Ordinanza n. 137 del 2008

 CONSULTA ONLINE 

 

ORDINANZA N. 137

ANNO 2008

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

-    Franco                      BILE                                    Presidente

-    Giovanni Maria           FLICK                                    Giudice

-    Ugo                          DE SIERVO                                "

-    Paolo                        MADDALENA                             "

-    Alfio                         FINOCCHIARO                          "

-    Alfonso                     QUARANTA                               "

-    Franco                      GALLO                                       "

-    Luigi                         MAZZELLA                                "

-    Gaetano                     SILVESTRI                                 "

-    Sabino                       CASSESE                                   "

-    Maria Rita                 SAULLE                                     "

-    Giuseppe                   TESAURO                                   "

-    Paolo Maria               NAPOLITANO                            "

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 3, primo comma, della legge 19 febbraio 1981, n. 27 (Provvidenze per il personale di magistratura), promossi con quattro ordinanze dell’11 maggio 2007 dal Consiglio di Stato rispettivamente iscritte ai nn. da 703 a 706 del registro ordinanze 2007 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 40, prima serie speciale, dell’anno 2007.

      Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 2 aprile 2008 il Giudice relatore Luigi Mazzella.

Ritenuto che, nel corso di distinti giudizi promossi da Bertoia Antonella ed altre, tutte magistrati ordinari, nei confronti del Ministero della giustizia e del Ministero dell’economia e delle finanze, al fine di ottenere l’"indennità giudiziaria" prevista dall’art. 3, primo comma, della legge 19 febbraio 1981, n. 27 (Provvidenze per il personale di magistratura), anche durante il periodo di astensione dal lavoro per maternità e puerperio ai sensi dell’art. 4 della legge 30 dicembre 1971, n. 1204 (Tutela delle lavoratrici madri), il Consiglio di Stato, con quattro ordinanze dell’11 maggio 2007, di identico contenuto, ha sollevato, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 3, primo comma, della legge n. 27 del 1981 nella parte in cui escludeva detta indennità nei periodi di assenza obbligatoria o facoltativa per maternità, di cui agli artt. 4 e 7 della legge n. 1204 del 1971;

che, a giudizio del rimettente, tale esclusione dava luogo ad una ingiustificata disparità di trattamento rispetto al personale amministrativo delle cancellerie e delle segreterie giudiziarie, nei cui confronti l'erogazione della medesima indennità era stata disposta dall’art. 21 del d.P.R. 17 gennaio 1990, n. 44 (Regolamento per il recepimento delle norme risultanti dalla disciplina prevista dall’accordo del 26 settembre 1989 concernente il personale del comparto Ministeri ed altre categorie di cui all’art. 2 del d.P.R. 5 marzo 1986, n. 68), anche nei periodi di astensione obbligatoria per maternità o puerperio;

che, secondo il giudice a quo, la diversa natura della fonte regolatrice dei due rapporti di lavoro posti a confronto non era sufficiente per giustificare la differenza di trattamento dei magistrati rispetto a quello dei dirigenti delle cancellerie e delle segreterie giudiziarie (contrattualizzati questi ultimi, e non i primi);

che, ritenuta pacifica la rilevanza della questione, il giudice a quo osserva che la legittimità costituzionale della norma censurata è stata più volte positivamente verificata dalla Corte costituzionale con riferimento a diversi parametri costituzionali, e in confronto con altre posizioni similari (sentenze n. 238 del 1990, n. 407 del 1996; ordinanza n. 106 del 1997), e che la posizione delle diverse categorie di lavoratrici considerate non presenta differenze tali da giustificare l’attribuzione ad una sola del diritto a detta indennità, laddove l’identità di ratio del medesimo emolumento (diretto a compensare la gravosità dell'impegno connesso all'esercizio dell'attività giudiziaria) esclude la compatibilità di una disciplina differenziata dei relativi diritti tra classi di dipendenti del tutto omologhe, rispetto al parametro costituzionale che esige la parità di trattamento di situazioni uguali (sentenza n. 476 del 2002);

