SENTENZA N. 132
ANNO 2008
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Franco BILE Presidente
- Giovanni Maria FLICK Giudice
- Francesco AMIRANTE "
- Ugo DE SIERVO "
- Paolo MADDALENA "
- Alfio FINOCCHIARO "
- Alfonso QUARANTA "
- Franco GALLO "
- Luigi MAZZELLA "
- Gaetano SILVESTRI "
- Sabino CASSESE "
- Maria Rita SAULLE "
- Giuseppe TESAURO "
- Paolo Maria NAPOLITANO "
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 69, della legge 23 agosto 2004, n. 239 (Riordino del settore energetico, nonché delega al Governo per il riassetto delle disposizioni vigenti in materia di energia), promosso con ordinanza del 29 maggio 2007 dal Tribunale amministrativo regionale per il Veneto sui ricorsi proposti da Vampa Gas s.p.a., ora ENEL Rete Gas s.p.a., contro il Comune di Mirano, iscritta al n. 708 del registro ordinanze 2007 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 41, prima serie speciale, dell’anno 2007.
Visti l’atto di costituzione di ENEL Rete Gas s.p.a. nonché l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell’udienza pubblica del 1° aprile 2008 il Giudice relatore Giuseppe Tesauro;
uditi l’avvocato Luigi Manzi per la ENEL Rete Gas s.p.a. e l’avvocato dello Stato Fabio Tortora per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1. – Il Tribunale amministrativo regionale per il Veneto, con ordinanza del 29 maggio 2007, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 97 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 69, della legge 23 agosto 2004, n. 239 (Riordino del settore energetico, nonché delega al Governo per il riassetto delle disposizioni vigenti in materia di energia), nella parte in cui prevede che «La disposizione di cui all’articolo 15, comma 5, del decreto legislativo 23 maggio 2000, n. 164, relativa al regime transitorio degli affidamenti e delle concessioni in essere al 21 giugno 2000, data di entrata in vigore del medesimo decreto legislativo, va interpretata nel senso che è fatta salva la facoltà di riscatto anticipato, durante il periodo transitorio, se stabilita nei relativi atti di affidamento o di concessione. Tale facoltà va esercitata secondo le norme ivi stabilite».
2. – Il rimettente è investito dei ricorsi proposti dalla società concessionaria del servizio di distribuzione del gas metano nel territorio del Comune di Mirano per l’annullamento degli atti relativi e conseguenti alla decisione del detto Comune di avvalersi della facoltà di riscattare il servizio a far data dal 31 dicembre 2003, ai sensi dell’art. 6 della convenzione in essere tra le parti, nonché per l’annullamento delle successive determinazioni di proroga del rapporto di concessione.
Il giudice a quo premette che le parti hanno recepito nella convenzione stipulata in data 7 luglio 1979, con scadenza al 31 dicembre 2008, la disciplina del riscatto contenuta nell’art. 24 del regio decreto 15 ottobre 1925, n. 2578 (Approvazione del testo unico della legge sull’assunzione diretta dei pubblici servizi da parte dei comuni e delle province), conformemente al disposto dell’art. 26 dello stesso regio decreto, secondo il quale «I comuni, che intendano concedere all’industria privata qualcuno dei servizi indicati all’art. 1°, debbono sempre nel relativo contratto di concessione riserbarsi la facoltà del riscatto con tali condizioni e termini che non sieno, pei comuni medesimi, più onerosi» di quelli previsti dal citato art. 24.
In base all’art. 24 del r.d. n. 2578 del 1925, i comuni possono valersi «delle facoltà consentite dall’art. 1°» – ossia l’assunzione dell’impianto e l’esercizio diretto dei pubblici servizi – quando sia trascorso un terzo della durata complessiva della concessione; tuttavia hanno sempre diritto al riscatto quando siano passati venti anni dall’effettivo cominciamento dell’esercizio, ma in ogni caso non possono esercitarlo prima che ne siano passati dieci (primo comma); dopo le epoche così determinate, non possono valersi della facoltà di riscatto se non trascorso un quinquennio, e così in seguito di cinque in cinque anni (secondo comma).
