legge 28 giugno 2013, n. 76 (Primi interventi urgenti per la promozione dell’occupazione, in particolare giovanile, della coesione sociale, nonché in materia di imposta sul valore aggiunto – IVA − e altre misure finanziarie urgenti), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 9 agosto 2013, n. 99.

Secondo la ricorrente risulterebbero violati gli artt. 8, numero 29), e 9, numero 4), del d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670 (Approvazione del testo unico delle leggi costituzionali concernenti lo statuto speciale per il Trentino-Alto Adige), che attribuiscono alla Provincia autonoma di Trento, rispettivamente, la competenza legislativa primaria in materia di «addestramento e formazione professionale» (art. 8, numero 29, dello statuto di autonomia) nonché la competenza concorrente in materia di «apprendistato; libretti di lavoro; categorie e qualifiche dei lavoratori» (art. 9, numero 4, dello statuto di autonomia), in quanto il legislatore statale non può disporre l’ultraterritorialità di una legge di altra Regione nel territorio della Provincia autonoma di Trento, né sottrarre al potere legislativo della Provincia medesima una fattispecie che si svolga nel suo territorio.

Qualora, poi, si ritenesse che «in materia di istruzione e formazione professionale» l’art. 117, quarto comma, della Costituzione prevedesse una forma di autonomia più ampia di quella configurata dai citati artt. 8 e 9 dello statuto speciale (secondo quanto affermato dalla sentenza n. 328 del 2006, anche se successivamente superata dalle sentenze n. 328 del 2010 e n. 213 del 2009), la norma impugnata − nella parte in cui prevede che «Per i tirocini formativi e di orientamento di cui alle linee guida di cui all’Accordo sancito il 24 gennaio 2013 in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano i datori di lavoro pubblici e privati con sedi in più regioni possono fare riferimento alla sola normativa della regione dove è ubicata la sede legale» − violerebbe la competenza residuale delle Regioni in dette materie, in quanto il legislatore statale non può né disporre l’ultraterritorialità di una legge regionale nel territorio di altra Regione, né sottrarre al potere legislativo di una Regione fattispecie che si svolgono nel territorio di essa.

Infine la Provincia ricorrente lamenta, in via subordinata, anche la lesione del principio di leale collaborazione e di ragionevolezza.

2.− Il ricorso è inammissibile perché l’atto di ratifica è stato depositato in giudizio oltre il termine previsto per la costituzione della parte ricorrente.

Come si è detto, la Giunta provinciale ha deliberato la proposizione del ricorso avverso la sopra indicata normativa in data 17 ottobre 2013, agendo in via d’urgenza ai sensi dell’art. 54, numero 7), dello statuto speciale della Regione Trentino-Alto Adige/Sudtirol. Il ricorso è stato notificato il successivo 19 ottobre, prima della scadenza del termine di sessanta giorni dalla pubblicazione della legge statale nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica avvenuta in data 22 agosto 2013.

Da tale data, è iniziato a decorrere, ai sensi dell’art. 31, quarto comma, richiamato dall’art. 32, terzo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), il termine di dieci giorni per il deposito del ricorso comprensivo dell’atto di ratifica da parte dell’organo competente secondo lo statuto a deliberare l’impugnazione (termine avente scadenza, perciò, il 2 novembre 2013).

Il ricorso è stato depositato, senza che ad esso fosse allegato l’atto di ratifica, il 29 ottobre 2013. La ratifica dell’impugnazione è stata successivamente deliberata dal Consiglio provinciale in data 18 dicembre 2013 ed è pervenuta nella cancelleria di questa Corte solo il 2 gennaio 2014, quindi, ben oltre il già menzionato termine del 2 novembre 2013 fissato per il deposito del ricorso.

2.1.− Questa Corte ha già affermato che, «in tema di giudizi di legittimità costituzionale in via principale e per conflitto di attribuzione tra enti, promossi dal Presidente del Consiglio dei ministri o dal Presidente della Giunta regionale, […] la “previa deliberazione” della proposizione del ricorso introduttivo da parte dell’organo collegiale competente è “esigenza non soltanto formale, ma sostanziale […] per l’importanza dell’atto e per gli effetti costituzionali ed amministrativi che l’atto stesso può produrre” (sentenza n. 33 del 1962; analogamente le sentenze n. 8 del 1967; n. 119 del 1966; n. 36 del 1962). Essa ha più volte precisato, altresì, che non sussiste un principio generale “secondo il quale ogni organo di presidenza potrebbe, in caso di urgenza e salvo ratifica, adottare i provvedimenti spettanti al collegio” (sentenza n. 119 del 1966), non valendo a sanare l’originario difetto di potere dell’organo ricorrente una delibera di ratifica del competente organo collegiale adottata dopo la scadenza del termine per l’impugnazione (sentenze n. 54 del 1990, n. 147 del 1972, n. 8 del 1967, n. 76 del 1963)» (sentenza n. 142 del 2012).

Si è affermato, inoltre, proprio in riferimento alla Provincia autonoma di Trento che l’eccezionale e temporanea legittimazione processuale della Giunta (sostitutiva di quella ordinaria attribuita al Consiglio provinciale dagli artt. 54, numero 7, e 98, primo comma, dello statuto) deve essere «necessariamente consolidata e resa definitiva, in quanto prevista solo a titolo provvisorio, mediante ratifica entro un termine predeterminato». Tale termine, in mancanza di una normativa specifica, è stato individuato nel «termine perentorio di dieci giorni dall’ultima notificazione del ricorso, stabilito dal combinato disposto del terzo comma dell’art. 32 e del quarto comma dell’art. 31 della legge n. 87 del 1953» (sentenza n. 142 del 2012). Infatti, in base alla disciplina ed ai relativi principi che attualmente regolano i giudizi davanti a questa Corte, si è ritenuto che, al fine di garantire l’economia, la celerità e la certezza del giudizio costituzionale, è necessario che la volontà dell’organo che in base alla normativa statutaria è competente a promuovere ricorso avverso una legge dello Stato (cioè, nel caso in questione, del Consiglio provinciale), sia accertata, mediante acquisizione della deliberazione agli atti del processo, al più tardi, al momento in cui il ricorso va depositato nella cancelleria della Corte; e cioè entro il termine sopra indicato.

