ORDINANZA N. 417
ANNO 2007
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Franco BILE Presidente
- Giovanni Maria FLICK Giudice
- Francesco AMIRANTE ”
- Ugo DE SIERVO ”
- Paolo MADDALENA ”
- Alfio FINOCCHIARO ”
- Alfonso QUARANTA ”
- Franco GALLO ”
- Luigi MAZZELLA ”
- Gaetano SILVESTRI ”
- Sabino CASSESE ”
- Maria Rita SAULLE ”
- Giuseppe TESAURO ”
- Paolo Maria NAPOLITANO ”
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 3, commi 2-bis, 2-ter e 2-quater del decreto-legge 30 novembre 2005, n. 245 (Misure straordinarie per fronteggiare l’emergenza nel settore dei rifiuti nella Regione Campania ed ulteriori disposizioni in materia di protezione civile), commi aggiunti dalla relativa legge di conversione 27 gennaio 2006, n. 21, promosso con ordinanza del 18 maggio 2006 dal Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione Siciliana, sul ricorso proposto dal Comune di Palermo contro il Consorzio Olimpo ed altri, iscritta al n. 374 del registro ordinanze 2006 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 41, prima serie speciale, dell’anno 2006.
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 24 ottobre 2007 il giudice relatore Alfonso Quaranta.
Ritenuto che il Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione Siciliana ha sollevato – in riferimento agli artt. 3, 24 e 125 della Costituzione, e all’art. 23 del regio decreto legislativo 15 maggio 1946, n. 455 (Approvazione dello statuto della Regione siciliana), convertito dalla legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 2 – questione di legittimità costituzionale dell’art. 3, commi 2-bis, 2-ter e 2-quater, del decreto-legge 30 novembre 2005, n. 245 (Misure straordinarie per fronteggiare l’emergenza nel settore dei rifiuti nella Regione Campania ed ulteriori disposizioni in materia di protezione civile), commi aggiunti dalla relativa legge di conversione 27 gennaio 2006, n. 21;
che, in via subordinata, il medesimo rimettente ha sollevato – in riferimento agli artt. 3, 24 e 125 della Costituzione e all’art. 23, primo comma, dello statuto regionale di autonomia – questione di legittimità costituzionale del solo comma 2-bis, del medesimo art. 3 del decreto-legge n. 245 del 2005, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 21 del 2006, limitatamente alle parole «e dei consequenziali provvedimenti commissariali»;
che, in via ulteriormente gradata, il predetto Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione Siciliana ha sollevato – in riferimento agli artt. 24 e 25 Cost. – questione di legittimità costituzionale esclusivamente del comma 2-quater dell’art. 3 del decreto-legge n. 245 del 2005;
che il rimettente premette di dover giudicare dell’appello proposto avverso un provvedimento cautelare con cui il giudice di prime cure ha sospeso l’efficacia dell’ordinanza – e dei provvedimenti consequenziali – adottata dal Sindaco del Comune di Palermo, in qualità di Commissario delegato per l’attuazione degli interventi volti a fronteggiare l’emergenza ambientale nel settore del traffico e della mobilità cittadina, ordinanza con cui veniva dato mandato, al comandante della locale polizia municipale, di sottoscrivere con la Poste Italianes.p.a., prescelta senza il ricorso alle procedure dell’evidenza pubblica, un accordo avente ad oggetto il servizio integrato di notifica delle contravvenzioni stradali;
che il giudice a quo, inoltre, dà atto di essere stato investito dell’eccezione di incompetenza funzionale, sollevata dal Comune di Palermo proprio ai sensi dei censurati commi 2-bis, 2-ter e 2-quater dell’art. 3 del decreto-legge n. 245 del 2005;
che, difatti, ai sensi del comma 2-bis, nelle situazioni di emergenza dichiarate ai sensi dell’art. 5, comma 1, della legge 24 febbraio 1992, n. 225 (Istituzione del Servizio nazionale della protezione civile), «la competenza di primo grado a conoscere della legittimità delle ordinanze adottate e dei consequenziali provvedimenti commissariali spetta in via esclusiva, anche per l’emanazione di misure cautelari, al tribunale amministrativo regionale del Lazio, con sede in Roma»;
che, inoltre, ai sensi dei successivi commi 2-ter e 2-quater, le questioni di competenza di cui al comma precedente «sono rilevate d’ufficio», nonché decise «con sentenza succintamente motivata ai sensi dell’articolo 26 della legge 6 dicembre 1971, n. 1034, e successive modificazioni, trovando applicazione i commi 2 e seguenti dell’articolo 23-bis della stessa legge» (così, in particolare, il comma 2-ter), prevedendosi, infine, non solo che il sopravvenuto regime processuale si applichi «anche ai processi in corso» (comma 2-quater), ma pure che l’efficacia delle misure cautelari, adottate medio tempore dal giudice inizialmente adito, permanga soltanto «fino alla loro modifica o revoca da parte del tribunale amministrativo regionale del Lazio, con sede in Roma, cui la parte interessata può riproporre il ricorso» (così, nuovamente, il già citato comma 2-quater);
