ORDINANZA N. 258
ANNO 2009
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Francesco AMIRANTE Presidente
- Ugo DE SIERVO Giudice
- Paolo MADDALENA "
- Alfio FINOCCHIARO "
- Alfonso QUARANTA "
- Franco GALLO "
- Luigi MAZZELLA "
- Gaetano SILVESTRI "
- Sabino CASSESE "
- Maria Rita SAULLE "
- Giuseppe TESAURO "
- Paolo Maria NAPOLITANO "
- Giuseppe FRIGO "
- Alessandro CRISCUOLO "
- Paolo GROSSI "
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 2, del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446 (Istituzione dell’imposta regionale sulle attività produttive, revisione degli scaglioni, delle aliquote e delle detrazioni dell’Irpef e istituzione di una addizionale regionale a tale imposta, nonché riordino della disciplina dei tributi locali) e dell’art. 10 del decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917 (Approvazione del testo unico delle imposte sui redditi), promossi dalla Commissione tributaria provinciale di Genova con ordinanza del 12 febbraio 2004, dalla Commissione tributaria provinciale di Parma con quattro ordinanze del 23 marzo 2006, dalla Commissione tributaria provinciale di Chieti con ordinanza del 30 ottobre 2006, dalla Commissione tributaria provinciale di Parma con ordinanza del 9 novembre 2006, dalla Commissione tributaria provinciale di Bologna con due ordinanze del 24 settembre 2007, ordinanze rispettivamente iscritte al n. 521 del registro ordinanze 2004, ai nn. da 180 a 183, 362 e 498 del registro ordinanze 2007 ed ai nn. 36 e 37 del registro ordinanze 2008 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 23, prima serie speciale, dell’anno 2004, nn. 14, 20 e 26, prima serie speciale, dell’anno 2007 e n. 10, prima serie speciale, dell’anno 2008.
Visti l’atto di costituzione di Francesco Paolucci ed altro nonché gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell’udienza pubblica del 7 luglio 2009 e nella camera di consiglio dell’8 luglio 2009 il Giudice relatore Sabino Cassese;
uditi l’avvocato Vittorio Paolucci per Francesco Paolucci ed altro e l’avvocato dello Stato Paolo Gentili per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto che nel corso di un giudizio, promosso da una società per azioni avverso il provvedimento di diniego dell’Agenzia delle entrate, in relazione all’istanza di rimborso dell’imposta sui redditi delle persone giuridiche (Irpeg), per la quota indeducibile dell’imposta regionale sulle attività produttive (Irap), la Commissione tributaria provinciale di Genova ha sollevato, con riferimento all’art. 53 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 2, del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446 (Istituzione dell’imposta regionale sulle attività produttive, revisione degli scaglioni, delle aliquote e delle detrazioni dell’Irpef e istituzione di una addizionale regionale a tale imposta, nonché riordino della disciplina dei tributi locali), nella parte in cui vieta la deducibilità dell’Irap dalle imposte sui redditi (r.o. n. 521 del 2004);
che, in ordine alla rilevanza della questione di legittimità costituzionale, la Commissione osserva che essa condiziona direttamente ed inequivocabilmente la domanda di restituzione dell’Irpeg formulata dalla società ricorrente;
che, per quanto riguarda la non manifesta infondatezza della questione, la Commissione ritiene che, con riferimento al reddito di impresa, l’esclusione della deducibilità dell’Irap (che per l’imprenditore rappresenta un fattore economico di spesa) dal reddito assoggettato alle imposte sui redditi determina l’imposizione non su un reddito netto, il quale è e deve essere l’indice di capacità contributiva che giustifica l’imposizione erariale, ma su un reddito lordo e, quindi, può verificarsi che imprese la cui gestione sia in perdita paghino ugualmente Irpef ed Irpeg come se avessero prodotto un reddito, mentre altre imprese con gestione in utile vengano assoggettate ad imposta con prelievo pari o superiore all’utile stesso, con conseguente violazione dell’art. 53 Cost.;
che nel giudizio dinanzi alla Corte è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, concludendo per l’inammissibilità o l’infondatezza della questione;
che, secondo la difesa statale, l’inammissibilità discende dalla insufficiente descrizione della fattispecie da parte del giudice rimettente, perché la censura è basata su una «situazione-limite» di imprese in perdita o assoggettate a Irap di importo pari o superiore all’utile, non corrispondente alla situazione dell’impresa ricorrente, e perché dall’ordinanza non risulta chiaro se gli importi Irap chiesti dalla società ricorrente in rimborso siano versamenti in acconto o solo accantonamenti;
