Ordinanza n. 329 del 2010

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ORDINANZA N. 329

ANNO 2010

 

REPUBBLICA ITALIANA

 

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

-           Ugo                             DE SIERVO                                    Presidente

-           Paolo                           MADDALENA                                 Giudice

-           Alfonso                       QUARANTA                                           “

-           Franco                         GALLO                                                    “

-           Luigi                            MAZZELLA                                            “

-           Sabino                         CASSESE                                                “

-           Maria Rita                   SAULLE                                                  “

-           Giuseppe                     TESAURO                                               “

-           Paolo Maria                 NAPOLITANO                                       “

-           Giuseppe                     FRIGO                                                     “

-           Alessandro                  CRISCUOLO                                          “

-           Paolo                           GROSSI                                                   “

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nei giudizi di legittimità costituzionale degli articoli 10-bis del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), aggiunto dall’art. 1, comma 16, lettera a), della legge 15 luglio 2009, n. 94 (Disposizioni in materia di sicurezza pubblica), e 16, comma 1, dello stesso decreto legislativo e dell’art. 1-ter, commi 1 e 8, del decreto-legge 1° luglio 2009, n.78 (Provvedimenti anticrisi, nonché proroga di termini), convertito, con modificazioni, dalla legge 3 agosto 2009, n. 102, promossi dal Giudice di pace di Borgo San Dalmazzo con ordinanza del 27 ottobre 2009, dal Giudice di pace di Vergato con due ordinanze del 26 novembre 2009, dal Giudice di pace di Rivarolo Canavese con ordinanza del 7 gennaio 2010 e dal Giudice di pace di Vergato con due ordinanze del 18 febbraio 2010, rispettivamente iscritte ai nn. 2, 99, 100, 188, 200 e 201, del registro ordinanze 2010 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 5, 14, 25 e 27, prima serie speciale, dell’anno 2010.

Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 20 ottobre 2010 il Giudice relatore Alessandro Criscuolo.

Ritenuto che, con ordinanza in data 27 ottobre 2009 (r.o. n. 2 del 2010), il Giudice di pace di Borgo San Dalmazzo ha sollevato, in riferimento agli articoli 2, 3, 10 e 27 della Costituzione, «nonché del principio costituzionale di ragionevolezza della legge penale», questione di legittimità costituzionale dell’articolo 10-bis del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), aggiunto dall’articolo 1, comma 16, lettera a), della legge 15 luglio 2009, n. 94 (Disposizioni in materia di sicurezza pubblica);

che il giudice a quo, chiamato a pronunciarsi nel processo penale a carico di Y. A. M. A., imputato «del reato di cui all’art. 10-bis del d.lgs. n. 286 del 1998 per essersi intrattenuto illegalmente nel territorio dello Stato in violazione delle disposizioni di cui al d.lgs. n. 296/98», accertato in Limone Piemonte il 1°ottobre 2009, premette quanto segue: «In data 1.10.2009 la Polizia di frontiera di Limone Piemonte (CN) inviava alla Procura della Repubblica c/o Tribunale di Cuneo richiesta di autorizzazione alla presentazione immediata (n. 228/2009 prot.), ai sensi dell’art. 20 bis D.L.vo n. 274/2000 e successive modifiche, di Y. A. M. A., sedicente cittadino egiziano senza fissa dimora, per violazione dell’art.10 bis D. L.vo n. 286/98 (ingresso e soggiorno illegali nel territorio dello stato)»;

che la detta Procura della Repubblica autorizzava la presentazione in giudizio dell’imputato, rimasto contumace benché ritualmente citato;

che, ad avviso del rimettente, la normativa disciplinante l’immigrazione ha acquisito nel corso degli anni «un contenuto esplicitamente proibizionista»;

che, in particolare, ad avviso del giudice a quo, le soluzioni adottate per il governo dell’immigrazione «hanno visto una escalation dal contenuto sempre più repressivo che ha portato al prolungamento del periodo di intrattenimento nei centri di permanenza, al prelievo obbligatorio delle impronte digitali degli stranieri, alla introduzione di una specifica aggravante per il migrante irregolare che commette reato, agli ostacoli per l’accesso alle cure mediche, all’abitazione e al trasferimento dei fondi alle proprie famiglie»;