3. – Rileva il rimettente, richiamando alcune pronunce del Consiglio di Stato, che, dopo l’entrata in vigore del decreto legislativo 23 maggio 2000, n. 164 (Attuazione della direttiva 98/30/CE recante norme comuni per il mercato interno del gas naturale, a norma dell’articolo 41 della legge 17 maggio 1999, n. 144), la giurisprudenza amministrativa aveva ritenuto che il potere autoritativo di riscatto, riconosciuto dall’art. 24 del r.d. n. 2578 del 1925 in funzione dell’assunzione diretta del servizio da parte dell’ente concedente, fosse venuto meno per incompatibilità con il nuovo assetto normativo, connotato, in linea con il preminente obiettivo dell’apertura al mercato, dall’affidamento del servizio di distribuzione del gas naturale mediante gara.
Il giudice a quo aggiunge che, pur in mancanza di un’espressa abrogazione delle pertinenti norme del r.d. n. 2578 del 1925, non poteva ritenersi che il riscatto anticipato fosse sopravvissuto nel periodo transitorio di cui all’art. 15 del d. lgs. n. 164 del 2000, giacché la disciplina di diritto intertemporale contenuta nella norma era destinata, non a mantenere in vita il preesistente regime, bensì a rendere possibile, in tempi certi, il nuovo sistema della “esternalizzazione”.
Invero, l’art. 15, comma 5, del d. lgs. n. 164 del 2000 – stabilendo tra l’altro che «Per l’attività di distribuzione del gas, gli affidamenti e le concessioni in essere alla data di entrata in vigore del presente decreto, nonché quelli alle società derivate dalla trasformazione delle attuali gestioni, proseguono fino alla scadenza stabilita, se compresa entro i termini previsti dal comma 7 per il periodo transitorio. Gli affidamenti e le concessioni in essere per i quali non è previsto un termine di scadenza o è previsto un termine che supera il periodo transitorio, proseguono fino al completamento del periodo transitorio stesso» – non accenna alla possibilità di una risoluzione anticipata del rapporto.
4. – A parere del rimettente, pertanto, i primi due periodi del censurato art. 1, comma 69, della legge n. 239 del 2004 hanno reintrodotto nell’ordinamento, «sotto la specie dell’interpretazione autentica», l’istituto del riscatto anticipato, sia pure convertendolo a strumento giuridico atipico, rivolto «ad una sorta di recesso dal rapporto convenzionale» in vista del nuovo affidamento del servizio di distribuzione del gas naturale secondo la disciplina dell’evidenza pubblica.
Il TAR per il Veneto, riportando ampi stralci dei lavori preparatori relativi alla censurata norma, ammette che il legislatore è stato mosso dalla volontà di superare, per via d’interpretazione autentica, l’anzidetto orientamento del giudice amministrativo e di consentire, dunque, nel corso del periodo transitorio, l’esercizio da parte degli enti locali del potere di riscatto, secondo le norme del r.d. n. 2578 del 1925. Ma, al di là degli intenti enunciati e della formulazione letterale della disposizione, esclude che «possa riconoscersi natura interpretativa, e quindi efficacia retroattiva, ad una disciplina che [...] privilegi un’esegesi precedentemente non consentita alla stregua degli ordinari canoni dell’ermeneutica legislativa» e ritiene pertanto che debba «dubitarsi della costituzionalità di disposizioni legislative [...] laddove esse risultino finalizzate – mediante una ben evidente forzatura letterale – ad attribuire ad una disposizione previgente un significato precettivo da essa obiettivamente non detraibile».
Il giudice a quo, sotto tale profilo, contesta la giurisprudenza del Consiglio di Stato, secondo cui l’art. 1, comma 69, della legge n. 239 del 2004 – facendo salva unicamente la facoltà di riscatto stabilita negli atti di affidamento o di concessione, e non anche quella prevista dall’art. 24 del r.d n. 2578 del 1925, ai fini del nuovo affidamento del servizio ad imprese selezionate con apposita gara – costituisce effettivamente norma d’interpretazione dell’art. 15, comma 5, del d. lgs. n. 164 del 2000, disposizione, quest’ultima, che lasciava spazio a differenti opzioni ermeneutiche, in quanto «non affrontava espressamente l’aspetto della reale incidenza dello ius superveniens sui rapporti convenzionali in essere» (Cons. Stato, sez. V, decisione 17 luglio 2005, n. 3817).