che, pertanto, il giudice rimettente – proprio in applicazione delle norme suddette – reputa di dover declinare la competenza in favore del Tribunale amministrativo regionale del Lazio, sede di Roma, poiché «la tesi del giudice di primo grado secondo cui il momento di incardinamento della competenza cautelare sarebbe determinato dalla data di notifica e quindi di proposizione del gravame», sebbene si fondi su principi enunciati dalla giurisprudenza costituzionale (e particolarmente dall’ordinanza n. 382 del 2005), risulta, nella specie, «preclusa da dati letterali e logici, che sembrano insuperabili»;
che, secondo il giudice a quo, la disciplina suddetta, «nell’inibire la emanazione di misure cautelari a TAR diverso da quello del Lazio, correla infatti la verifica della competenza non già al momento della instaurazione del rapporto processuale, bensì al momento di adozione della misura cautelare», come è dato desumere (comma 2-quater del censurato art. 3) «dalla previsione di applicabilità del nuovo regime anche ai processi in corso»;
che il rimettente, pertanto, sottolinea di poter esaminare l’appello del quale risulta investito solo previa declaratoria di illegittimità delle norme censurate, atteso che, nella perdurante vigenza delle stesse, esso «dovrebbe limitarsi a dichiarare la incompetenza funzionale del Tribunale amministrativo regionale della Sicilia, Palermo, a pronunciarsi in via cautelare» e, per l’effetto, a «rimettere la causa al giudice di primo grado, per la declaratoria con sentenza breve della improcedibilità del ricorso originario»;
che il giudice a quo, tanto premesso in fatto, reputa che le disposizioni censurate violino, innanzitutto, l’art. 125 Cost., «che prevede una organizzazione su base regionale degli organi di giustizia amministrativa di primo grado», finalizzata non solo «a ripartire in modo razionale e equiordinato l’organizzazione dei giudici amministrativi di primo grado», ma anche ad «agevolare il ricorso delle parti alla giustizia amministrativa, in coerenza e continuità logica con i principi desumibili dall’art. 24 della Costituzione»;
che a queste esigenze risponderebbe, in particolare, la disciplina – artt. 2 e 3 della legge 6 dicembre 1971, n. 1034 (Istituzione dei tribunali amministrativi regionali) – relativa ai criteri di distribuzione della competenza territoriale tra i diversi organi di primo grado della giustizia amministrativa, disciplina certamente derogabile, a condizione, però, che la deroga sia «sorretta da giustificazioni logiche», giacché altrimenti essa sarebbe destinata a tradursi in un ingiustificato «aggravio per l’attività di alcuni Tribunali e per l’attività difensiva delle parti»;
che nessuna valida ragione giustificativa ricorrerebbe, invece, nel caso in esame, come confermerebbe anche la circostanza che il legislatore del 2006 ha inteso riferirsi a tutte le situazioni di emergenza di cui all’art. 5, comma 1, delle legge n. 225 del 1992;
che, difatti, a prescindere dall’ampio dibattito sviluppatosi intorno alle ordinanze di necessità ed urgenza ed alla loro compatibilità con diversi principi costituzionali (il rimettente richiama le sentenze della Corte costituzionale n. 100 del 1987, n. 4 del 1977, n. 26 del 1961, n. 8 del 1956), l’indeterminatezza tanto delle situazioni di emergenza alle quali si riferisce la norma suddetta, quanto delle specifiche consequenziali attività amministrative occorrenti per fronteggiarle, comporterebbe – secondo il giudice a quo – che la materia devoluta alla competenza del Tribunale regionale amministrativo del Lazio presenti «contorni talmente ampi ed imprecisi da sfuggire ad ogni possibile preventiva individuazione», confermando così che la disciplina recata dalle norme censurate «configura una previsione incongrua rispetto al sistema di distribuzione territoriale delle competenze tra tribunali amministrativi»;
che secondo il rimettente, inoltre, i censurati commi 2-bis, 2-ter e 2-quater dell’art. 3 contrasterebbero anche con l’art. 3 Cost., «sotto il profilo della disparità di trattamento in situazioni eguali di fronte alla tutela giurisdizionale», configurando altresì, per la parte privata, «un aggravio all’esercizio del diritto di difesa», in violazione anche dell’art. 24 della Carta fondamentale;
che un ulteriore profilo di illegittimità costituzionale è ravvisato pure nel contrasto dei medesimi commi con l’art. 23 dello statuto regionale siciliano;