che la norma censurata – la quale punisce con l’ammenda da 5.000,00 a 10.000,00 euro, se il fatto non costituisce più grave reato, lo straniero che fa ingresso ovvero si trattiene nel territorio dello Stato, in violazione delle disposizioni del (citato) testo unico, nonché quelle di cui all’art. 1 della legge 28 maggio 2007, n. 68 (Disciplina dei soggiorni di breve durata degli stranieri per visite, affari, turismo e studio) – si pone in contrasto con il principio di ragionevolezza in quanto «norma ontologicamente ingiusta che incarna un diritto completamente svincolato dalla giustizia» e che introduce una fattispecie di reato con la quale «non si è fatto altro che proseguire nella persecuzione non di un fatto, ma di una condizione personale»;

che il rimettente ritiene violato il detto principio di ragionevolezza, anche perché la pena pecuniaria prevista nella detta misura è priva di effetti concreti, in quanto applicabile a «soggetti che hanno affrontato la tragedia della fuga dalla persecuzione e dalla fame», sicché la stessa appare «così calcolata per permettere la sanzione vera e cioè quella dell’espulsione»;

che la disposizione censurata viola, inoltre, il principio di uguaglianza e quello del carattere personale della responsabilità penale, in quanto, secondo il giudice a quo, essa è «discriminante» nei confronti di «quei gruppi sociali più deboli» poiché qualifica l’immigrato «come cosa e non persona priva di diritti» e lo sanziona sul solo presupposto «di una condizione di pericolosità sociale aprioristicamente individuata che, invece, deve essere accertata in concreto nei confronti delle singole persone»;

che la norma impugnata viola, ancora, il principio di solidarietà, perché con la «indiscriminata» previsione della illiceità penale del soggiorno non regolare del migrante pare recepire «pulsioni che vogliono il diritto contrario alla giustizia»;

che, infine, secondo il giudice a quo, la disposizione in oggetto si pone in contrasto anche con l’art. 10 Cost. perché viola «le convenzioni internazionali che l’Italia si è impegnata a rispettare»;

che, con quattro ordinanze di identico contenuto, emesse il 26 novembre 2009 (r.o. n. 99 e n. 100 del 2010) e il 18 febbraio 2010 (r.o. n. 200 e n. 201 del 2010), il Giudice di pace di Vergato ha sollevato questioni di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 3, 24, secondo comma, e 27, terzo comma, Cost., dell’art. 10-bis e dell’art. 16, comma 1, del d.lgs. n. 286 del 1998, dell’art. 1-ter, commi 1 e 8, del decreto-legge 1° luglio 2009, n. 78 (Provvedimenti anticrisi, nonché proroga di termini), convertito, con modificazioni, dalla legge 3 agosto 2009, n. 102, e dell’art. 62-bis del decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274 (Disposizioni sulla competenza penale del giudice di pace, a norma dell’art. 14 della legge 24 novembre 1999, n. 468 ), aggiunto dall’art. 1, comma 17, lettera d), della legge n. 94 del 2009;

che, secondo il giudice a quo, l’art. 10-bis del d.lgs. n. 286 del 1998, nella parte in cui non prevede la possibilità per lo straniero di addurre una causa di giustificazione o di usufruire di un termine per potersi allontanare, si pone in contrasto con l’art. 3 Cost., dal momento che introduce una irragionevole disparità di trattamento rispetto alla fattispecie di cui all’art. 14, comma 5-ter, del medesimo decreto legislativo, stante l’assenza del riferimento alla sussistenza di giustificati motivi di inosservanza del precetto, presente invece in quest’ultima norma;

che la disposizione in oggetto, ad avviso del rimettente, si pone, altresì, in contrasto con l’art. 24 Cost. e, in particolare, con il principio nemo tenetur se detegere in quanto, non indicando le forme di allontanamento, costringe lo straniero, presente in modo irregolare sul territorio dello Stato alle ore 00,00 del giorno 8 agosto 2009, ad autodenunciarsi;