che, prosegue l’Avvocatura generale dello Stato, nel merito la questione è palesemente infondata, perché la non deducibilità dalle imposte personali dipende dalla natura di imposta reale dell’Irap e dal fatto che essa è stata istituita «anche per raggiungere capacità contributiva che, altrimenti sfuggirebbe alla imposizione “personale” o da questa sarebbe solo marginalmente lambita; la Irap ha in sostanza doverosamente colmato una lacuna rispetto alla piena applicazione del predetto parametro»;
che, in prossimità dell’udienza fissata per la trattazione (20 febbraio 2007), l’Avvocatura generale dello Stato ha depositato una memoria con ulteriori argomentazioni a difesa della norma impugnata, rilevando che rientra nella discrezionalità del legislatore l’individuazione non solo del fatto espressivo della idoneità alla contribuzione, ma anche dell’entità e della proporzionalità dell’onere tributario, anche con riferimento agli oneri deducibili, e che la scelta della non deducibilità non è irragionevole ed arbitraria, in considerazione della fisiologica traslabilità dell’onere fiscale e delle ragioni di semplificazione, sotto il profilo della gestione amministrativa dell’imposta e della regolazione dei flussi finanziari tra Stato e Regioni;
che nel corso di quattro procedimenti promossi da soci di una società in nome collettivo avverso l’Agenzia delle entrate di Parma, volti all’annullamento del silenzio rifiuto opposto dalla stessa all’istanza di restituzione di somme versate a titolo di Irpef, per la quota non deducibile dell’Irap, la Commissione provinciale tributaria di Parma, con quattro distinte ordinanze di contenuto analogo, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 2, del d.lgs. n. 446 del 1997, con riferimento all’art. 53 Cost. (r.o. nn. 180, 181, 182 e 183 del 2007);
che, in ordine alla rilevanza della questione di legittimità costituzionale, la Commissione osserva che essa condiziona direttamente la domanda di restituzione dell’Irpef formulata dai ricorrenti;
che, per quanto riguarda la non manifesta infondatezza della questione, la Commissione ritiene che «l’indeducibilità dell’Irap dalla base imponibile ai fini Irpef del socio confligge, con tutta evidenza, con il principio di capacità contributiva espresso dall’art. 53 Cost., atteso che l’Irpef finisce per gravare non già su di un reddito netto e realmente indicativo della capacità contributiva, bensì su un reddito lordo e fittiziamente attribuito al contribuente, per effetto della mancata deduzione dell’Irap già versata» e che la duplicazione d’imposta «confligge anche con il principio di ragionevolezza»;
che in tutti e quattro i giudizi dinanzi alla Corte è intervenuto, con atti di contenuto analogo, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, concludendo per l’inammissibilità o l’infondatezza della questione;
che, in punto di ammissibilità, la difesa statale deduce il difetto di adeguata motivazione in ordine alla rilevanza, non spiegando adeguatamente il giudice rimettente a quale titolo il ricorrente nel giudizio principale, socio di una società in nome collettivo, abbia chiesto il parziale rimborso dell’Irpef pagata personalmente, adducendo a motivo della richiesta l’illegittimità della norma che impedisce la deducibilità dalle imposte sui redditi dell’Irap corrisposta, nel caso in esame, da un soggetto di imposta diverso dal ricorrente medesimo;
che, nel merito, l’Avvocatura generale dello Stato afferma che la prevista indeducibilità dell’Irap dalle imposte dirette costituisce il frutto di una consapevole scelta operata dal legislatore, non irragionevole, in coerenza con il sistema tributario e con la prevista destinazione del gettito dell’Irap alle Regioni;
che, nel corso di un procedimento promosso da un socio di una società in nome collettivo avverso l’Agenzia delle entrate di Ortona, volto all’annullamento del silenzio rifiuto opposto all’istanza di restituzione di somme versate a titolo di Irpef, per la quota indeducibile dell’Irap, la Commissione tributaria provinciale di Chieti ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 2, del d.lgs. n. 446 del 1997, in riferimento all’art. 53 Cost. (r.o. n. 362 del 2007);
che la Commissione rimettente ritiene rilevante la questione di legittimità costituzionale, in quanto «l’eventuale caducazione o manipolazione della norma censurata determinerebbe il favorevole scrutinio della domanda di rimborso dell’Irpef»;
