ORDINANZA N. 290
ANNO 2006REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Franco BILE Presidente
- Giovanni Maria FLICK Giudice
- Ugo DE SIERVO "
- Romano VACCARELLA "
- Paolo MADDALENA "
- Alfio FINOCCHIARO "
- Alfonso QUARANTA "
- Franco GALLO "
- Luigi MAZZELLA "
- Gaetano SILVESTRI "
- Sabino CASSESE "
- Maria Rita SAULLE "
- Giuseppe TESAURO "
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 3 della legge 19 febbraio 1981, n. 27 (Provvidenze per il personale di magistratura), promosso con ordinanza del 24 giugno 2005 dal Tribunale amministrativo regionale della Sicilia, sezione di Catania, sul ricorso proposto da Anna Maria Cristaldi contro il Ministero dell’economia e delle finanze ed altri, iscritta al n. 494 del registro ordinanze 2005 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 41, prima serie speciale, dell’anno 2005.
Visto l’atto di costituzione di Anna Maria Cristaldi;
udito nell’udienza pubblica del 20 giugno 2006 il Giudice relatore Luigi Mazzella;
udito l’avvocato Agatino Cariola per Anna Maria Cristaldi.
Ritenuto che il Tribunale amministrativo regionale della Sicilia, sezione di Catania, con ordinanza del 24 giugno 2005, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 4, 29, 30, 37, 97, 104 e 108 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 3 della legge 19 febbraio 1981, n. 27 (Provvidenze per il personale di magistratura), nella parte in cui vieta la corresponsione dell’indennità da esso prevista (cosiddetta indennità giudiziaria) nel periodo di astensione obbligatoria per maternità, nonché, in riferimento agli artt. 3, 4, 35, 36 e 38 Cost., questione di legittimità costituzionale della stessa norma nella parte in cui esclude la pensionabilità dell’indennità medesima e la computabilità della stessa nella determinazione della tredicesima mensilità e dell’indennità di fine rapporto;
che il giudice rimettente premette che il giudizio a quo è stato promosso da un magistrato donna al fine di ottenere l’annullamento del provvedimento con il quale era stato disposto a suo carico il recupero della somma percepita a titolo di indennità giudiziaria durante il periodo di astensione obbligatoria per maternità;
che il TAR dà atto che la norma impugnata è stata modificata dall’art. 1, comma 325, della legge 30 dicembre 2004, n. 311 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2005), nel senso che l’astensione obbligatoria non comporta più la sospensione dell’erogazione dell’indennità prevista dall’art. 3 della legge n. 27 del 1981, ma aggiunge che la novella legislativa non è applicabile alla fattispecie oggetto del suo esame perché la modifica ha effetto con decorrenza dal 1° gennaio 2005, mentre il periodo di astensione obbligatoria goduto dalla ricorrente è antecedente a quella data e dunque soggetto alla disciplina previgente, con conseguente rilevanza della questione nel giudizio a quo;
che il rimettente sostiene che la disposizione censurata contrasta con il principio di razionalità espresso dall’art. 3 Cost., poiché l’indennità da essa contemplata è corrisposta nella stessa misura per ogni magistrato, a prescindere dalle funzioni svolte, e conseguentemente l’emolumento in questione, mentre appare pressoché ininfluente sullo stipendio dei magistrati che ricoprono incarichi direttivi, rappresenta una quota rilevante di quello spettante ai magistrati all’inizio della carriera ossia per la totalità delle donne magistrato che decidono di avere figli;
che inoltre, a parere del giudice a quo, la norma censurata produrrebbe conseguenze sulla vita familiare delle interessate e si porrebbe in contrasto con i principî e le direttive rinvenibili in numerosi articoli della Costituzione, afferenti alla salvaguardia del lavoro femminile ed alla tutela della donna lavoratrice (art. 37), alla decisione di costituire una famiglia e di provvedere all’educazione dei figli (art. 29, 30 e 31), al buon andamento di quella particolare amministrazione che è l’organizzazione giudiziaria (art. 97) e all’indipendenza della magistratura (artt. 104 e 108);
che il TAR, pur consapevole del fatto che la Corte costituzionale ha già escluso l’illegittimità costituzionale dell’art. 3 della legge n. 27 del 1981, ritiene tuttavia di dover sottoporre nuovamente la norma al vaglio di costituzionalità alla luce del sopravvenuto decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151 (Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, a norma dell’articolo 15 della legge 8 marzo 2000, n. 53), provvedimento legislativo che darebbe rinnovata attuazione ai già ricordati principî costituzionali ed innoverebbe sotto alcuni profili la previgente normativa, in particolare con riferimento al divieto di operare discriminazioni fondate sul sesso per quanto riguarda la retribuzione (art. 3);