che, secondo il giudice a quo, l’art. 16, comma 1, del d.lgs. n. 286 del 1998 e l’art. 62-bis del d.lgs. n. 274 del 2000, là dove attribuiscono la facoltà al giudice di pace di applicare il provvedimento di espulsione in sostituzione della condanna al pagamento dell’ammenda di cui all’art. 10-bis, comma 1, del d.lgs. n. 286 del 1998, violano l’art. 27, terzo comma, Cost., poiché detta facoltà non risponde alla finalità rieducativa della pena;

che, inoltre, le disposizioni di cui all’art. 1-ter, commi 1 e 8, del d.l. n. 78 del 2009 nella parte in cui non prevedono la sospensione del procedimento penale per la violazione delle norme che disciplinano l’ingresso ed il soggiorno dello straniero, anche nei confronti di lavoratori stranieri disponibili all’emersione svolgenti attività lavorative diverse da quella di assistenza e sostegno alle famiglie, si pongono in contrasto con l’art. 3 Cost., in quanto la discrezionalità del legislatore appare essere stata esercitata in modo da discriminare gli stranieri in relazione all’attività di lavoro esercitata;

che, con ordinanza emessa il 7 gennaio 2010 (r.o. n. 188 del 2010), il Giudice di pace di Rivarolo Novarese ha sollevato, in riferimento agli artt. 2, 3, primo comma, 25, secondo comma, e 97, primo comma, Cost., questione di legittimità costituzionale dell’art. 10-bis del d.lgs. n. 286 del 1998, limitandosi ad osservare, in un procedimento penale promosso per asserita violazione di detta norma, che tale questione, prospettata dal pubblico ministero, meritava di essere condivisa per le motivazioni addotte, «in quanto ritenuta fondata e non manifestamente irrilevante»;

che il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, è intervenuto soltanto nei giudizi promossi con ordinanze iscritte al r.o. n. 2 e n. 100 del 2010, chiedendo che le questioni siano dichiarate inammissibili per difetto di motivazione sulla rilevanza e sulla violazione dei parametri costituzionali invocati o, comunque, infondate.

Considerato che le ordinanze di rimessione, indicate in epigrafe, sollevano questioni identiche o analoghe, onde i relativi giudizi vanno riuniti per essere definiti con unica decisione;

che il Giudice di pace di Borgo San Dalmazzo dubita, in riferimento agli articoli 2, 3, 10 e 27 della Costituzione, «nonché del principio costituzionale di ragionevolezza della legge penale», della legittimità costituzionale dell’art. 10-bis del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), aggiunto dall’art. 1, comma 16, lettera a), della legge 15 luglio 2009, n. 94 (Disposizioni in materia di sicurezza pubblica), che punisce con l’ammenda da 5.000,00 a 10.000,00 euro, salvo che il fatto costituisca più grave reato, lo straniero il quale fa ingresso ovvero si trattiene nel territorio dello Stato, in violazione delle disposizioni del (citato) testo unico;

che il Giudice di pace di Vergato dubita, in riferimento agli articoli 3, 24, secondo comma, e 27, terzo comma, Cost., della legittimità costituzionale dell’art. 10-bis e dell’art. 16, comma 1, del d.lgs. n. 286 del 1998; dell’art. 1-ter, commi 1 e 8, del decreto-legge 1° luglio 2009, n. 78 (Provvedimenti anticrisi, nonché proroga di termini), convertito, con modificazioni, dalla legge 3 agosto 2009, n. 102; dell’art. 62-bis del decreto legislativo del 28 agosto 2000, n. 274 (Disposizioni sulla competenza penale del giudice di pace, a norma dell’art. 14 della legge 24 novembre 1999 n. 468 ), aggiunto dall’art. 1, comma 17, lettera d), della legge n. 94 del 2009;

