ORDINANZA N. 313
ANNO 2012
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Alfonso QUARANTA Presidente
- Franco GALLO Giudice
- Luigi MAZZELLA ”
- Gaetano SILVESTRI ”
- Sabino CASSESE ”
- Giuseppe TESAURO ”
- Paolo Maria NAPOLITANO ”
- Giuseppe FRIGO ”
- Alessandro CRISCUOLO ”
- Paolo GROSSI ”
- Giorgio LATTANZI ”
- Aldo CAROSI ”
- Marta CARTABIA ”
- Sergio MATTARELLA ”
- Mario Rosario MORELLI ”
ha pronunciato la seguente
ORDINANZAnei giudizi di legittimità costituzionale dell’articolo 157, quinto comma, del codice penale, come sostituito dall’art. 6 della legge 5 dicembre 2005, n. 251 (Modifiche al codice penale e alla legge 26 luglio 1975, n. 354, in materia di attenuanti generiche, di recidiva, di giudizio di comparazione delle circostanze di reato per i recidivi, di usura e di prescrizione), promossi dal Giudice di pace di Livorno con due ordinanze del 12 febbraio 2007 e con una ordinanza del 5 marzo 2007, pervenute alla Corte costituzionale l’11 giugno 2012, iscritte, rispettivamente, ai nn. 124, 125 e 126 del registro ordinanze del 2012 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 26, prima serie speciale, dell’anno 2012.
Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 20 novembre 2012 il Giudice relatore Gaetano Silvestri.
Ritenuto che il Giudice di pace di Livorno, con due ordinanze del 12 febbraio 2007 (r.o. nn. 124 e 125 del 2012) ed una del 5 marzo 2007 (r.o. n. 126 del 2012), tutte pervenute alla Corte costituzionale l’11 giugno 2012, ha sollevato – in riferimento agli articoli 3 e 27, secondo comma, della Costituzione – questioni di legittimità costituzionale dell’art. 157, quinto comma, del codice penale, come sostituito dall’art. 6 della legge 5 dicembre 2005, n. 251 (Modifiche al codice penale e alla legge 26 luglio 1975, n. 354, in materia di attenuanti generiche, di recidiva, di giudizio di comparazione delle circostanze di reato per i recidivi, di usura e di prescrizione), nella parte in cui non dispone che il termine triennale di prescrizione, previsto per i reati puniti con pene diverse da quella detentiva e da quella pecuniaria, si applichi a tutti i reati di competenza del giudice di pace;
che nel primo dei giudizi a quibus (r.o. n. 124 del 2012) il rimettente è investito di una richiesta di archiviazione – relativamente ai delitti di minaccia (art. 612 c.p.) e ingiuria (art. 594 c.p.), commessi in epoca compresa tra i mesi di luglio e agosto del 2003 – sul presupposto dell’intervenuta prescrizione dei reati, essendo trascorsi più di tre anni dalla relativa commissione;
che analogamente, nel procedimento cui si riferisce l’ordinanza r.o. n. 125 del 2012, il giudice a quo è chiamato a valutare la richiesta di archiviazione proposta dal pubblico ministero in ordine ad un delitto di lesioni personali colpose (art. 590 c.p.), sul presupposto della intervenuta prescrizione del reato, essendo trascorsi più di tre anni dal fatto (avvenuto il 6 settembre 2003);
che anche l’ordinanza r.o. n. 126 del 2012 concerne un procedimento nel quale è stata formulata richiesta di archiviazione in ordine ai delitti di ingiuria (art. 594 c.p.) e minaccia (art. 612 c.p.), commessi il 10 luglio 2003, sul presupposto dell’intervenuta maturazione del termine prescrizionale di tre anni;
che le richieste di archiviazione, formulate nei giudizi a quibus prima che quattro anni fossero trascorsi dai fatti considerati, sono state espressamente giustificate in base all’assunto che, quando la loro cognizione è rimessa al giudice di pace, i reati puniti con la sola pena pecuniaria non sarebbero soggetti a prescrizione nel termine generale previsto dal primo comma dell’art. 156 cod. pen. (cioè quattro e sei anni per i reati puniti, rispettivamente, con l’ammenda o con la multa), ma piuttosto nel termine triennale fissato dal quinto comma dell’art. 156 cod. pen., che concerne i reati sanzionati con le cosiddette pene «paradetentive»;
che tale soluzione interpretativa, secondo il pubblico ministero, sarebbe imposta dalla necessità di evitare che la normativa assuma un significato irragionevole, e perciò contrastante con il dettato costituzionale, prevedendo che i reati meno gravi, tra quelli attribuiti alla competenza del giudice di pace, si prescrivano in tempi più lunghi di quelli utili per l’estinzione dei reati più gravi;
che il rimettente, sollevando in tutti i giudizi a quibus l’identica questione, assume invece, implicitamente, che l’unica ipotesi di effettiva applicazione del termine triennale di prescrizione fissato al quinto comma dell’art. 157 cod. pen. sia quella dei reati per i quali possono essere irrogate le sanzioni «paradetentive» della permanenza domiciliare e del lavoro di pubblica utilità (art. 52 del decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274, recante «Disposizioni sulla competenza penale del giudice di pace, a norma dell'articolo 14 della legge 24 novembre 1999, n. 468»), mentre, riguardo agli ulteriori reati attribuiti alla competenza del giudice di pace, varrebbe il disposto del primo comma dell’art. 157 cod. pen.;
che tale disciplina, secondo il giudice a quo, determina una irragionevole sperequazione in danno degli autori di fatti meno gravi, con «violazione dell’art. 3 Cost. (principio di uguaglianza sostanziale)» e dell’art. 27, «secondo comma», Cost. («principio di rieducatività delle pene»);
che il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, è intervenuto in tutti i giudizi con atti depositati il 16 luglio 2012, chiedendo che le questioni siano dichiarate infondate;
che l’Avvocatura generale ricorda come, con diversi provvedimenti (sono citate la sentenza n. 2 del 2008 e l’ordinanza n. 223 del 2008), la Corte costituzionale abbia già ritenuto infondate questioni dello stesso genere;
che in particolare, secondo la stessa Avvocatura generale dello Stato, un unico termine triennale di prescrizione varrebbe per tutti i reati di competenza del giudice di pace, così da restare esclusa ogni ingiustificata disparità di trattamento.