Egli, infatti, ritiene che non possa concepirsi un riscatto “convenzionale” in modo indipendente dal riscatto contemplato in via generale ed astratta dal più volte citato regio decreto e sostiene che proprio la norma denunciata ha immesso nel “sistema” un «istituto nuovo ed atipico», in alcun modo riconducibile alla volontà espressa dalle parti in sede di stipula delle convenzioni di concessione o di affidamento del servizio.
Solleva, quindi, questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 69, della legge n. 239 del 2004, il quale, in contrasto con gli artt. 3 e 97 della Costituzione, avrebbe reintrodotto retroattivamente l’istituto del riscatto «a fini del tutto antitetici rispetto a quelli suoi propri, per di più travisando la stessa funzione della recezione dello stesso nell’ambito dei singoli contratti stipulati tra amministrazioni concedenti e gestori», ledendo altresì i princípi di buon andamento ed imparzialità dell’azione amministrativa, implicanti l’affidamento della parte privata nelle convenzioni da essa stipulate con la pubblica amministrazione.
5. – E’ intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo di dichiarare la questione inammissibile, perché posta dal rimettente con riferimento cumulativo ai parametri evocati, senza una analitica esposizione delle ragioni della dedotta incostituzionalità, o comunque infondata.
Nel merito, la difesa erariale sostiene che la norma censurata ha natura interpretativa, essendo intervenuta a chiarire la portata dell’art. 15, comma 5, del d. lgs. n. 164 del 2000, il quale si prestava a diverse letture là dove «non regolava il campo delle possibili interferenze, sul piano intertemporale, tra il principio di esternalizzazione di nuovo corso e quello della tendenziale indifferenza al mutato quadro normativo del diritto potestativo di riscatto, eventualmente concordato in passato tra le parti».
6. – Si è costituita ENEL Rete Gas s.p.a., parte del giudizio a quo, concludendo per la fondatezza della questione in base ad argomenti in larga misura coincidenti con quelli contenuti nell’atto introduttivo del giudizio e deducendo, altresì, profili di censura ulteriori.
Così, la società costituita fa derivare dal preteso carattere innovativo della censurata norma, dunque dal suo contenuto dispositivo retroattivo «di ben quattro anni», la violazione, non solo degli artt. 3 e 97, ma anche degli artt. 2 e 41 della Costituzione, sul rilievo che la «possibilità per gli enti di anticipare la cessazione (già ex lege anticipata) delle concessioni in essere al momento dell’entrata in vigore del d. lgs. n. 164 del 2000» pregiudicherebbe le posizioni giuridiche dei concessionari, senza tener conto degli effetti determinati dallo stesso decreto delegato in punto di legittimo affidamento, comprimendo peraltro la libertà d’iniziativa economica «che le imprese esercitano proprio sulla base delle indicazioni date dalla legge».
Invero, l’art. 14, comma 1, del d. lgs. n. 164 del 2000, introducendo per il futuro un divieto di affidamento del servizio di distribuzione del gas senza gara pubblica, e l’art. 15, comma 5, del medesimo decreto delegato, imponendo la cessazione anticipata delle concessioni in essere affidate senza gara pubblica, avevano già determinato, secondo la parte costituita, una grave lesione dei diritti e delle consolidate aspettative riposte dai concessionari. In tale ottica, l’art. 15, comma 5, aveva previsto la prosecuzione dei rapporti in essere fino al completamento del periodo transitorio «proprio al fine di bilanciare equamente gli interessi in gioco e di rendere ragionevolmente tollerabile per i concessionari l’anticipata cessazione della gestione del servizio rispetto alla scadenza naturale prevista dalla convenzioni».