che il rimettente individua un ulteriore profilo di illegittimità dell’art. 3 della legge n. 27 del 1981, per violazione della parità di trattamento di cui all’art. 3 Cost., nella circostanza della concessione dell’indennità in questione al personale amministrativo della magistratura ordinaria e di quelle speciali anche durante il periodo di astensione obbligatoria per maternità, così come previsto dalla contrattazione collettiva riguardante il rapporto di lavoro di quelle categorie di personale, a partire dall’accordo recepito nel d. P. R. 17 gennaio 1990, n. 44 (Regolamento per il recepimento delle norme risultanti dalla disciplina prevista dall’accordo del 26 settembre 1989 concernente il personale del comparto Ministeri ed altre categorie di cui all’art. 2 del decreto del Presidente della Repubblica del 5 marzo 1986, n. 68);
che, a quest’ultimo proposito, il giudice a quo ritiene che la diversità del regime della regolamentazione del rapporto di lavoro tra le categorie poste a confronto (magistrati, da un lato, e personale dirigente delle cancellerie e delle segreterie, dall’altro) non valga ad escludere la prospettata violazione dell’art. 3 Cost., perché il fatto che un tipo di rapporto sia regolato dalla legge e l’altro dal contratto collettivo non esimerebbe il legislatore che regola il primo dall’obbligo di rispettare il suddetto precetto costituzionale quand’anche il trattamento più favorevole venga introdotto da un contratto collettivo successivo alla legge;
che il TAR solleva questione di legittimità costituzionale dell’art. 3 della legge n. 27 del 1981 anche nella parte in cui la norma stabilisce che l’indennità in questione non è pensionabile e non è computata ai fini della determinazione del trattamento di fine rapporto e della tredicesima;
che, in particolare, ad avviso del rimettente sussisterebbe violazione degli artt. 3, 4, 35, 36 e 38 Cost., perché, costituendo l’indennità in questione un elemento fisso e continuativo del trattamento retributivo, non vi sarebbero ragioni per escluderne la computabilità ai fini della pensione, dell’indennità di buonuscita e della tredicesima;
che la parte privata si è costituita ed ha chiesto l’accoglimento delle questioni di legittimità costituzionale sollevate dal giudice a quo, proponendo le medesime argomentazioni svolte dal rimettente.
Considerato che il Tribunale amministrativo regionale della Sicilia, sezione di Catania, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 4, 29, 30, 37, 97, 104 e 108 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 3 della legge 19 febbraio 1981, n. 27 (Provvidenze per il personale di magistratura), nella parte in cui vieta la corresponsione dell’indennità da esso prevista nel periodo di astensione obbligatoria per maternità, nonché, in riferimento agli artt. 3, 4, 35, 36 e 38 Cost., questione di legittimità costituzionale della stessa norma nella parte in cui esclude la pensionabilità dell’indennità medesima e la computabilità della stessa nella determinazione della tredicesima mensilità e dell’indennità di fine rapporto;
che la questione relativa alla mancata corresponsione dell’indennità durante il periodo di astensione obbligatoria per maternità è manifestamente infondata;
che, in particolare, circa la lamentata violazione dell’art. 3 Cost. per ingiustificata disparità di trattamento tra magistrati e impiegati amministrativi delle cancellerie e delle segreterie giudiziarie, questa Corte ha già escluso la possibilità di istituire un simile raffronto, a causa della mancanza di omogeneità tra le due categorie di dipendenti e del diverso meccanismo di determinazione del trattamento retributivo (sentenza n. 15 del 1995; ordinanze n. 167 e n. 33 del 1996, n. 451 e n. 98 del 1995);
che alle considerazioni richiamate si deve aggiungere che le differenze di regime giuridico tra le due categorie di dipendenti statali si sono accentuate a seguito della riforma del pubblico impiego, stante la diversità ormai riscontrabile sul piano delle fonti di disciplina dei rispettivi rapporti di impiego (il rapporto di lavoro degli impiegati è disciplinato in gran parte – ed in particolare per la materia del trattamento economico – da fonti contrattuali, quello dei magistrati esclusivamente dalla legge);