che nel corso dei giudizi a quibus, è intervenuta la legge 30 dicembre 2004, n. 311 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - legge finanziaria 2005), la quale, all’art. 1, comma 325, disponeva che «all’articolo 3, primo comma, della legge 19 febbraio 1981, n. 27, le parole "assenza obbligatoria o facoltativa previsti negli articoli 4 e 7 della legge 30 dicembre 1971, n. 1204," sono sostituite dalle seguenti: "astensione facoltativa previsti dagli articoli 32 e 47, commi 1 e 2, del testo unico di cui al decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151», in tal modo rimuovendo l’ostacolo posto a base delle censure di legittimità costituzionale in esame;

che, con ordinanza del 13 gennaio 2006, n. 10, questa Corte, in considerazione di tale jus superveniens, ha disposto la restituzione degli atti al rimettente, il quale, con quattro ordinanze di identico contenuto, dopo aver escluso l’efficacia retroattiva della nuova disciplina, ha nuovamente sollevato la questione di legittimità costituzionale dell’art. 3, comma 1, della legge n. 27 del 1981, nella versione antecedente alle modifiche apportate dalla legge n. 311 del 2004;

che, secondo il giudice a quo, infatti, quest’ultima normativa, in vigore dal 1° gennaio 2005, non può applicarsi alle situazioni in cui versavano le attrici, in quanto esauritesi prima di tale data;

che, intervenuto in giudizio, il Presidente del Consiglio dei ministri – rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato – ha eccepito l’inammissibilità della questione avendo il rimettente omesso di pronunciarsi sulla perdurante rilevanza di essa relativamente allo specifico caso di ciascuna delle ricorrenti;

che, nel merito, secondo la difesa erariale, lo status delle addette alle cancellerie ed alle segreterie giudiziarie è completamente diverso rispetto a quello dei magistrati, essendo in particolare diversa la fonte da cui scaturisce il trattamento economico concernente le due categorie poste a confronto (il contratto collettivo per le prime e la legge per i secondi);

che, secondo l’Avvocatura generale, diversa è altresì la genesi ed il fine dell’indennità in questione per ciascuna delle categorie poste a confronto: per i magistrati viene in evidenza la finalità di studio e di aggiornamento professionale, piuttosto che la gravosità dell’impegno connesso all’attività giudiziaria;

che nessuna disparità sussiste, inoltre, per la circostanza che altre donne magistrato possano percepire l’indennità dopo l’entrata in vigore della nuova normativa del 2004: risultato, questo, che discende dalla discrezionalità del legislatore di derogare al principio di irretroattività della legge.

Considerato che il Consiglio di Stato ha sollevato, con esclusivo riferimento all’art. 3, primo comma, della Costituzione e con quattro ordinanze di identico contenuto, questione di legittimità costituzionale dell’art. 3, primo comma, della legge 19 febbraio 1981, n. 27 (Provvidenze per il personale di magistratura), nel testo anteriore alla modifica introdotta dall’art. 1, comma 325, della legge 30 dicembre 2004, n. 311 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2005), nella parte in cui esclude la corresponsione dell’indennità giudiziaria durante il periodo di astensione obbligatoria per maternità;

che il rimettente, pur dando atto che la norma censurata è stata modificata dal richiamato art. 1, comma 325, della legge n. 311 del 2004, nel senso che l’astensione obbligatoria dall’attività lavorativa per maternità non comporta più la perdita dell’indennità prevista dall’art. 3, comma 1, della legge n. 27 del 1981, rileva che la novella legislativa non è applicabile alle fattispecie oggetto dei giudizi principali, perché la modifica ha effetto con decorrenza dal 1° gennaio 2005;

che, relativamente al periodo anteriore a tale data, il rimettente deduce l’illegittimità della norma denunciata, per disparità di trattamento rispetto al personale amministrativo delle cancellerie e segreterie giudiziarie, al quale invece l’indennità in questione veniva già concessa anche durante il periodo di astensione obbligatoria per maternità, come previsto dalla contrattazione collettiva riguardante il rapporto di lavoro di quel personale, a partire dall’accordo recepito con il d.P.R. 17 gennaio 1990, n. 44 (Regolamento per il recepimento delle norme risultanti dalla disciplina prevista dall’accordo del 26 settembre 1989 concernente il personale del comparto Ministeri ed altre categorie di cui all’art. 2 del d.P.R. del 5 marzo 1986, n. 68);

