ORDINANZA N. 167
ANNO 1996
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
- Avv. Mauro FERRI, Presidente
- Prof. Luigi MENGONI
- Prof. Enzo CHELI
- Dott. Renato GRANATA
- Prof. Giuliano VASSALLI
- Prof. Francesco GUIZZI
- Prof. Cesare MIRABELLI
- Prof. Fernando SANTOSUOSSO
- Avv. Massimo VARI
- Dott. Cesare RUPERTO
- Dott. Riccardo CHIEPPA
- Prof. Gustavo ZAGREBELSKY
- Prof. Valerio ONIDA
- Prof. Carlo MEZZANOTTE
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nei giudizi di legittimità costituzionale dell'art. 3, comma 61, della legge 24 dicembre 1993, n. 537 (Interventi correttivi di finanza pubblica), o dell'art. 1 della legge 22 giugno 1988, n. 221 (Provvedimenti a favore del personale delle cancellerie e segreterie giudiziarie), come interpretato dall'art. 3, comma 61, della legge 24 dicembre 1993, n. 537, promossi con ordinanze emesse il 5 luglio-4 ottobre 1994 dal Tribunale amministrativo regionale della Sicilia, sezione staccata di Catania, il 2 febbraio 1994 dal Tribunale amministrativo regionale del Lazio ed il 24 maggio 1995 dal Tribunale amministrativo regionale della Campania, sezione staccata di Salerno, rispettivamente iscritte ai nn. 879 del registro ordinanze 1995, 61 e 76 del registro ordinanze 1996 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 52, prima serie speciale, dell'anno 1995 e n. 7, prima serie speciale, dell'anno 1996.
Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 26 marzo 1996 il Giudice relatore Cesare Mirabelli.
RITENUTO che, nel corso di altrettanti giudizi promossi da dipendenti di amministrazioni statali in servizio presso le segreterie di tribunali amministrativi regionali o presso la Corte dei conti per ottenere l'adeguamento ogni triennio dell'indennità giudiziaria loro corrisposta, così come previsto per i magistrati dall'art. 3 della legge 19 febbraio 1981, n. 27, il Tribunale amministrativo regionale della Sicilia, sezione staccata di Catania, il Tribunale amministrativo regionale del Lazio ed il Tribunale amministrativo regionale della Campania, sezione staccata di Salerno, con ordinanze emesse rispettivamente il 5 luglio-4 ottobre 1994 (reg. ord. n. 879 del 1995), il 2 febbraio 1994 (reg. ord. n. 61 del 1996) ed il 24 maggio 1995 (reg. ord. n. 76 del 1996), hanno sollevato, in riferimento agli artt. 3, 24, 36, 97, 102, 103, primo comma, 104, 108 e 113 della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale dell'art. 3, comma 61, della legge 24 dicembre 1993, n. 537 (Interventi correttivi di finanza pubblica), o dell'art. 1 della legge 22 giugno 1988, n. 221 (Provvedimenti a favore del personale delle cancellerie e segreterie giudiziarie), come interpretato dall'art. 3, comma 61, della legge n. 537 del 1993;
che l'art. 3, comma 61, della legge n. 537 del 1993 dispone che il riferimento contenuto nell'art. 1 della legge n. 221 del 1988, che ha attribuito al personale delle cancellerie e segreterie giudiziarie una indennità, successivamente estesa al personale amministrativo delle giurisdizioni speciali con la legge 15 febbraio 1989, n. 51, si interpreta nel senso che il richiamo all'indennità stabilita per i magistrati dall'art. 3 della legge 19 febbraio 1981, n. 27 è da considerare nella misura vigente al 1° gennaio 1988, senza cioè l'adozione anche del meccanismo di adeguamento triennale previsto per i magistrati;
che secondo le ordinanze di rimessione -- due delle quali (reg. ord. n. 879 del 1995 e n. 61 del 1996) anteriori alla sentenza di questa Corte n. 15 del 1995, benché pervenute successivamente; la terza (reg. ord. n. 76 del 1996) emessa in data posteriore -- l'interpretazione imposta dalla disposizione denunciata, discostandosi da quella giurisprudenziale e non consentendo l'adeguamento periodico dell'indennità, determinerebbe una lesione del principio di eguaglianza perché: a) non sarebbe ragionevole la diversità di trattamento, nel calcolo di indennità riferite ad attività connesse, del personale delle cancellerie e segreterie giudiziarie rispetto ai magistrati; b) sarebbe diverso il trattamento retributivo, a parità di prestazioni, tra chi ha già ottenuto una sentenza favorevole prima della legge interpretativa e chi ha un giudizio in corso;
che, inoltre, la stessa disposizione sarebbe in contrasto con i principi che garantiscono il diritto di difesa e la giurisdizione, incidendo su giudizi in corso, e lederebbe l'imparzialità ed il buon andamento dell'amministrazione;
che, infine, la progressiva svalutazione del contenuto economico dell'indennità, non giustificata da una diminuzione quantitativa e qualitativa delle prestazioni richieste al personale amministrativo giudiziario né collegata a situazioni di emergenza, sarebbe in contrasto con il principio di adeguatezza e proporzionalità della retribuzione;
che, in particolare, il Tribunale amministrativo regionale della Campania, sezione staccata di Salerno, pur ricordando che la Corte si è già espressa sulla questione con una pronuncia di non fondatezza (sentenza n. 15 del 1995), ripropone il dubbio di legittimità costituzionale, sottolineando la disparità di trattamento, peraltro già dedotta in precedenti ordinanze di rimessione, tra coloro che hanno già percepito l'indennità rivalutata per effetto di pronunce giurisdizionali favorevoli, passate in giudicato, e coloro che rivestono la stessa posizione nell'amministrazione e svolgono la stessa attività lavorativa, ma non hanno il beneficio dell'adeguamento dell'indennità, non avendo ottenuto una sentenza definitiva prima dell'entrata in vigore della disposizione di interpretazione autentica;
che in tutti i giudizi è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, che ha concluso per la manifesta infondatezza o per l'inammissibilità delle questioni.