che, per quanto riguarda la non manifesta infondatezza della questione, la Commissionerichiama l’ordinanza della Commissione tributaria provinciale di Genova (r.o. n. 521 del 2004), in ordine alla possibilità che imprese, la cui gestione sia effettivamente in perdita, a causa della mancata deduzione dell’Irap, paghino ugualmente Irpef e Irpeg come se avessero prodotto un reddito e osserva che tale effetto estremamente distorsivo «vulnera, all’evidenza, il principio di capacità contributiva, ex art. 53 Cost. […], siccome implica una strutturale, irrazionale ed ingiustificata divaricazione tra il reddito effettivo e quello imponibile»;
che nel giudizio dinanzi alla Corte è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, concludendo per la manifesta inammissibilità o l’infondatezza della questione;
che, in punto di inammissibilità, la difesa erariale deduce il difetto di adeguata motivazione in ordine alla rilevanza, non spiegando sufficientemente il giudice rimettente a quale titolo il ricorrente nel giudizio principale, socio di una società in nome collettivo, abbia chiesto il parziale rimborso dell’Irpef pagata personalmente, adducendo a motivo della richiesta l’illegittimità della norma che impedisce la deducibilità dalle imposte sui redditi dell’Irap corrisposta, nel caso in esame, da un soggetto di imposta diverso dal ricorrente medesimo;
che, nel merito, l’Avvocatura dello Stato sostiene che rientra nella discrezionalità del legislatore non solo individuare i singoli fatti indice di ricchezza ed espressivi della capacità contributiva, ma anche definire il regime giuridico tributario del fatto assunto come presupposto della imposizione, con particolare riferimento al reddito imponibile ai fini delle imposte dirette, e che l’indeducibilità dell’Irap costituisce il frutto di una consapevole scelta operata dal legislatore, in coerenza con il sistema tributario e con la prevista destinazione del gettito dell’Irap alle Regioni;
che nel corso di un giudizio, promosso da una società per azioni avverso il provvedimento di diniego dell’Agenzia delle entrate di Parma, in relazione all’istanza di rimborso dell’imposta sui redditi delle persone giuridiche (Irpeg), per la quota indeducibile dell’imposta regionale sulle attività produttive (Irap), la Commissione tributaria provinciale di Parma ha sollevato, con riferimento all’art. 53 Cost., questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 2, del d.lgs. n. 446 del 1997 (r.o. n. 498 del 2007);
che, in ordine alla rilevanza della questione di legittimità costituzionale, la Commissione osserva che essa condiziona direttamente ed inequivocabilmente la domanda di restituzione dell’Irpeg formulata dalla società ricorrente;
che, per quanto riguarda la non manifesta infondatezza della questione, la Commissione ritiene che «l’indeducibilità dell’Irap dalla base imponibile ai fini Irpeg confligge, con tutta evidenza, con il principio di capacità contributiva espresso dall’art. 53 Cost., atteso che l’Irpeg finisce per gravare non su un reddito netto e realmente indicativo della capacità contributiva, bensì su un reddito lordo e fittiziamente attribuito al contribuente, per effetto della mancata deduzione dell’Irap già versata», e che la duplicazione d’imposta «confligge anche con il principio di ragionevolezza, atteso che l’imposta Irpef viene ad essere pagata anche sull’imposta Irap»;
che nel giudizio dinanzi alla Corte è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, concludendo per l’infondatezza della questione;
che l’Avvocatura generale dello Stato osserva che l’Irap colpisce non il reddito, ma il valore della produzione netta derivante dall’attività esercitata, che il relativo onere economico gravante sulla produzione ben può essere dal soggetto passivo traslato, secondo le leggi del mercato, sul prezzo dei beni e dei servizi prodotti, che compete alla discrezionalità del legislatore individuare quali oneri siano deducibili e che l’indeducibilità è spiegabile con la necessità di mantenere distinto il sistema della finanza pubblica statale, alimentato con i tributi erariali, da quello facente capo alle singole Regioni e con l’esigenza dello Stato di pianificare scelte di programmazione economica e finanziaria;