che secondo il giudice a quo la diversità del regime della regolamentazione dei rapporti di lavoro tra le categorie poste a raffronto (magistrati, da una parte, e personale dirigente delle cancellerie e delle segreterie, dall’altro) non vale ad escludere la prospettata violazione dell’art. 3 Cost.: il fatto che un tipo di rapporto sia regolato dalla legge e l’altro dal contratto collettivo, non esime il legislatore che regola il primo dall’obbligo di rispettare il suddetto precetto costituzionale, quand’anche il trattamento più favorevole venga introdotto da un contratto collettivo successivo alla legge;

che l’identità della materia, e delle questioni prospettate, rendono opportuna la riunione dei giudizi, per la loro trattazione congiunta e per la loro decisione con unica pronuncia;

che va, preliminarmente, esaminata l’eccezione di inammissibilità della questione sollevata dall’Avvocatura erariale sul presupposto che il rimettente non avrebbe motivato sulla perdurante rilevanza della questione, dopo l’intervento della legge n. 311 del 2004;

che l’eccezione non è fondata, in quanto detta rilevanza discende proprio dall’irretroattività della novella – presupposta dal rimettente – e, quindi, dalla perdurante applicabilità della precedente normativa alle fattispecie dei giudizi principali, tutte anteriori al 1° gennaio 2005;

che, nel merito, la questione è manifestamente infondata;

che l’indennità di funzione per i magistrati ha mantenuto, sin dalla sua istituzione, connotati peculiari perché assoggettata al meccanismo di rivalutazione automatica previsto per gli stipendi dei magistrati dal precedente art. 2 della stessa legge n. 27 del 1981;

che tale rivalutazione si ispira al precetto costituzionale dell’indipendenza dei magistrati, costituendo una guarentigia idonea a tale scopo;

che conseguentemente tale meccanismo, connesso allo status dei magistrati, non è stato mai esteso sic et simpliciter al personale delle cancellerie e segreterie giudiziarie (legge 22 giugno 1988, n. 221, recante «Provvedimenti a favore del personale delle cancellerie e segreterie giudiziarie») né a quello amministrativo delle magistrature speciali (legge 15 febbraio 1989, n. 51, recante «Attribuzione dell’indennità giudiziaria al personale amministrativo delle magistrature speciali»), in quanto l’indennità è stata attribuita in misura fissa con esclusione di ogni meccanismo di adeguamento automatico (sentenza n. 15 del 1995);

che le differenze di regime giuridico tra le due categorie di dipendenti statali si sono accentuate a séguito della riforma del pubblico impiego, stante la diversità ormai riscontrabile sul piano delle fonti di disciplina dei rispettivi rapporti di impiego (il rapporto di lavoro degli impiegati è disciplinato in gran parte - ed in particolare per la materia del trattamento economico - da fonti contrattuali, quello dei magistrati esclusivamente dalla legge) (ordinanza n. 290 del 2006);

che, in conclusione, trattandosi di posizioni e funzioni diverse, non è possibile accomunare il regime dell’indennità di funzione riferito ai magistrati a quello riservato al personale delle cancellerie e segreterie giudiziarie, sicché non è configurabile una irrazionale disparità di trattamento per il solo fatto che da tale raffronto discende una quantificazione diversa delle rispettive prestazioni;

che, contrariamente a quanto ritiene il giudice a quo, non è possibile dedurre dall’intervento dell’art. 1, comma 325, della legge finanziaria per l’anno 2005 a favore dei magistrati assenti per maternità, l’intento del legislatore di rimuovere una situazione di illegittima disparità di trattamento;

che la novella citata costituisce invece la manifestazione della discrezionalità del potere legislativo nel collocare nel tempo le innovazioni normative;

che, pertanto la questione sollevata dal Consiglio di Stato è manifestamente infondata.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

Per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi,

dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 3, primo comma, della legge 19 febbraio 1981, n. 27, nel testo anteriore alla modifica introdotta dall’art. 1, comma 325, della legge 30 dicembre 2004, n. 311 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2005), nella parte in cui esclude la corresponsione dell’indennità da esso prevista nel periodo di astensione obbligatoria per maternità, sollevata, in riferimento all’art. 3, primo comma,  della Costituzione, dal Consiglio di Stato con le ordinanze in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 5 maggio 2008.

F.to:

Franco BILE, Presidente

Luigi MAZZELLA, Redattore

Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 14 maggio 2008.