ORDINANZA N.325
ANNO 2001
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici
- Cesare RUPERTO, Presidente
- Massimo VARI
- Riccardo CHIEPPA
- Gustavo ZAGREBELSKY
- Valerio ONIDA
- Carlo MEZZANOTTE
- Guido NEPPI MODONA
- Piero Alberto CAPOTOSTI
- Annibale MARINI
- Franco BILE
- Giovanni Maria FLICK
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 47 e 49 del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546 (Disposizioni sul processo tributario in attuazione della delega al Governo contenuta nell’art. 30 della legge 30 dicembre 1991, n. 413), promosso con ordinanza emessa il 7 ottobre 1999 dalla Commissione tributaria regionale di Perugia sul ricorso proposto da Hangartner Ulrike Gertrud contro l’Ufficio delle entrate di Perugia, iscritta al n. 63 del registro ordinanze 2001 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 5, prima serie speciale, dell’anno 2001.
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 4 luglio 2001 il Giudice relatore Annibale Marini.
Ritenuto che la Commissione tributaria regionale di Perugia, con ordinanza emessa il 7 ottobre 1999, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale degli artt. 47 e 49 del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546 (Disposizioni sul processo tributario in attuazione della delega al Governo contenuta nell’art. 30 della legge 30 dicembre 1991, n. 413), nella parte in cui non consentono, nel processo tributario, la sospensione ope iudicis della esecutività della sentenza di secondo grado, in pendenza di ricorso per cassazione;
che la Commissione tributaria rimettente - investita di una istanza di sospensione della esecutività di una propria sentenza, ai sensi dell’art. 373 del codice di procedura civile, in pendenza del ricorso per cassazione ritualmente proposto dalla parte privata soccombente – muove dalla premessa che la norma del codice di rito invocata dalla parte istante non sia applicabile al processo tributario, sia perchè l’art. 49 del decreto legislativo n. 546 del 1992 espressamente esclude l’applicabilità a tale processo dell’art. 337 cod. proc. civ. e quindi anche delle norme da quest’ultimo richiamate, tra cui appunto l’art. 373 cod. proc. civ., sia in quanto l’art. 47 del medesimo decreto legislativo rende palese l’intenzione del legislatore di limitare la tutela cautelare solamente al primo grado di giudizio;
che l’esclusione di ogni possibilità di tutela cautelare nei confronti della efficacia esecutiva della sentenza di secondo grado rappresenterebbe tuttavia - ad avviso dello stesso rimettente - una lesione del diritto di difesa, garantito dall’art. 24 della Costituzione, di cui l’azione cautelare costituirebbe sicura espressione;
che le norme censurate sarebbero altresì lesive del principio di eguaglianza, di cui all’art. 3 della Costituzione, per l’ingiustificata disparità di trattamento che esse determinerebbero, quanto alla tutela giurisdizionale offerta ai contribuenti, tra le controversie in materia di imposte e tasse devolute alla cognizione del giudice ordinario, nelle quali troverebbe applicazione l’art. 373 cod. proc. civ., e quelle attribuite alla giurisdizione delle commissioni tributarie, che appunto non prevedono la possibilità di inibitoria;
che é intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, concludendo per la declaratoria di infondatezza della questione;
che l’Avvocatura - quanto alla dedotta violazione dell’art. 24 Cost. – osserva che nel processo tributario, diversamente che nel processo civile, l’esecutività é un attributo non della sentenza, ma dell’atto impugnato, al quale soltanto può perciò essere riferita - come appunto dispone l’art. 47 del decreto legislativo n. 546 del 1992 - la sospensione dell’esecuzione, i cui effetti sono destinati a cessare con la pubblicazione della sentenza di primo grado;
che il successivo art. 68 del medesimo decreto legislativo prevede d’altro canto, nella pendenza del giudizio tributario, un articolato sistema di pagamento frazionato del tributo accertato dall’amministrazione, in funzione del grado e del contenuto delle sentenze emesse nel corso del giudizio;
che tale peculiare sistema esprimerebbe la coerente e ragionevole scelta del legislatore nel contemperamento tra il diritto di difesa del contribuente e la preminente esigenza pubblica di assicurare il tempestivo flusso delle entrate tributarie e non sarebbe perciò lesivo del precetto di cui all’art. 24 della Costituzione;
che il secondo profilo di asserita illegittimità, riferito all’art. 3 della Costituzione, si fonderebbe poi - ad avviso ancora della parte pubblica - su una erronea premessa, in quanto il giudice civile non avrebbe affatto il potere di sospendere la riscossione dei tributi nè a tale fine potrebbe avvalersi delle norme (artt. 283 e 373 cod. proc. civ.) che consentono la sospensione della esecutività delle sentenze di primo e secondo grado, proprio in quanto il titolo esecutivo, in materia tributaria, non é costituito dalla sentenza di rigetto del ricorso bensì dall’atto impugnato;
che la tutela cautelare assicurata al contribuente nel processo tributario risulterebbe dunque addirittura più ampia di quella disponibile nel processo dinanzi al giudice ordinario.
Considerato che questa Corte ha già dichiarato non fondata identica questione di legittimità costituzionale degli artt. 47 e 49 del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546 (Disposizioni sul processo tributario in attuazione della delega al Governo contenuta nell’art. 30 della legge 30 dicembre 1991, n. 413), sollevata dal medesimo giudice, sempre in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost. (sentenza n. 165 del 2000);
che, per quanto riguarda l’asserita lesione del diritto di difesa, si osserva in tale pronuncia come la garanzia costituzionale della tutela cautelare, trovando il suo fondamento nell’esigenza di evitare che la durata del processo vada a danno dell’attore che ha ragione, "debba ritenersi imposta solo fino al momento in cui non intervenga, nel processo, una pronuncia di merito che accolga – con efficacia esecutiva – la domanda, rendendo superflua l’adozione di ulteriori misure cautelari, ovvero la respinga, negando in tal modo, con cognizione piena, la sussistenza del diritto e dunque il presupposto stesso della invocata tutela";
che, quanto invece alla pretesa violazione del principio di eguaglianza, la citata sentenza fa richiamo alla giurisprudenza di questa Corte "che ha costantemente escluso l’esistenza di un principio (costituzionalmente rilevante) di necessaria uniformità tra i vari tipi di processo";
che la questione va pertanto dichiarata manifestamente infondata.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi dinanzi alla Corte costituzionale.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale degli articoli 47 e 49 del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546 (Disposizioni sul processo tributario in attuazione della delega al Governo contenuta nell’art. 30 della legge 30 dicembre 1991, n. 413), sollevata, in riferimento agli articoli 3 e 24 della Costituzione, dalla Commissione tributaria regionale di Perugia, con l’ordinanza in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 12 luglio 2001.
Cesare RUPERTO, Presidente
Annibale MARINI, Redattore
Depositata in Cancelleria il 27 luglio 2001.