ORDINANZA N. 181
ANNO 2012
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Alfonso QUARANTA Presidente
- Franco GALLO Giudice
- Luigi MAZZELLA ”
- Gaetano SILVESTRI ”
- Sabino CASSESE ”
- Giuseppe TESAURO ”
- Paolo Maria NAPOLITANO ”
- Giuseppe FRIGO ”
- Alessandro CRISCUOLO ”
- Paolo GROSSI ”
- Giorgio LATTANZI ”
- Aldo CAROSI ”
- Marta CARTABIA ”
- Sergio MATTARELLA ”
- Mario Rosario MORELLI “
ha pronunciato la seguente
ORDINANZAnel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 49, comma 1, del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546 (Disposizioni sul processo tributario in attuazione della delega al Governo contenuta nell’art. 30 della legge 30 dicembre 1991, n. 413), promosso dalla Commissione tributaria regionale della Sicilia, sezione staccata di Catania, nel procedimento cautelare vertente tra la s.r.l. Diamante Fruit e l’Agenzia delle entrate, ufficio di Acireale, con ordinanza del 20 ottobre 2011, iscritta al n. 62 del registro ordinanze 2012 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 16, prima serie speciale, dell’anno 2012.
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consigli dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 20 giugno 2012 il Giudice relatore Franco Gallo.
Ritenuto che, nel corso di un procedimento instaurato a séguito dell’istanza proposta da una contribuente per ottenere, in via cautelare, la sospensione dell’esecuzione di una sentenza tributaria di secondo grado impugnata per cassazione, la Commissione tributaria regionale della Sicilia, sezione staccata di Catania, con ordinanza pronunciata e depositata il 20 ottobre 2011, ha sollevato – in riferimento agli artt. 3, 24, 111 e 113 della Costituzione – questione di legittimità del comma 1 (unico comma) dell’art. 49 del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546 (Disposizioni sul processo tributario in attuazione della delega al Governo contenuta nell’art. 30 della legge 30 dicembre 1991, n. 413), il quale stabilisce che «Alle impugnazioni delle sentenze delle commissioni tributarie si applicano le disposizioni del titolo III, capo I, del libro II del codice di procedura civile, escluso l’art. 337 e fatto salvo quanto disposto nel presente decreto»;
che il primo comma dell’art. 337 del codice di procedura civile prevede, a sua volta, che «L’esecuzione della sentenza non è sospesa per effetto dell’impugnazione di essa, salve le disposizioni degli artt. 283, 373, 401 e 407»;
che il primo comma dell’art. 373 cod. proc. civ., infine, stabilisce che «Il ricorso per cassazione non sospende l’esecuzione della sentenza. Tuttavia il giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata può, su istanza di parte e qualora dall’esecuzione possa derivare grave ed irreparabile danno, disporre con ordinanza non impugnabile che la esecuzione sia sospesa e che sia prestata congrua cauzione»;
che, in particolare, la Commissione tributaria regionale ha denunciato il menzionato art. 49, comma 1, del d.lgs. n. 546 del 1992 «nella parte in cui esclude l’applicabilità degli artt. 337 e 373 c.p.c. al processo tributario»;
che, secondo quanto riferito dal giudice a quo in punto di fatto: a) con la propria sentenza n. 499/17/09, emessa in sede di appello e depositata il 12 novembre 2009, aveva in parte annullato – in parziale riforma della sentenza di primo grado appellata dalla contribuente nei confronti dell’Agenzia delle entrate – l’avviso di accertamento relativo al reddito del 2005; b) la contribuente, in data 3 giugno 2011, aveva presentato alla Commissione tributaria regionale un’istanza di sospensione in via cautelare dell’esecuzione della sentenza di secondo grado, deducendo di avere impugnato per cassazione detta pronuncia con ricorso depositato il 16 gennaio 2011; c) a sostegno della richiesta cautelare la parte istante – dopo aver affermato che l’agente della riscossione, in base alla sentenza d’appello, le aveva notificato una cartella di pagamento dell’importo di euro 2.411.538,33 – aveva invocato l’applicazione dell’art. 373 cod. proc. civ. ed aveva sostenuto che, per l’accoglimento dell’istanza, si poteva prescindere dal fumus boni iuris (desumibile, ad avviso della stessa contribuente, dai motivi del ricorso per cassazione) ed era sufficiente il periculum in mora (desumibile, sempre ad avviso di tale parte, dall’elevato ammontare delle somme iscritte a ruolo, superiore alle sue disponibilità finanziarie);
