Ordinanza n. 119 del 2007

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ORDINANZA N. 119

ANNO 2007

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

-  Franco                                 BILE                                                  Presidente

-  Giovanni Maria                   FLICK                                                             Giudice

-  Francesco                            AMIRANTE                                             “

-  Ugo                                     DE SIERVO                                             “

-  Romano                              VACCARELLA                                       “

-  Paolo                                   MADDALENA                                        “

-  Alfio                                   FINOCCHIARO                                      “

-  Alfonso                               QUARANTA                                            “

-  Franco                                 GALLO                                                     “

-  Luigi                                   MAZZELLA                                             “

-  Gaetano                              SILVESTRI                                              “

-  Sabino                                 CASSESE                                                 “

-  Maria Rita                           SAULLE                                                   “

-  Giuseppe                             TESAURO                                                “

-  Paolo Maria                         NAPOLITANO                                        “

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 49 del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546 (Disposizioni sul processo tributario in attuazione della delega al Governo contenuta nell’art. 30 della L. 30 dicembre 1991, n. 413); dell’art. 30, comma 1, della legge 30 dicembre 1991, n. 413 (Disposizioni per ampliare le basi imponibili, per razionalizzare, facilitare e potenziare l’attività di accertamento; disposizioni per la rivalutazione obbligatoria dei beni immobili delle imprese, nonché per riformare il contenzioso e per la definizione agevolata dei rapporti tributari pendenti; delega al Presidente della Repubblica per la concessione di amnistia per reati tributari; istituzioni dei centri di assistenza fiscale e del conto fiscale); dell’art. 283 del codice civile e dell’art. 33 della legge 6 dicembre 1971, n. 1034 (Istituzione dei tribunali amministrativi regionali), promosso con ordinanza dell’8 maggio 2006 dalla Commissione tributaria regionale del Veneto sui ricorsi riuniti proposti da Antares s.a.s. contro l’Agenzia delle Entrate – Ufficio di San Donà di Piave ed altra, iscritta al n. 449 del registro ordinanze 2006 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica, prima serie speciale, edizione straordinaria del 2 novembre 2006.

 

         Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

 

         udito nella camera di consiglio del 7 marzo 2007 il Giudice relatore Romano Vaccarella.

         Ritenuto che la Commissione tributaria regionale del Veneto, investita dell’appello avverso alcune sentenze della Commissione tributaria provinciale di Venezia, con ordinanza dell’8 maggio 2006, ha sollevato questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, dell’art. 49 del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546 (Disposizioni sul processo tributario in attuazione della delega al Governo contenuta nell’art. 30 della L. 30 dicembre 1991, n. 413), e dell’art. 30, comma 1, della legge 30 dicembre 1991, n. 413 (Disposizioni per ampliare le basi imponibili, per razionalizzare, facilitare e potenziare l’attività di accertamento; disposizioni per la rivalutazione obbligatoria dei beni immobili delle imprese, nonché per riformare il contenzioso e per la definizione agevolata dei rapporti tributari pendenti; delega al Presidente della Repubblica per la concessione di amnistia per reati tributari; istituzioni dei centri di assistenza fiscale e del conto fiscale), nella parte in cui escludono che il giudice d’appello possa, su istanza della parte privata soccombente in primo grado, «sospendere gli effetti della sentenza impugnata ai sensi dell’art. 283 cod. proc. civ., in presenza del grave pregiudizio dalla sua esecuzione»;

         che, in punto di fatto, il giudice rimettente riferisce che una società in accomandita semplice e i soci di essa hanno proposto appello avverso le sentenze con cui la Commissione tributaria provinciale di Venezia ha respinto i ricorsi proposti avverso avvisi di accertamento per imposte IVA, IRPEF e ILOR, relative a vari anni;