Inoltre, quanto all’art. 97 della Costituzione, l’introduzione, con effetto retroattivo, della possibilità per gli enti di riscattare il servizio e quindi le strutture ad esso funzionali, anche se finalizzata all’affidamento mediante gara pubblica, implicherebbe un passaggio improvviso della titolarità delle gestioni, perciò inciderebbe negativamente sulla efficacia, sulla efficienza e sulla economicità del servizio medesimo.
«In via subordinata», la parte costituita considera che l’art. 1, comma 69, della legge n. 239 del 2004 andrebbe interpretato nel senso che il riscatto può essere esercitato solo se l’ente locale concedente lo abbia «ex ante funzionalizzato» all’espletamento di una procedura di evidenza pubblica, onde consentire il «passaggio del servizio, senza soluzione di continuità, da un concessionario ad un altro».
Considerato in diritto
1. – La questione di legittimità costituzionale sollevata dal Tribunale amministrativo regionale per il Veneto ha ad oggetto l’art. 1, comma 69, della legge 23 agosto 2004, n. 239 (Riordino del settore energetico, nonché delega al Governo per il riassetto delle disposizioni vigenti in materia di energia), nella parte in cui prevede che la disposizione di cui all’articolo 15, comma 5, del decreto legislativo 23 maggio 2000, n. 164 (Attuazione della direttiva 98/30/CE recante norme comuni per il mercato interno del gas naturale, a norma dell’articolo 41 della legge 17 maggio 1999, n. 144), relativa al regime transitorio degli affidamenti e delle concessioni in essere al 21 giugno 2000, data di entrata in vigore del medesimo decreto legislativo, «va interpretata nel senso che è fatta salva la facoltà di riscatto anticipato, durante il periodo transitorio, se stabilita nei relativi atti di affidamento o di concessione. Tale facoltà va esercitata secondo le norme ivi stabilite».
Ad avviso del rimettente, i «primi due periodi» del citato art. 1, comma 69, si pongono in contrasto con l’art. 3 della Costituzione, in quanto hanno un contenuto innovativo e comportano la reintroduzione, nel settore della distribuzione del gas naturale, dell’istituto del riscatto anticipato – venuto meno per effetto dell’entrata in vigore del d. lgs. n. 164 del 2000 – «a fini del tutto antitetici rispetto a quelli suoi propri», travisando «per di più» la volontà espressa dalle parti alla firma delle convenzioni; allo stesso tempo, proprio perché comprimono l’affidamento dei privati nelle convenzioni stipulate con la pubblica amministrazione, violano i principi di buon andamento ed imparzialità dell’azione amministrativa, dunque l’art. 97 della Costituzione.
2. – In via preliminare, deve essere rigettata l’eccezione d’inammissibilità sollevata dal Presidente del Consiglio dei ministri in relazione ad un preteso difetto di motivazione quanto alla non manifesta infondatezza della questione, giacché dall’ordinanza di rimessione emergono con sufficiente chiarezza i termini delle singole censure.
La questione, inoltre, va esaminata entro i limiti del thema decidendum individuato nell’atto introduttivo, non potendosi considerare le doglianze svolte dalla parte del giudizio principale con riferimento a parametri costituzionali ed a profili non evocati dal giudice a quo (ex plurimis, sentenze n. 349 del 2007, n. 310 e n. 234 del 2006).
3. – Nel merito, la questione non è fondata.
Il d. lgs. n. 164 del 2000, nel dare attuazione alla direttiva 98/30/CE, recante norme comuni per il mercato interno del gas naturale, ha ridefinito il regime della attività di distribuzione del gas, espressamente qualificata come servizio pubblico, stabilendo all’art. 14 il principio che il servizio «è affidato esclusivamente mediante gara, per periodi non superiori a dodici anni», mentre sono riservate agli enti locali le sole attività di indirizzo, di vigilanza, di programmazione e di controllo.
L’art. 15 del medesimo decreto delegato regola la transizione nell’attività di distribuzione del gas e, al comma 5, dispone che «gli affidamenti e le concessioni in essere alla data di entrata in vigore del presente decreto, nonché quelli alle società derivate dalla trasformazione delle attuali gestioni, proseguono fino alla scadenza stabilita, se compresa entro i termini previsti dal comma 7 per il periodo transitorio. Gli affidamenti e le concessioni in essere per i quali non è previsto un termine di scadenza o è previsto un termine che supera il periodo transitorio, proseguono fino al completamento del periodo transitorio stesso».