che, secondo quanto premesso dal medesimo giudice a quo in punto di diritto: a) la disposizione impugnata, nello stabilire l’inapplicabilità al processo tributario degli artt. 337 e 373 cod. proc. civ. nella loro interezza, senza distinguere tra la regola enunciata nel primo periodo e l’eccezione indicata nel secondo periodo del primo comma di detto art. 373, non è suscettibile di essere interpretata nel senso che il giudice possa concedere una tale sospensione; b) la vigente disciplina del processo tributario, in particolare, appare incompatibile con i citati artt. 337 e 373 cod. proc. civ., in quanto attribuisce al solo giudice di primo grado il potere di sospendere l’esecutività dell’atto impositivo impugnato (art. 47 del d.lgs. n. 546 del 1992) ovvero si limita a consentire in via eccezionale al giudice di appello di sospendere l’esecuzione dei provvedimenti di irrogazione delle sanzioni tributarie (art. 19 del d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, recante «Disposizioni generali in materia di sanzioni amministrative per le violazioni di norme tributarie, a norma dell’articolo 3, comma 133, della legge 23 dicembre 1996, n. 662», in relazione al comma 4 dell’art. 18 dello stesso decreto legislativo, secondo cui, in riferimento alle suddette sanzioni, «Le decisioni delle commissioni tributarie […] sono immediatamente esecutive nei limiti previsti dall’articolo 19») oppure introduce una peculiare disciplina in materia di riscossione dei tributi in pendenza di giudizio (art. 68 del d.lgs. n. 546 del 1992); c) la sentenza di inammissibilità n. 217 del 2010 pronunciata dalla Corte costituzionale, con la quale viene adombrata una diversa interpretazione dell’impugnata disposizione, costituisce un «parere autorevole ma non vincolante», perché una interpretazione conforme a Costituzione è stata già esclusa dalla precedente giurisprudenza costituzionale (ordinanze n. 119 del 2007; n. 310 del 2002; n. 325 del 2001; n. 165 del 2000) e, comunque, «difficilmente potrà essere esaminata ed ottenere l’avallo della Corte di cassazione, e finirebbe per dare luogo, oltretutto, a soluzioni divergenti, ispirate alla logica del caso per caso»;
che, sulla base di tali premesse, il giudice rimettente afferma che, in attesa di un auspicabile intervento legislativo, la legittimità della disposizione denunciata deve essere valutata dalla Corte costituzionale «in relazione ai princípi costituzionali di uguaglianza e di diritto alla difesa, come pure del giusto processo e della pienezza ed effettività della tutela giurisdizionale, consacrati negli articoli 3, 24, 111 e 113 della Costituzione»;
che infine, in ordine alla rilevanza della sollevata questione, il rimettente asserisce che «la questione sollevata è di evidente rilevanza»;
che il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, è intervenuto in giudizio, chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile o, in subordine, non fondata;
che, quanto all’inammissibilità, la difesa dello Stato osserva che il rimettente: a) ha omesso di verificare la possibilità di pervenire, in via interpretativa, ad una soluzione conforme alla Costituzione (come richiesto dalla sentenza della Corte costituzionale n. 217 del 2010); b) non ha motivato la dedotta violazione degli evocati parametri costituzionali; c) non ha chiarito la rilevanza nel giudizio a quo della diversità della disciplina del processo tributario rispetto a quella del processo civile in tema di sospensione dell’esecuzione della sentenza di secondo grado;
che, quanto alla non fondatezza, la medesima difesa deduce che, comunque: a) la Corte costituzionale si è piú volte pronunciata nel senso della legittimità costituzionale della normativa denunciata e la ricorrente non ha prospettato nuovi profili di illegittimità; b) non sussiste alcun principio costituzionale che imponga uniformità tra i vari tipi di processo; c) il processo tributario ha una sua spiccata specificità, in quanto è teso a contemperare la preminente esigenza pubblica di assicurare il flusso delle entrate tributarie con «le pretese del contribuente», tanto da rendere non irragionevole l’attribuzione di una minore ampiezza di poteri cautelari all’organo giudicante tributario rispetto a quelli dei giudici civili o amministrativi; d) il processo tributario, peraltro, assicura al contribuente una tutela cautelare piú ampia rispetto a quella prevista nel giudizio civile, perché il titolo esecutivo, in materia tributaria è costituito non dalla sentenza di rigetto del ricorso, ma dall’atto impugnato ed il giudice civile, diversamente dal giudice tributario, non ha il potere di sospendere la riscossione dei tributi (viene citata l’ordinanza della Corte costituzionale n. 165 del 2000); e) il peculiare sistema di riscossione dei tributi in pendenza del giudizio tributario previsto dall’art. 68 del d.lgs. n. 546 del 1992 è idoneo a contemperare il diritto di difesa del contribuente (art. 24 Cost.) con l’esigenza dello Stato di riscuotere i tributi; f) non sussiste la denunciata violazione degli artt. 111 e 113 Cost., perché la pienezza ed effettività della tutela giurisdizionale è garantita dall’esperimento di tutti i gradi di giudizio e perché «la pur fondamentale esigenza di evitare ritardi dannosi nell’amministrazione della giustizia non può tradursi in una totale paralisi del sistema tributario».