che, contrariamente a quanto ritiene il giudice a quo, l’entrata in vigore del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151 (Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, a norma dell’articolo 15 della legge 8 marzo 2000, n. 53), non può indurre a un riesame della questione, poiché l’art. 3, comma 3, di tale testo normativo non fa altro che ribadire il divieto di discriminazione fondata sul sesso in tema di trattamento retributivo, già rinvenibile nel previgente quadro normativo;
che non è fondata neppure la censura di disparità di trattamento articolata rispetto alla diversa incidenza percentuale dell’indennità giudiziaria sul complessivo trattamento retributivo dei magistrati a seconda dell’anzianità di servizio di ciascuno di essi, perché non si vede come una simile constatazione possa indurre a giudicare irrazionale la normativa denunziata;
che, riguardo alla denunciata violazione dell’art. 37 Cost., questa Corte ha già avuto modo di affermare che la mancata erogazione dell’indennità giudiziaria durante il periodo di astensione obbligatoria non vale a far considerare il trattamento complessivamente assicurato alla donna magistrato come insufficiente ai fini della tutela imposta dalla norma costituzionale (sentenza n. 407 del 1996 e ordinanza n. 106 del 1997);
che non sussiste neppure violazione degli artt. 29 e 30 Cost., perché la tutela della famiglia e dei minori non esige necessariamente la corresponsione, oltre che dello stipendio, anche dell’indennità giudiziaria (ordinanza n. 106 del 1997);
che anche la censura svolta in riferimento all’art. 97 Cost. è manifestamente infondata poiché quel precetto costituzionale non può essere invocato al fine di giustificare la pretesa al conseguimento di miglioramenti economici (ordinanze n. 368 del 1999 e n. 273 del 1997);
che deve essere esclusa la denunciata violazione degli artt. 104 e 108 Cost., perché la norma impugnata, limitandosi a stabilire le modalità di erogazione di una componente del trattamento economico dei magistrati, non può certo essere considerata come disposizione che lede le garanzie di quel trattamento in maniera tale da configurare un attentato all’indipendenza dei giudici;
che la denunciata violazione dell’art. 4 Cost. è manifestamente inammissibile per assoluta carenza di motivazione, il rimettente essendosi limitato ad indicare quel precetto costituzionale nel dispositivo;
che la questione di legittimità costituzionale dell’art. 3 della legge n. 27 del 1981, nella parte in cui esclude la pensionabilità dell’indennità da esso prevista e la computabilità della stessa nella determinazione della tredicesima mensilità e dell’indennità di fine rapporto è manifestamente inammissibile per difetto di rilevanza nel giudizio a quo che concerne l’impugnazione di un provvedimento con il quale era stato disposto a carico della donna magistrato il recupero della somma corrispostale a titolo di indennità giudiziaria durante il periodo di astensione obbligatoria per maternità; dunque è del tutto ininfluente, ai fini della decisione della causa, appurare la legittimità costituzionale delle disposizioni che escludono la computabilità di quell’indennità ai fini della determinazione della tredicesima, dell’indennità di buonuscita e del trattamento pensionistico.
Per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
1) dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 3 della legge 19 febbraio 1981, n. 27 (Provvidenze per il personale di magistratura), nella parte in cui esclude la pensionabilità dell’indennità da esso prevista e la computabilità della stessa nella determinazione della tredicesima mensilità e dell’indennità di fine rapporto, sollevata, in riferimento agli artt. 3, 4, 35, 36 e 38 della Costituzione, dal Tribunale amministrativo regionale della Sicilia, sezione di Catania, con l’ordinanza in epigrafe;
2) dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 3 della legge 19 febbraio 1981, n. 27, nella parte in cui vieta la corresponsione dell’indennità da esso prevista nel periodo di astensione obbligatoria per maternità, sollevata, in riferimento agli artt. 3, 29, 30, 37, 97, 104 e 108 della Costituzione, dal Tribunale amministrativo regionale della Sicilia, sezione di Catania, con l’ordinanza in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, 3 luglio 2006.
F.to:
Franco BILE, Presidente
Luigi MAZZELLA, Redattore
Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 14 luglio 2006.
Il Direttore della Cancelleria
F.to: DI PAOLA