Ordinanza n. 157 del 2009

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ORDINANZA N. 157

ANNO 2009

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

-    Francesco                  AMIRANTE                          Presidente

-    Ugo                          DE SIERVO                            Giudice         

-    Paolo                        MADDALENA                             "

-    Alfio                         FINOCCHIARO                          "

-    Alfonso                     QUARANTA                               "

-    Franco                      GALLO                                       "

-    Luigi                         MAZZELLA                                "

-    Gaetano                     SILVESTRI                                 "

-    Sabino                       CASSESE                                   "

-    Maria Rita                 SAULLE                                     "

-    Giuseppe                   TESAURO                                   "

-    Paolo Maria               NAPOLITANO                            "

-    Giuseppe                   FRIGO                                        "

-    Alessandro                 CRISCUOLO                              "

-    Paolo                        GROSSI                                      "

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 267 del codice di procedura penale, promosso dal Tribunale di Enna nel procedimento penale a carico di M.V. ed altri con ordinanza del 17 aprile 2007, iscritta al n. 841 del registro ordinanze 2007 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 4, prima serie speciale, dell’anno 2008.

         Udito nella camera di consiglio del 22 aprile 2009 il Giudice relatore Giuseppe Frigo.

Ritenuto che, con ordinanza del 17 aprile 2007, il Tribunale di Enna ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 15 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 267 del codice di procedura penale, nella parte in cui non prevede che il decreto di autorizzazione delle intercettazioni di comunicazioni debba contenere, a pena di nullità dell’atto, la sottoscrizione del giudice;

che il rimettente riferisce, in punto di fatto, che nel corso del processo a quo – provvedendo sulle richieste di prova formulate dalle parti – il Tribunale di Enna aveva accolto, con ordinanza dell’11 ottobre 2005, l’eccezione della difesa di inutilizzabilità delle intercettazioni tra presenti, perché autorizzate dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Caltanissetta con decreto privo di sottoscrizione;

che, in una successiva udienza, l’ordinanza era stata peraltro revocata dal medesimo Tribunale, in diversa composizione, che aveva dichiarato quindi utilizzabili le predette intercettazioni;

che i difensori degli imputati avevano chiesto, tuttavia, al Tribunale di riesaminare l’eccezione di inutilizzabilità, deducendo l’illegittimità costituzionale dell’art. 267 cod. proc. pen. per violazione degli artt. 2, 3, 15 e 111 Cost., nella parte in cui non prevede la sottoscrizione del giudice quale requisito a pena di nullità dell’atto;

 che, ad avviso del rimettente, la questione sarebbe rilevante, stante la necessità di fare applicazione della norma sospettata di incostituzionalità, in sede di delibazione della rinnovata eccezione della difesa;

che il giudice a quo reputa, altresì, la questione non manifestamente infondata in riferimento agli artt. 3 e 15 Cost., assumendo che il vigente sistema processuale penale sarebbe ispirato al principio per cui i provvedimenti limitativi di libertà costituzionalmente garantite debbono essere adottati per atto scritto e sottoscritti, a pena di nullità, dal giudice, così come prevede, ad esempio, l’art. 292 cod. proc. pen., in materia di ordinanze applicative di misure cautelari sia coercitive che interdittive;

che, a parere del rimettente, al rigore che caratterizza la disciplina delle ordinanze ora indicate – non soltanto ove incidano sul bene primario della libertà personale, ma anche quando limitino diritti di rango meno elevato, come nel caso delle misure interdittive – verrebbe irragionevolmente a contrapporsi la possibilità che un atto idoneo a comprimere la libertà di comunicazione – la cui limitazione può avvenire, ai sensi dell’art. 15 Cost., «soltanto per atto motivato dell’autorità giudiziaria con le garanzie previste dalla legge», analogamente a quanto stabilisce l’art. 13 Cost. per la libertà personale – sia adottato senza la garanzia minima, offerta appunto dalla sottoscrizione, che lo stesso provenga da soggetto investito della funzione giurisdizionale.

Considerato che il Tribunale di Enna dubita della legittimità costituzionale dell’art. 267 del codice di procedura penale, nella parte in cui non prevede la sottoscrizione del giudice quale requisito a pena di nullità del decreto che autorizza le intercettazioni;

che, ad avviso del rimettente, la norma denunciata violerebbe tanto l’art. 3 Cost., per la irragionevole disparità di trattamento rispetto alla disciplina valevole per le ordinanze applicative di misure cautelari (art. 292 cod. proc. pen.); quanto l’art. 15 Cost., giacché, in assenza della sottoscrizione, verrebbe meno la garanzia della riferibilità del decreto ad un soggetto investito di funzioni giurisdizionali, richiesta ai fini della limitazione della libertà di comunicazione;

che, in rapporto a tale quesito, il giudice a quo offre una descrizione inadeguata della fattispecie concreta sottoposta alla sua valutazione, limitandosi soltanto a riferire che il decreto che autorizza le intercettazioni, oggetto del vaglio di utilizzabilità, difetta della sottoscrizione;

che il rimettente omette con ciò di considerare che la sanzione della nullità presuppone logicamente la giuridica esistenza dell’atto;

che, di conseguenza, nel caso del difetto di sottoscrizione, in tanto il vizio di nullità è ipotizzabile, in quanto non sia in discussione la circostanza che, al di là della carenza formale, il documento non sottoscritto racchiuda comunque il provvedimento di un giudice;

che il Tribunale di Enna non indica, tuttavia, quali elementi consentano di ritenere che il decreto non firmato, di cui si discute nella specie, sia stato effettivamente adottato dal giudice che vi è indicato come autore: anzi, dolendosi specificamente della circostanza che il difetto di sottoscrizione faccia venir meno la «garanzia minima, offerta appunto dalla sottoscrizione, che lo stesso provenga da un soggetto investito della funzione giurisdizionale», il rimettente sembrerebbe escludere che i suddetti elementi sussistano;

che – in conformità alla costante giurisprudenza di questa Corte (ex plurimis, ordinanze n. 248, n. 217 e n. 82 del 2008) – la carente descrizione della fattispecie concreta, impedendo di verificare l’effettiva rilevanza della questione nel giudizio a quo, rende la stessa manifestamente inammissibile; ciò a prescindere dall’ulteriore rilievo che, nel sollevare la questione, il giudice rimettente non prende affatto in considerazione – anche solo al fine di contestarne la validità – gli orientamenti della giurisprudenza di legittimità secondo i quali il difetto di sottoscrizione sarebbe causa di nullità dei provvedimenti giurisdizionali (pure riconoscibili come tali), in applicazione di un principio generale desumibile dall’art. 546, comma 3, cod. proc. pen., dettato in rapporto alla sentenza (si veda la sentenza della Corte di cassazione n. 9759 del 2005), ovvero implicherebbe – almeno in taluni casi – la carenza di un requisito da ritenere comunque necessario ai fini dell’esistenza dell’atto (si veda, in questo senso, con riferimento all’omessa sottoscrizione della sentenza del giudice monocratico, sul rilievo che la sottoscrizione «conferisce al documento il collegamento necessario fra la sua materiale formazione e l’autore», la sentenza della Corte di cassazione n. 5223 del 2000).

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 267 del codice di procedura penale, sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 15 della Costituzione, dal Tribunale di Enna con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 6 maggio 2009.

F.to:

Francesco AMIRANTE, Presidente

Giuseppe FRIGO, Redattore

Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 19 maggio 2009.