che il rimettente – nel premettere che, secondo la giurisprudenza costituzionale, il «decentramento territoriale degli organi giurisdizionali centrali, sancito in via di principio dal citato art. 23, corrisponde ad un’antica tradizione siciliana e si ricollega alla singolarità dell’autonomia siciliana» (è citata la sentenza n. 316 del 2004) – evidenzia che, nel caso di specie, verrebbe in rilievo proprio quella condizione – l’impugnativa «di atti di esclusivo rilievo regionale» – idonea a radicare, secondo quanto affermato dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 189 del 1992, la competenza del «plesso giurisdizionale» costituito dal Tribunale amministrativo regionale della Sicilia e dal Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione Siciliana;
che difatti, sempre a dire del rimettente, venendo in rilievo «un vero e proprio comparto dotato di competenza funzionale a conoscere di tutte le controversie insorgenti nell’ambito territoriale della Regione siciliana», la deroga a tale competenza, che non sia assistita «da adeguato supporto parimenti di rango costituzionale», dovrebbe ritenersi in contrasto con il richiamato parametro costituzionale;
che su tali basi il rimettente ha chiesto la declaratoria di illegittimità costituzionale dei predetti commi 2-bis, 2-ter (limitatamente all’inciso «Le questioni di cui al comma 2-bis sono rilevate d’ufficio») e 2-quater, dell’art. 3 del decreto-legge n. 245 del 2005, l’ablazione dei quali dovrebbe, dunque, fare salvo solo il frammento di disposizione secondo cui, allorché innanzi al giudice amministrativo si controverta di situazioni di emergenza dichiarate ai sensi dell’art. 5, comma 1, della legge n. 225 del 1992, «il giudizio è definito con sentenza succintamente motivata ai sensi dell’art. 26 della legge 6 dicembre 1971, n. 1034, e successive modificazioni, trovando applicazione i commi 2 e seguenti dell’art. 23-bis della stessa legge»;
che i medesimi rilievi varrebbero a maggior ragione, sempre secondo il rimettente, ove si consideri il peculiare caso (al quale corrisponde, si precisa, quello oggetto del giudizio principale) in cui il giudice amministrativo risulti investito dei «soli provvedimenti attuativi commissariali», allorché questi «abbiano carattere (soggettivo e oggettivo) esclusivamente locale»;
che, difatti, «non venendo in rilievo atti di organi centrali», trattandosi invece di atti ad efficacia territorialmente circoscritta alla Regione, in questo caso risulterebbe ulteriormente rafforzata la tesi che esclude l’esistenza di un nesso logico tra siffatte controversie e la competenza esclusiva del Tribunale amministrativo regionale del Lazio;
che su tali basi, quindi, il rimettente solleva, in via subordinata, questione di legittimità costituzionale – in riferimento agli artt. 3, 24 e 125 Cost. e all’art. 23, primo comma, dello statuto regionale – del solo comma 2-bis del predetto art. 3, limitatamente alle parole «e dei consequenziali provvedimenti commissariali», sottolineando che in caso di suo accoglimento il sistema risulterebbe così strutturato: la competenza a decidere l’impugnazione proposta avverso i provvedimenti commissariali verrebbe «attratta» da quella operante per le ordinanze emesse ex art. 5 della legge n. 225 del 1992 solo in caso di vizi derivati, atteso che nella differente ipotesi in cui rilevino vizi “propri” di tali provvedimenti «la competenza risulterebbe incardinata nel TAR competente secondo le regole generali»;
che, infine, ed in via ulteriormente gradata, il rimettente solleva un’ulteriore questione di costituzionalità – in riferimento agli artt. 24 e 25 Cost. – che investe il solo regime transitorio previsto dalla censurata disciplina e, dunque, unicamente il predetto comma 2-quater;
che tale norma, difatti, sarebbe «in contrasto con il principio del giudice naturale precostituito per legge (art. 25, primo comma, della Costituzione), in base al quale la regola di competenza deve essere prefissata rispetto all’insorgere della controversia» (sono richiamate le sentenze della Corte costituzionale n. 124 del 2005 e n. 193 del 2003), principio operante anche rispetto alla competenza territoriale (sentenza n. 41 del 2006);
che, da ultimo, sarebbe violato anche «il principio della difesa (art. 24 Cost.)», giacché esso implica – secondo la giurisprudenza costituzionale (è citata la sentenza n. 123 del 1987) – «il diritto del cittadino ad ottenere una decisione di merito senza onerose reiterazioni»; nella specie, invece, si assiste ad una estinzione del giudizio originariamente incardinato, con la necessità della riproposizione del ricorso innanzi al Tribunale amministrativo regionale del Lazio, «al quale vanno altresì presentate eventuali istanze di revoca o modifica delle misure cautelari in precedenza disposte»;