che nel corso di due giudizi promossi da altrettanti avvocati avverso l’Agenzia delle entrate di Bologna, per ottenere l’annullamento del silenzio rifiuto in ordine all’istanza di rimborso della maggiore imposta Irpef dichiarata in conseguenza della mancata deduzione dell’importo versato a titolo di Irap dalla base imponibile Irpef, la Commissione tributaria provinciale di Bologna, con due ordinanze di contenuto analogo, ha sollevato, con riferimento agli artt. 3 e 53 Cost., questione di legittimità costituzionale dell’art. 10 del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (Approvazione del testo unico delle imposte sui redditi), e dell’art. 1, comma 2, del d.lgs. n. 446 del 1997 (r.o. nn. 36 e 37 del 2008);
che la Commissione rimettente riferisce che i ricorrenti invocano l’illegittimità costituzionale delle disposizioni menzionate, affermando che esse violano, in primo luogo, l’art. 53 Cost., in quanto l’imposizione dell’Irap produrrebbe una riduzione del reddito e la mancata deducibilità determinerebbe l’assoggettamento a imposta in assenza di reddito effettivo e di capacità contributiva, e, in secondo luogo, l’art. 3 Cost., per la disparità di trattamento tra le imprese e i lavoratori autonomi, soggetti all’Irap, e i lavoratori dipendenti, non soggetti a essa;
che la Commissione riferisce altresì di aver sospeso i due giudizi in attesa della definizione della questione di legittimità costituzionale relativa alle stesse disposizioni, sollevata da essa stessa nel corso di un altro giudizio, e dichiarata inammissibile da questa Corte con l’ordinanza n. 100 del 2007, e che, a seguito di questa ordinanza, i ricorrenti hanno contestato le motivazioni della medesima, ritenendo che la dichiarazione di inammissibilità sia stata basata su «capziose argomentazioni» e chiedendo alla Commissione di sollevare nuovamente la questione di legittimità costituzionale;
che la Commissione tributaria rimettente ritiene che la questione sollevata dai ricorrenti sia meritevole di considerazione e non sia manifestamente infondata;
che nei due giudizi è intervenuto, con due atti di contenuto analogo, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, concludendo per la manifesta inammissibilità o l’infondatezza della questione;
che, in punto di inammissibilità, la difesa erariale osserva che la Commissione tributaria si limita a trascrivere l’eccezione di illegittimità costituzionale così come sollevata dai ricorrenti, senza un’autonoma motivazione sulla non manifesta infondatezza;
che, nel merito, l’Avvocatura dello Stato, dopo aver richiamato la giurisprudenza costituzionale secondo cui l’individuazione degli oneri deducibili rientra nella discrezionalità del legislatore, rammenta che in tema di imposte sui redditi la legge ha sempre tendenzialmente escluso la deducibilità di oneri di natura fiscale e che la deduzione di un’imposta dall’imponibile di un’altra attenua, sino alla possibilità di neutralizzarlo, l’effetto economico perseguito con il prelievo, mentre la disparità di trattamento tra lavoratori autonomi e lavoratori dipendenti è già stata esclusa dalla sentenza n. 156 del 2001;
che nei due giudizi sono intervenuti, con atti di contenuto analogo, i ricorrenti dei giudizi principali, chiedendo che la questione sia dichiarata ammissibile e fondata, argomentando in ordine alla violazione del principio di capacità contributiva derivante dal fatto che l’importo versato a titolo di Irap riduce il reddito e, quindi, la capacità contributiva;
che, in prossimità dell’udienza fissata per la trattazione (7 luglio 2009), l’Avvocatura generale dello Stato ha depositato una memoria, relativa a entrambi i giudizi, nella quale, oltre a insistere sull’infondatezza della questione, rileva la sopravvenienza dell’art. 6 del decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185 (Misure urgenti per il sostegno a famiglie, lavoro, occupazione e impresa e per ridisegnare in funzione anti-crisi il quadro strategico nazionale), convertito, con modificazioni, dalla legge 28 gennaio 2009, n. 2, e afferma l’inammissibilità della questione per difetto di motivazione sulla rilevanza, in considerazione della giurisprudenza secondo cui il reddito dello studio associato è soggetto a Irap a meno che il contribuente dimostri che esso è derivato dal solo lavoro professionale dei singoli associati, in quanto le ordinanze di rimessione non fornirebbero alcuna motivazione sulle ragioni per cui i ricorrenti sarebbero assoggettati all’imposta;
che anche i ricorrenti nei giudizi principali hanno depositato due memorie, di contenuto analogo, con le quali essi ribadiscono gli argomenti già esposti e ne sviluppano ulteriori, rilevando, tra l’altro, che la Corte deve decidere in base al diritto, senza tener conto degli effetti di un’eventuale pronuncia di accoglimento sul bilancio dello Stato.