Tale norma – che non riguarda gli affidamenti e le concessioni già attribuiti mediante gara (art. 15, comma 9, del d. lgs. n. 164 del 2000) – è oggetto dell’interpretazione fornita dall’art. 1, comma 69, della legge n. 239 del 2004, secondo la quale è fatta salva la facoltà di riscatto anticipato, durante il periodo transitorio, ma solo se stabilita nei relativi atti di affidamento o di concessione.
Successivamente è intervenuto l’art. 23 del decreto-legge 30 dicembre 2005, n. 273 (Definizione e proroga di termini, nonché conseguenti disposizioni urgenti), convertito, con modificazioni, dall’art. 1 della legge 23 febbraio 2006, n. 51, che ha nuovamente determinato la durata del periodo transitorio, prorogandolo al 31 dicembre 2007 ed automaticamente prolungandolo fino al 31 dicembre 2009 in presenza di almeno una delle condizioni indicate al comma 7 dell’art. 15 del d.lgs. n. 164 del 2000, nonché consentendo agli enti locali di disporre una ulteriore proroga di un anno di tali termini per comprovate ragioni di pubblico interesse e facendo ancora salva la facoltà di riscatto anticipato nella fase di transizione.
4. – I dubbi di legittimità costituzionale dedotti dal rimettente si fondano sull’assunto che l’art. 1, comma 69, della legge n. 239 del 2004, indipendentemente dalla formulazione letterale e dagli intenti desumibili dai lavori parlamentari, non esprima affatto l’interpretazione autentica dell’art. 15, comma 5, del d. lgs. n. 164 del 2000, ma ne modifichi retroattivamente il contenuto.
Secondo il giudice a quo, infatti, già nel periodo transitorio sarebbe «inequivocabilmente» venuta meno la possibilità per le amministrazioni di avvalersi di una potestà, quella di riscatto, che, in quanto destinata dal r.d. n. 2578 del 1925 alla gestione diretta del servizio, perseguiva finalità non più contemplate dall’ordinamento.
Nel senso della implicita abrogazione delle norme sul riscatto anticipato, prima della emanazione della legge n. 239 del 2004, sarebbe stata univoca la lettura della giurisprudenza amministrativa.
5. – Ai fini del presente giudizio, dunque, deve anzitutto verificarsi quale sia la natura della denunciata norma.
In base ai princípi affermati da questa Corte, sono interpretative «quelle norme obiettivamente dirette a chiarire il senso di norme preesistenti ovvero a escludere o a enucleare uno dei sensi fra quelli ragionevolmente ascrivibili alla norma interpretata»; i caratteri dell’interpretazione autentica, quindi, sono desumibili da un rapporto fra norme «tale che il sopravvenire della norma interpretante non fa venir meno la norma interpretata, ma l’una e l’altra si saldano fra loro dando luogo a un precetto normativo unitario» (sentenze n. 311 del 1995, n. 94 del 1995, n. 397 del 1994, n. 424 del 1993, n. 455 del 1992).
Nella specie, la conservazione della potestà di riscatto anticipato in capo agli enti locali, in funzione dell’affidamento del servizio mediante gara, ha costituito una delle possibili varianti di lettura dell’art. 15, comma 5, del d. lgs. n. 164 del 2000, avallata da alcuni giudici di primo grado.