che, in particolare, sebbene il rimettente non abbia indicato nei dispositivi delle ordinanze i precetti oggetto di censura, ad eccezione dell’art. 10-bis del d.lgs. n. 286 del 1998, dall’intero contesto dei provvedimenti emerge chiaramente come le doglianze si appuntino anche sulle altre norme citate, sicché, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, esse vanno ritenute oggetto del sindacato di legittimità costituzionale (ex plurimis: sentenza n. 320 del 2009, ordinanze n. 192 del 2010 e n. 85 del 2003);

che il Giudice di pace di Rivarolo Canavese (r.o. n. 188 del 2010) dubita, in riferimento agli artt. 2, 3, primo comma, 25, secondo comma, e 97, primo comma, Cost., della legittimità costituzionale dell’art. 10-bis del d.lgs. n. 286 del 1998;

che la questione di legittimità costituzionale sollevata dal Giudice di pace di Borgo San Dalmazzo è manifestamente inammissibile perché, nel quadro di una serie di rilievi (peraltro, a carattere meramente assertivo), trascura di compiere un’adeguata descrizione della fattispecie, omettendo ogni riferimento alle circostanze in cui l’imputato era stato individuato e che avevano condotto a qualificare illegale il suo trattenimento sul territorio dello Stato, e limitandosi a riprodurre nell’epigrafe del provvedimento il capo d’imputazione, a sua volta soltanto ripetitivo della norma incriminatrice;

che tali lacune precludono la possibilità di svolgere il necessario controllo sulla rilevanza della questione (ex plurimis: ordinanze n. 85 del 2010; n. 211, n. 181 e n. 157 del 2009);

che analoga declaratoria di manifesta inammissibilità deve essere pronunciata in relazione alle quattro ordinanze del Giudice di pace di Vergato, le quali, trascurando di fornire qualsiasi indicazione in ordine alle fattispecie oggetto dei giudizi, non soltanto impediscono di valutare la rilevanza delle questioni, ma non consentono neppure di cogliere la pertinenza delle disposizioni censurate rispetto alle fattispecie medesime, non essendo dato comprendere se di quelle norme il giudicante debba fare applicazione (ex plurimis: ordinanze n. 256 del 2009 e n. 384 del 2007);

che, da ultimo, il Giudice di pace di Rivarolo Canavese non ha chiarito con una motivazione autosufficiente le ragioni che lo portano a dubitare della costituzionalità della norma, essendosi limitato a rinviare alle deduzioni del pubblico ministero, peraltro non riportate neppure per sintesi nell’ordinanza, in relazione alle quali si afferma in forma apodittica che la questione è «proposta in quanto ritenuta fondata e non manifestamente irrilevante»;

che, comunque, sulle medesime censure sollevate dalle ordinanze di rimessione, con riferimento all’art. 10-bis, del d.lgs. n. 286 del 1998, questa Corte si è pronunciata, rigettandole, con la sentenza n. 250 del 2010.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

Per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi,

dichiara la manifesta inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale degli articoli 10-bis e 16, comma 1, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), rispettivamente aggiunto e modificato dall’art. 1, commi 16 e 22, della legge 15 luglio 2009, n. 94 (Disposizioni in materia di sicurezza pubblica), dell’art. 1-ter, commi 1 e 8, del decreto-legge 1° luglio 2009, n. 78 (Provvedimenti anticrisi, nonché proroga di termini), convertito, con modificazioni, dalla legge 3 agosto 2009, n. 102, e dell’art. 62-bis del decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274 (Disposizioni sulla competenza penale del giudice di pace, a norma dell’art. 14 della legge 24 novembre 1999, n. 468 ), aggiunto dall’art. 1, comma 17, lettera d), della legge n. 94 del 2009, sollevate, in riferimento agli articoli 2, 3, 10, 24, 25, 27 e 97 della Costituzione, dal Giudice di pace di Borgo San Dalmazzo, dal Giudice di pace di Vergato e dal Giudice di pace di Rivarolo Canavese con le ordinanze indicate in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 3 novembre 2010.

F.to:

Ugo DE SIERVO, Presidente

Alessandro CRISCUOLO, Redattore

Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 17 novembre 2010.