«Il deposito del ricorso notificato, da effettuarsi entro il termine perentorio di dieci giorni dall’ultima notificazione, costituisce, infatti, un momento essenziale del processo costituzionale, perché comporta la costituzione in giudizio della parte ricorrente, fissa definitivamente il thema decidendum (impedendone ogni successivo ampliamento), instaura il rapporto processuale con questa Corte e segna l’inizio del termine ordinatorio di novanta giorni per la fissazione dell’udienza di discussione del ricorso (art. 35 della legge n. 87 del 1953). Inoltre, dalla scadenza del termine stabilito per il deposito del ricorso decorre il termine perentorio entro il quale le altre parti possono costituirsi in giudizio (nella specie, per la parte convenuta nei ricorsi di impugnazione di leggi, trenta giorni, ai sensi del comma 3 dell’art. 19 delle citate norme integrative). […] Diversamente, si imporrebbe irragionevolmente alla parte resistente di costituirsi in giudizio quando ancora non è stata perfezionata e definitivamente accertata la volontà del ricorrente di proporre il ricorso. Ne segue che l’atto di ratifica dell’impugnazione della legge statale deve essere depositato nel termine del deposito del ricorso stesso» (sentenza n. 142 del 2012).

2.2.− La difesa della Provincia autonoma di Trento ha prodotto, nel corso dell’udienza, documentazione circa la scansione temporale della procedura per l’impugnativa della norma in esame, evidenziando che il 27 ottobre 2013 si sono tenute le elezioni per il rinnovo del Consiglio provinciale e che, per tale motivo, non vi erano i tempi tecnici per una ratifica fino al momento in cui il Consiglio provinciale nella nuova composizione non avesse provveduto agli adempimenti preliminari.

2.3.− La tesi della difesa provinciale non può essere condivisa.

Anche prescindendo dalla circostanza che, da quanto affermato dalla suddetta parte, emergerebbe che la ratifica da parte del Consiglio non è avvenuta «nella sua prima seduta successiva» all’adozione del provvedimento da parte della Giunta, come espressamente prevede il numero 7) dell’art. 54 dello statuto di autonomia, e che, essendo stata deliberata la ratifica il 18 dicembre 2013 ed essendo avvenuto il suo deposito nella cancelleria il 2 gennaio 2014, quest’ultimo è stato effettuato oltre il termine ordinario di dieci giorni entro il quale la parte, dopo la notifica del ricorso, deve effettuare il deposito, è la stessa documentazione fornita in udienza che esclude che si versi in una situazione tale di eccezionalità che possa far ritenere sanabile la violazione di un termine perentorio. Nella comunicazione in data 24 ottobre 2013 che il Presidente del Consiglio della Provincia autonoma di Trento invia al Vicepresidente f.f. della medesima Provincia autonoma, si mostra piena consapevolezza di quali siano i termini previsti per l’impugnativa e di quale sia la giurisprudenza di questa Corte al riguardo. Si afferma, infatti, che «il Consiglio provinciale risulta formalmente investito della ratifica (da parte della Giunta) il giorno stesso in cui viene in scadenza il termine per la notificazione del ricorso in sede costituzionale […] termine che la Corte costituzionale − nella sentenza n. 142 del 2012 – ha stabilito anche come termine per il deposito in causa della delibera di ratifica consiliare, pena l’inammissibilità dell’impugnativa». Per ciò che riguarda il mancato rispetto del termine, in tale lettera si precisa che, anche calcolando i «dieci giorni successivi alla (detta) scadenza» e «tenuto […] conto che domenica prossima (27 ottobre 2013) scade la legislatura provinciale con il rinnovo del Consiglio provinciale» «non vi sono […] i tempi tecnici per convocare la commissione e il consiglio».

Non si tratta, quindi, di circostanze straordinarie ed impreviste tali da rendere impossibile il rispetto dei termini perentori, ma di situazioni che, pur rendendolo meno agevole, non avrebbero impedito l’osservanza dei predetti termini qualora fossero state previamente adottate misure organizzative volte a gestire le difficoltà che una normale procedura di rinnovo consiliare determina.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara inammissibile il ricorso proposto dalla Giunta della Provincia autonoma di Trento – con deliberazione del 17 ottobre 2013, n. 2233, adottata d’urgenza ai sensi dell’art. 54, numero 7), dello statuto speciale della Regione Trentino-Alto Adige/Sudtirol e ratificata dal Consiglio provinciale di Trento con delibera n. 4 del 18 dicembre 2013, depositata in data 2 gennaio 2014 – relativo all’art. 2, comma 5-ter, del decreto-legge 28 giugno 2013, n. 76 (Primi interventi urgenti per la promozione dell’occupazione, in particolare giovanile, della coesione sociale, nonché in materia di imposta sul valore aggiunto – IVA − e altre misure finanziarie urgenti), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 9 agosto 2013, n. 99.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 9 luglio 2014.

F.to:

Sabino CASSESE, Presidente

Paolo Maria NAPOLITANO, Redattore

Gabriella MELATTI, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 18 luglio 2014.