Considerato che la Commissione tributaria regionale della Sicilia, sezione staccata di Catania, dubita – in riferimento agli artt. 3, 24, 111 e 113 della Costituzione – della legittimità del comma 1 (unico comma) dell’art. 49 del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546 (Disposizioni sul processo tributario in attuazione della delega al Governo contenuta nell’art. 30 della legge 30 dicembre 1991, n. 413), il quale stabilisce che «Alle impugnazioni delle sentenze delle commissioni tributarie si applicano le disposizioni del titolo III, capo I, del libro II del codice di procedura civile, escluso l’art. 337 e fatto salvo quanto disposto nel presente decreto»;
che, al riguardo, la suddetta Commissione tributaria rileva preliminarmente che, in base alle disposizioni richiamate dalla censurata normativa: a) «L’esecuzione della sentenza non è sospesa per effetto dell’impugnazione di essa, salve le disposizioni degli artt. 283, 373, 401 e 407» (primo comma dell’art. 337 del codice di procedura civile); b) «Il ricorso per cassazione non sospende l’esecuzione della sentenza. Tuttavia il giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata può, su istanza di parte e qualora dall’esecuzione possa derivare grave ed irreparabile danno, disporre con ordinanza non impugnabile che la esecuzione sia sospesa e che sia prestata congrua cauzione» (primo comma dell’art. 373 cod. proc. civ.);
che, ad avviso della medesima Commissione, il denunciato comma 1 dell’art. 49 del d.lgs. n. 546 del 1992, da un lato, víola gli evocati parametri costituzionali «nella parte in cui esclude l’applicabilità degli artt. 337 e 373 c.p.c. al processo tributario» e, dall’altro, non può essere interpretato in modo diverso, tale da superare il prospettato dubbio di legittimità costituzionale;
che la questione è manifestamente inammissibile per tre distinti motivi;
che un primo motivo di inammissibilità discende dal difetto assoluto di motivazione in ordine alla non manifesta infondatezza della denunciata violazione della Costituzione, in quanto il giudice rimettente afferma soltanto, senza svolgere altre considerazioni al riguardo, che la legittimità della disposizione denunciata deve essere valutata dalla Corte costituzionale «in relazione ai princípi costituzionali di uguaglianza e di diritto alla difesa, come pure del giusto processo e della pienezza ed effettività della tutela giurisdizionale, consacrati negli articoli 3, 24, 111 e 113 della Costituzione»;
che un secondo motivo di inammissibilità deriva dalla mancata motivazione, da parte dello stesso rimettente, circa la rilevanza della questione con riferimento alla sussistenza dei requisiti del fumus boni iuris e del periculum in mora dell’istanza cautelare in ordine alla quale è chiamato a decidere nel giudizio principale;
che, infatti, la Commissione tributaria regionale si limita a riferire, in proposito, le opinioni della parte istante, secondo cui: a) si può prescindere dal fumus boni iuris, comunque desumibile – sempre a parere della stessa parte – dai motivi del ricorso per cassazione (non riportati nell’ordinanza di rimessione); b) il periculum in mora è desumibile dall’elevato ammontare delle somme iscritte a ruolo (euro 2.411.538,33), superiore alle sue disponibilità finanziarie;
che, pertanto, il giudice rimettente non chiarisce se ritiene di aderire, e per quali ragioni, alle suddette opinioni della contribuente e, comunque, non mette in grado questa Corte di valutare se la norma denunciata debba essere effettivamente applicata nel giudizio cautelare a quo;
che un ulteriore motivo di inammissibilità consegue dal fatto che la Commissione tributaria regionale non afferma che la contribuente ha dimostrato di avere depositato il ricorso per cassazione – dimostrazione espressamente richiesta invece, quale condizione per la decisione sull’istanza cautelare, dall’art. 131-bis delle disposizioni di attuazione al codice di procedura civile – né attesta di aver accertato la tempestività dell’impugnazione, ma si limita a riferire il contenuto dell’istanza cautelare, aggiungendo solo l’ambigua osservazione che «il ricorso risulta presentato con grande ritardo rispetto al deposito della decisione»;
che tali carenze motivazionali rendono manifestamente inammissibile la questione, a prescindere dal rilievo che l’interpretazione conforme a Costituzione della censurata disposizione, quale adombrata da questa Corte nella sentenza n. 217 del 2010 e contrastata dal giudice a quo, è stata successivamente fatta propria (come rilevato anche dalla sentenza n. 109 del 2012, pure di questa Corte) non solo da alcune Commissioni tributarie regionali, ma anche dalla Corte di cassazione, con la sentenza n. 2845 del 2012.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 49, comma 1, del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546 (Disposizioni sul processo tributario in attuazione della delega al Governo contenuta nell’art. 30 della legge 30 dicembre1991, n. 413), sollevata dalla Commissione tributaria regionale della Sicilia, sezione staccata di Catania, con l’ordinanza indicata in epigrafe, in riferimento agli artt. 3, 24, 111 e 113 della Costituzione.
Cosí deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 2 luglio 2012.
F.to:
Alfonso QUARANTA, Presidente
Franco GALLO, Redattore
Gabriella MELATTI, Cancelliere
Depositata in Cancelleria l'11 luglio 2012.