         che, a seguito della pronuncia delle sentenze di primo grado, la concessionaria della riscossione ha notificato ai contribuenti, società e soci, le cartelle esattoriali per la riscossione provvisoria dell’IVA ed ha iscritto ipoteca su un immobile di uno dei soci, dopo che, sul proposto gravame, era stata già pronunciata sentenza non definitiva di rigetto delle eccezioni pregiudiziali e preliminari di merito, era stata disposta consulenza tecnica contabile ed era stata respinta dalla medesima Commissione regionale un’istanza di sospensione dell’esecuzione delle sentenze di primo grado;

         che, secondo il giudice rimettente, l’istanza di sospensione ora al suo esame non è ammissibile, in quanto l’art. 49 del d.lgs. n. 546 del 1992, disponendo che alle impugnazioni delle sentenze delle commissioni tributarie «si applicano le disposizioni del titolo III, capo I, del libro II del codice di procedura civile, escluso l’art. 337», priva il giudice tributario d’appello del potere di sospendere l’efficacia esecutiva sia della sentenza di primo grado in pendenza dell’appello (art. 283 cod. proc. civ.), sia della sua stessa sentenza di secondo grado in pendenza del ricorso per cassazione (art. 373 cod. proc. civ.), come confermerebbero tanto l’art. 47, comma 4, del d.lgs. n. 546 del 1992 (dichiarando «non impugnabile» l’ordinanza con cui la commissione tributaria provinciale provvede sull’istanza di sospensione dell’esecuzione dell’atto impugnato), quanto l’inapplicabilità al procedimento di appello delle disposizioni relative alla tutela cautelare dettate per il procedimento di primo grado, in quanto non compatibili con la disciplina del gravame (art. 61 del d.lgs. n. 546 del 1992);

         che, quanto alla rilevanza della questione di legittimità costituzionale, il giudice a quo osserva che sussisterebbero nella specie i presupposti per l’accoglimento dell’istanza di sospensione delle impugnate sentenze di primo grado, sia in ordine al fumus boni iuris (dalla espletata consulenza tecnica sarebbe emerso che il debito fiscale è di gran lunga inferiore a quello accertato dall’amministrazione), sia in ordine al periculum in mora, data la gravità del danno che deriverebbe al contribuente dalla vendita dell’immobile ipotecato, a fronte dell’interesse dell’amministrazione alla riscossione, già adeguatamente salvaguardato dalla garanzia reale;

         che, quanto alla non manifesta infondatezza della questione, il giudice rimettente osserva, in riferimento all’art. 3 Cost., che, data la generalità della giurisdizione delle commissioni tributarie riguardo ai «tributi di ogni genere e specie comunque denominati» (art. 2, comma 1, del d.lgs. n. 546 del 1992), «non è conforme a razionalità che la commissione regionale non possa sospendere l’esecuzione della sentenza appellata come avviene nel secondo grado del giudizio civile ed amministrativo, anch’essi caratterizzati dall’identico requisito della generalità di giurisdizione» e che «nel solo giudizio tributario il contribuente debba inevitabilmente soggiacere alla sentenza», pur quando il pregiudizio derivante dall’esecuzione di essa non sia pienamente risarcibile;

         che, in riferimento all’art. 24 Cost., la «inessenzialità della piena tutela cautelare alla garanzia del diritto di difesa nel processo tributario» non è «ulteriormente giustificabile alla luce dell’estensione alle commissioni delle garanzie di imparzialità proprie dell’ordinamento giudiziario, dell’equiparazione del processo tributario a quello ordinario e del progressivo recedere della natura privilegiata del credito tributario»;

         che, con l’applicazione alle nomine, ai trasferimenti e agli incarichi dei componenti delle commissioni tributarie di regole proprie dell’ordinamento giudiziario – come previsto dall’art. 3-bis del decreto-legge 30 settembre 2005, n. 203 (Misure di contrasto all’evasione fiscale e disposizioni urgenti in materia tributaria e finanziaria), convertito, con modificazioni, nella legge 2 dicembre 2005, n. 248 – «cade ogni residua perplessità sulla garanzia d’indipendenza, di imparzialità e di professionalità dei giudici tributari al corretto esercizio della funzione cautelare anche nella modalità di sospensione delle sentenze»;