L’esame della giurisprudenza amministrativa anteriore all’emanazione della legge n. 239 del 2004 rivela, infatti, una situazione di incertezza sul dato normativo, tale che, ad un indirizzo prevalente nel senso indicato dal giudice a quo, se ne contrapponeva uno minoritario, secondo cui il riferimento, contenuto nel citato art. 15, comma 5, alla prosecuzione delle concessioni e degli affidamenti per i quali non fosse previsto un termine di scadenza o per i quali fosse previsto un termine eccedente il periodo transitorio, doveva essere interpretato nel significato del mantenimento del rapporto in corso, ivi comprese le norme che regolavano la sua possibile anticipata risoluzione sul piano strettamente contrattuale. In base a tale orientamento, la previsione di un graduale passaggio dal vecchio al nuovo regime, in difetto di un’espressa previsione abrogativa della facoltà di riscatto, non poteva aver introdotto alcuna obbligatoria prosecuzione del rapporto e neppure poteva equivalere ad un indifferenziato divieto di porvi fine anticipatamente, in spregio alle pattuizioni intercorse tra le parti.
La legge impugnata, dunque, non ha inciso su un orientamento giurisprudenziale a tal punto consolidato da far ritenere implausibili diverse soluzioni, bensì ha privilegiato un’interpretazione tra quelle possibili, come dimostrano anche le affermazioni del Consiglio di Stato successive alla legge n. 239 del 2004, cui lo stesso rimettente ha fatto cenno, sia pure solo per contestarne la fondatezza.
In presenza di siffatti indirizzi giurisprudenziali, in conclusione, può ritenersi che effettivamente la norma denunciata sia intervenuta a chiarire il senso dell’art. 15, comma 5, del d.lgs. n. 164 del 2000, saldandosi con quest’ultimo e dando luogo ad un precetto unitario, che impone, per la durata del periodo transitorio, il mantenimento dei rapporti in essere come regolati negli atti di affidamento o concessione, conservando validità alle clausole di riscatto ivi previste nonostante l’art. 14, comma 1, dello stesso decreto delegato consenta agli enti locali di avvalersene soltanto per l’espletamento di una procedura di evidenza pubblica.
E, sotto l’aspetto del controllo di ragionevolezza, questa Corte ha anche di recente ribadito che «la norma che deriva dalla legge di interpretazione autentica non può ritenersi irragionevole ove si limiti ad assegnare alla disposizione interpretata un significato già in essa contenuto, riconoscibile come una delle possibili letture del testo originario» (sentenze n. 234 del 2007, n. 274 del 2006, n. 39 del 2006).
6. – Altrettanto infondata è la questione sotto il profilo della lesione dell’«affidamento dei privati nelle convenzioni stipulate con le amministrazioni» prima della riforma del settore della distribuzione del gas.
Invero, là dove il riscatto anticipato aveva formato l’oggetto di espressa riserva da parte delle amministrazioni, le aspettative delle imprese di distribuzione in ordine alla gestione del servizio per l’intera durata del periodo transitorio non possono certo ritenersi legittimamente fondate sulle convenzioni intercorse sotto la vigenza del precedente regime.
Al riguardo, è ininfluente che sia ora inibita alle amministrazioni l’assunzione diretta dell’attività di distribuzione, giacché l’interesse pubblico soddisfatto dal provvedimento di riscatto attiene pur sempre alla riorganizzazione del servizio, in vista di un assetto più confacente alle esigenze della comunità.
In tale prospettiva, l’opzione per il sistema dell’esternalizzazione del servizio configura una diversa modalità di realizzazione del medesimo interesse pubblico dedotto nelle clausole di riscatto contenute negli atti di concessione o affidamento e, rispetto ad essa, è coerente la previsione di salvaguardia, nella fase della transizione, del diritto di riscatto concordato tra le parti.
D’altra parte, se il riscatto diviene necessariamente strumentale all’espletamento di una gara, il titolare del pregresso rapporto, potendo parteciparvi senza limitazioni (art. 15, comma 10, del d. lgs. n. 164 del 2000), gode di un’opportunità che, nel caso della riassunzione in proprio del servizio da parte dell’ente concedente, gli era preclusa.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 69, della legge 23 agosto 2004, n. 239 (Riordino del settore energetico, nonché delega al Governo per il riassetto delle disposizioni vigenti in materia di energia), sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 97 della Costituzione, dal Tribunale amministrativo regionale per il Veneto con l’ordinanza in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 5 maggio 2008.
F.to:
Franco BILE, Presidente
Giuseppe TESAURO, Redattore
Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 14 maggio 2008.