Considerato che il Giudice di pace di Livorno, con due ordinanze del 12 febbraio 2007 (r.o. nn. 124 e 125 del 2012) ed una del 5 marzo 2007 (r.o. n. 126 del 2012), tutte pervenute alla Corte costituzionale l’11 giugno 2012, ha sollevato – in riferimento agli artt. 3 e 27, secondo comma, della Costituzione – questioni di legittimità costituzionale dell’art. 157, quinto comma, del codice penale, come sostituito dall’art. 6 della legge 5 dicembre 2005, n. 251 (Modifiche al codice penale e alla legge 26 luglio 1975, n. 354, in materia di attenuanti generiche, di recidiva, di giudizio di comparazione delle circostanze di reato per i recidivi, di usura e di prescrizione), nella parte in cui non dispone che il termine triennale di prescrizione, previsto per i reati puniti con pene diverse da quella detentiva e da quella pecuniaria, si applichi a tutti i reati di competenza del giudice di pace;
che risulta opportuno disporre, in forza della sostanziale identità di oggetto delle questioni proposte, la riunione dei relativi giudizi;
che deve anzitutto dichiararsi la manifesta inammissibilità delle questioni presumibilmente sollevate con riguardo al principio di necessaria finalizzazione rieducativa della pena, di cui al terzo comma dell’art. 27 Cost.;
che, infatti, il rimettente non ha chiarito in alcun modo le ragioni dell’asserito contrasto tra la norma censurata e l’invocato principio di «rieducatività», collegando tra l’altro quest’ultimo al secondo comma dell’art. 27 Cost. (che concerne la presunzione di non colpevolezza) e non al terzo (per il quale le pene devono tendere alla rieducazione del condannato);
che le questioni sollevate con assoluta carenza di motivazione circa i profili di contrasto tra norma censurata e parametro costituzionale evocato, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, sono manifestamente inammissibili (da ultimo, ordinanze nn. 174 e 181 del 2012);
che i dubbi circa la legittimità costituzionale della norma censurata, in rapporto all’art. 3 Cost., sono manifestamente infondati, in quanto espressi sulla base di un erroneo presupposto interpretativo;
che questa Corte, dichiarando non fondate «nei sensi di cui in motivazione» questioni analoghe a quelle odierne, poste con riguardo al primo ed al quinto comma dell’art. 157 cod. pen., ha già chiarito come debba essere esclusa l’attuale vigenza di un termine triennale di prescrizione per i reati di competenza del giudice di pace punibili mediante le cosiddette sanzioni «paradetentive» (sentenza n. 2 del 2008);
che con la citata pronuncia n. 2 del 2008 è stata negata, in particolare, la riferibilità della norma contenuta nel quinto comma dell’art. 157 cod. pen. a fattispecie incriminatrici che non prevedano in via diretta ed esclusiva pene diverse da quelle pecuniarie o detentive, ed è stata altresì rilevata la perdurante equiparazione, «per ogni effetto giuridico», tra le pene dell’obbligo di permanenza domiciliare e del lavoro socialmente utile, irrogabili dal giudice di pace in alternativa alle pene pecuniarie, e le sanzioni detentive originariamente previste per i reati che le contemplano (art. 58, comma 1, del decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274, recante «Disposizioni sulla competenza penale del giudice di pace, a norma dell’articolo 14 della legge 24 novembre 1999, n. 468»);
che l’opzione appena descritta è stata confermata, da questa Corte, in occasione del vaglio di ulteriori questioni sollevate con riguardo alla disciplina della prescrizione dei reati di competenza del giudice di pace (ordinanze nn. 223, 381 e 433 del 2008, n. 135 del 2009, n. 45 del 2012);
che non si rinvengono, nella motivazione dei provvedimenti dai quali origina il presente giudizio, argomenti che inducano a modificare le valutazioni appena richiamate;
che la ritenuta applicabilità delle disposizioni previste nel primo comma dell’art. 157 cod. pen. a tutti i reati di competenza del giudice di pace esclude l’incongrua diversità di trattamento denunciata dal rimettente.
Visti gli articoli 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi,
dichiara la manifesta inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale dell’articolo 157, quinto comma, del codice penale, come sostituito dall’art. 6 della legge 5 dicembre 2005, n. 251 (Modifiche al codice penale e alla legge 26 luglio 1975, n. 354, in materia di attenuanti generiche, di recidiva, di giudizio di comparazione delle circostanze di reato per i recidivi, di usura e di prescrizione), sollevate, in riferimento all’art. 27 della Costituzione, dal Giudice di pace di Livorno, con le ordinanze indicate in epigrafe;
dichiara la manifesta infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale dell’articolo 157, quinto comma, cod. pen., come sostituito dall’art. 6 della legge n. 251 del 2005, sollevate in riferimento all’art. 3 della Costituzione, dal Giudice di pace di Livorno, con le ordinanze indicate in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 12 dicembre 2012.
F.to:
Alfonso QUARANTA, Presidente
Gaetano SILVESTRI, Redattore
Roberto MILANA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 27 dicembre 2012.