         che, infine, l’introduzione di ulteriori norme proprie del processo civile – ad opera del medesimo art. 3-bis del decreto-legge n. 203 del 2005 – è indice della volontà del legislatore di «equiparare l’andamento del processo tributario a quello ordinario di cognizione, caratterizzato da pienezza di tutela cautelare anche in appello»;

         che è intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, il quale ha concluso per l’infondatezza della questione, osservando che, secondo consolidata giurisprudenza costituzionale, la garanzia della tutela cautelare deve ritenersi imposta solo fino alla emanazione nel processo di una pronuncia di merito di primo grado, di tal ché la previsione di mezzi di cautela nelle fasi successive è rimessa alla discrezionalità del legislatore, e che la diversa ampiezza dei poteri cautelari attribuiti al giudice tributario rispetto a quello civile e amministrativo trova la sua non irragionevole giustificazione nella necessità di contemperamento tra la pretesa del contribuente e la preminente esigenza pubblica di assicurare il flusso delle entrate tributarie e, dunque, nella peculiare natura delle controversie oggetto della giurisdizione tributaria.

         Considerato che la Commissione tributaria regionale del Veneto dubita in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost., della legittimità costituzionale dell’art. 49 del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546 (Disposizioni sul processo tributario in attuazione della delega al Governo contenuta nell’art. 30 della L. 30 dicembre 1991, n. 413), e dell’art. 30, comma 1, della legge 30 dicembre 1991, n. 413 (Disposizioni per ampliare le basi imponibili, per razionalizzare, facilitare e potenziare l’attività di accertamento; disposizioni per la rivalutazione obbligatoria dei beni immobili delle imprese, nonché per riformare il contenzioso e per la definizione agevolata dei rapporti tributari pendenti; delega al Presidente della Repubblica per la concessione di amnistia per reati tributari; istituzioni dei centri di assistenza fiscale e del conto fiscale), nella parte in cui escludono che il giudice d’appello possa «sospendere gli effetti della sentenza impugnata ai sensi dell’art. 283 cod. proc. civ., in presenza del grave pregiudizio dalla sua esecuzione»;

         che la questione è manifestamente inammissibile, non soltanto perché l’istanza di sospensione – come riferisce il giudice a quo – è stata reiterata dopo il suo rigetto in limine dell’appello e perché le sopravvenute disposizioni di legge ricordate dal rimettente non incidono su quanto questa Corte ha statuito a proposito di identiche questioni con varie decisioni (sentenza n. 165 del 2000, ordinanze n. 325 del 2001 e n. 217 del 2000), non considerate dall’ordinanza di rimessione, ma anche perché oggetto del provvedimento di sospensione non potrebbe mai essere la sentenza che ha respinto l’impugnazione, bensì semmai il provvedimento impositivo la cui impugnazione è stata rigettata in primo grado.

 

         Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

per questi motivi

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

         dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 49 del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546 (Disposizioni sul processo tributario in attuazione della delega al Governo contenuta nell’art. 30 della L. 30 dicembre 1991, n. 413), e dell’art. 30, comma 1, della legge 30 dicembre 1991, n. 413 (Disposizioni per ampliare le basi imponibili, per razionalizzare, facilitare e potenziare l’attività di accertamento; disposizioni per la rivalutazione obbligatoria dei beni immobili delle imprese, nonché per riformare il contenzioso e per la definizione agevolata dei rapporti tributari pendenti; delega al Presidente della Repubblica per la concessione di amnistia per reati tributari; istituzioni dei centri di assistenza fiscale e del conto fiscale), sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, dalla Commissione tributaria regionale del Veneto con l’ordinanza in epigrafe.

            Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 21 marzo 2007.

 

F.to:

 

Franco BILE, Presidente

 

Romano VACCARELLA, Redattore

 

Maria Rosaria FRUSCELLA, Cancelliere

 

Depositata in Cancelleria il 5 aprile 2007.