Considerato che tutte le Commissioni provinciali tributarie rimettenti dubitano della legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 2, del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446 (Istituzione dell’imposta regionale sulle attività produttive, revisione degli scaglioni, delle aliquote e delle detrazioni dell’Irpef e istituzione di una addizionale regionale a tale imposta, nonché riordino della disciplina dei tributi locali), nella parte in cui esclude la deducibilità dell’Irap dalle imposte sui redditi, con riferimento all’art. 53 Cost., sotto il profilo del principio della capacità contributiva, che la sola Commissione tributaria provinciale di Parma (r.o. nn. 180, 181, 182 e 187 del 2007) ne dubita anche con riferimento al principio di ragionevolezza e che la sola Commissione tributaria provinciale di Bologna dubita, altresì, della legittimità costituzionale dell’art. 10 del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (Approvazione del testo unico delle imposte sui redditi), per la stessa ragione e sotto gli stessi profili, nonché sotto il profilo della disparità di trattamento tra le imprese e i lavoratori autonomi, soggetti all’Irap, e i lavoratori dipendenti, non soggetti a essa;
che le questioni sollevate dalle ordinanze sono in gran parte coincidenti e, pertanto, i relativi giudizi devono essere riuniti per essere decisi con un’unica pronuncia;
che le questioni sollevate dalla Commissione tributaria provinciale di Parma sono manifestamente inammissibili, in quanto le ordinanze – pur motivando in ordine alla questione sollevata – non contengono nel dispositivo l’indicazione del petitum, e che alcune di esse (r.o. nn. 180, 181, 182 e 183 del 2007, con l’eccezione, quindi, dell’ordinanza di cui al r.o. n. 498) non spiegano a quale titolo i ricorrenti, soci di società in nome collettivo, abbiano chiesto il parziale rimborso di un’imposta da essi pagata personalmente (Irpef), adducendo a motivo della richiesta l’illegittimità dell’indeducibilità dall’Irpef dell’Irap corrisposta dalla società, cioè da un diverso soggetto d’imposta (ordinanze n. 242 e n. 100 del 2007);
che la questione sollevata dalla Commissione tributaria provinciale di Chieti è manifestamente inammissibile, in quanto anche la relativa ordinanza (r.o. n. 362 del 2007) non spiega a quale titolo il ricorrente, socio di società in nome collettivo, abbia chiesto il parziale rimborso di un’imposta pagata personalmente (Irpef), adducendo a motivo della richiesta l’illegittimità dell’indeducibilità dalle imposte sui redditi dell’Irap corrisposta dalla società, cioè da un diverso soggetto d’imposta;
che, per quanto riguarda le questioni sollevate dalle Commissioni tributarie provinciali di Genova e di Bologna, successivamente alla proposizione delle questioni, è entrato in vigore il decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185 (Misure urgenti per il sostegno a famiglie, lavoro, occupazione e impresa e per ridisegnare in funzione anti-crisi il quadro strategico nazionale), convertito, con modificazioni, dalla legge 28 gennaio 2009, n. 2;
che l’art. 6 del citato decreto-legge n. 185 del 2008 prevede che, a partire dal periodo d’imposta in corso al 31 dicembre 2008, è ammesso in deduzione un importo pari al 10 per cento dell’Irap, «forfetariamente riferita all’imposta dovuta sulla quota imponibile degli interessi passivi e oneri assimilati al netto degli interessi attivi e proventi assimilati ovvero delle spese per il personale dipendente e assimilato al netto delle deduzioni spettanti», e che, per i periodi di imposta anteriori, per i quali era stata presentata istanza di rimborso, è ammesso il rimborso per una somma fino al 10 per cento dell’Irap dell’anno di competenza, da eseguirsi secondo l’ordine cronologico di presentazione delle istanze, nel rispetto dei limiti di spesa indicati, e che, ai fini dell’eventuale completamento dei rimborsi, si provvederà all’integrazione delle risorse con successivi provvedimenti legislativi;
che, pertanto, occorre restituire gli atti alle Commissioni tributarie rimettenti, perché operino una nuova valutazione della rilevanza e della non manifesta infondatezza della questione (ex multis, ordinanze nn. 112, 43 e 26 del 2009).
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi,
dichiara la manifesta inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 2, del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446 (Istituzione dell’imposta regionale sulle attività produttive, revisione degli scaglioni, delle aliquote e delle detrazioni dell’Irpef e istituzione di una addizionale regionale a tale imposta, nonché riordino della disciplina dei tributi locali), sollevate, con riferimento agli artt. 3 e 53 della Costituzione, dalla Commissione tributaria provinciale di Parma e dalla Commissione tributaria provinciale di Chieti, con le ordinanze indicate in epigrafe;
ordina la restituzione degli atti alla Commissione tributaria provinciale di Genova e alla Commissione tributaria provinciale di Bologna.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 23 luglio 2009.
F.to:
Francesco AMIRANTE, Presidente
Sabino CASSESE, Redattore
Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 30 luglio 2009.