CONSIDERATO che i giudizi propongono identiche o analoghe questioni; possono pertanto essere riuniti per essere decisi congiuntamente;
che questioni di legittimità costituzionale analoghe a quelle ora sollevate sono state già dichiarate non fondate o manifestamente infondate dalla Corte (sentenza n. 15 del 1995, ordinanze nn. 98 e 451 del 1995 e n. 33 del 1996), che ha riconosciuto all'art. 3, comma 61, della legge 24 dicembre 1993, n. 537 carattere interpretativo, giacché esso impone una scelta ermeneutica che rientra tra le varianti di senso compatibili con il tenore letterale della disposizione interpretata, ed ha quindi carattere retroattivo, muovendo sul piano delle fonti senza ledere la funzione giurisdizionale né violare i giudicati;
che tale disposizione, interpretando l'art. 1 della legge 22 giugno 1988, n. 221 nel senso di escludere l'estensione al personale amministrativo del sistema di adeguamento automatico dell'indennità previsto per i magistrati, non appare irragionevole, giacché la diversità di regime giuridico delle due indennità è giustificata dalla mancanza di omogeneità tra le due diverse categorie di dipendenti e dal diverso meccanismo di determinazione del loro trattamento retributivo, basato solo per i magistrati sull'aggiornamento periodico nella misura percentuale pari alla media degli incrementi realizzati dai pubblici dipendenti, anziché sulle regole comuni del pubblico impiego, applicate invece al personale amministrativo giudiziario;
che, inoltre, il principio di proporzionalità e sufficienza della retribuzione non implica l'indicizzazione delle indennità corrisposte, dovendo a tal fine essere valutata la retribuzione nel suo complesso e non con riferimento ad uno solo degli elementi che concorrono a comporre il trattamento retributivo totale;
che, infine, la diversità di condizione tra chi ha potuto percepire l'adeguamento periodico dell'indennità per effetto di sentenze definitive favorevoli e chi, pur appartenendo alla stessa amministrazione e rivestendo la medesima qualifica, non può ottenere questo beneficio, non è determinata dalla legge interpretativa, ma deriva dalla necessità di rispettare il giudicato che si è formato in ordine a singoli rapporti ed al quale non può essere attribuita una forza che si espande ad ogni altro giudizio, pendente o da instaurare, tale da impedire ogni diversa interpretazione, anche data dal legislatore;
che, pertanto, le questioni di legittimità costituzionale devono essere dichiarate manifestamente infondate.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87 e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi,
dichiara la manifesta infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale dell'art. 3, comma 61, della legge 24 dicembre 1993, n. 537 (Interventi correttivi di finanza pubblica) e dell'art. 1 della legge 22 giugno 1988, n. 221 (Provvedimenti a favore del personale delle cancellerie e segreterie giudiziarie), sollevate, in riferimento agli artt. 3, 24, 36, 97, 102, 103, primo comma, 104, 108 e 113 della Costituzione, dal Tribunale amministrativo regionale della Sicilia, sezione staccata di Catania, dal Tribunale amministrativo regionale del Lazio e dal Tribunale amministrativo regionale della Campania, sezione staccata di Salerno, con le ordinanze indicate in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 16 maggio 1996.
Mauro FERRI, Presidente
Cesare MIRABELLI, Redattore
Depositata in cancelleria il 24 maggio 1996.