che è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile e comunque infondata;
che la difesa erariale assume, in particolare, l’infondatezza della censura formulata ai sensi dell’art. 3 Cost. sul presupposto della (pretesa) «irragionevole disparità di trattamento (nella individuazione del tribunale amministrativo regionale territorialmente competente) tra provvedimenti adottati in via ordinaria e provvedimenti emanati in situazioni di emergenza», ai sensi dell’art. 5, comma 1, della legge n. 225 del 1992, «attesa la evidente disomogeneità tra le due situazioni poste a raffronto»;
che la difesa dello Stato, difatti, «giustifica la diversità della contestata disciplina» in quanto espressione di una scelta «non arbitraria», giacché assunta in funzione della ragionevole «esigenza di concentrare in un unico giudice di primo grado, anche nella fase cautelare, la pronta e uniforme cognizione delle controversie» in esame, relative a provvedimenti caratterizzati, per loro natura, dalla finalità di realizzare «interventi miranti a fronteggiare situazioni emergenziali»;
che l’Avvocatura generale dello Stato esclude, inoltre, l’esistenza del paventato contrasto con l’art. 24 Cost., atteso che il maggior aggravio ed i più rilevanti costi destinati ad essere sopportati dai destinatari dei provvedimenti in questione, oltre a costituire «conseguenze di mero fatto», non integrano l’evenienza della impossibilità o dell’estrema difficoltà dell’esercizio del diritto di difesa, idonea a concretizzare la violazione dell’evocato parametro costituzionale;
che, d’altra parte, neppure si potrebbe ipotizzare – secondo la difesa erariale – che le disposizioni censurate violino l’art. 125 della Carta fondamentale, in quanto esso «non preclude certamente al legislatore statale di individuare non irragionevolmente, per determinate “categorie” di controversie, particolari criteri di riparto della competenza territoriale tra giudici di primo grado», derogando a quelli di cui agli artt. 2 e 3 della legge n. 1034 del 1971;
che, analogamente, sarebbe da escludere anche il contrasto con l’art. 23 dello statuto regionale, che esprime «soltanto la necessità» che in Sicilia sia istituita «una particolare articolazione del giudice amministrativo di secondo grado», e che non implica anche il riconoscimento, in suo favore, di una generale «competenza a conoscere ogni tipo di controversia», incluse quelle che – come nella specie – «non hanno alcun rapporto con la materia regionale»;
che, infine, l’Avvocatura generale dello Stato nega che il comma 2-quater dell’art. 3, nella parte in cui estende la nuova disciplina anche ai processi in corso, violi il principio del giudice naturale, e ciò non solo perché la norma censurata fa in ogni caso (temporaneamente) salva «l’efficacia dei provvedimenti cautelari eventualmente adottati dal giudice già competente», ma soprattutto perché la disposta translatio iudicii non potrebbe intendersi come diretta alla arbitraria successiva indicazione di un giudice diverso «appositamente istituito per quella controversia e per quelle parti, con una scelta idonea ad essere orientata in vista di un determinato giudizio», evenienza che la giurisprudenza costituzionale (è citata la sentenza n. 460 del 1994) individuerebbe come la sola idonea ad integrare il contrasto con il suddetto principio costituzionale.
Considerato che il Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione Siciliana ha sollevato – in riferimento agli artt. 3, 24 e 125 della Costituzione, e all’art. 23 del regio decreto legislativo 15 maggio 1946, n. 455 (Approvazione dello statuto della Regione siciliana), convertito dalla legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 2 – questione di legittimità costituzionale dell’art. 3, commi 2-bis, 2-ter e 2-quater, del decreto-legge 30 novembre 2005, n. 245 (Misure straordinarie per fronteggiare l’emergenza nel settore dei rifiuti nella Regione Campania ed ulteriori disposizioni in materia di protezione civile), commi aggiunti dalla relativa legge di conversione 27 gennaio 2006, n. 21;
che, in via subordinata, il medesimo rimettente ha sollevato – in riferimento agli artt. 3, 24 e 125 Cost. e all’art. 23, primo comma, dello statuto regionale di autonomia – questione di legittimità costituzionale del solo comma 2-bis, del medesimo art. 3 del decreto-legge n. 245 del 2005, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 21 del 2006, limitatamente alle parole «e dei consequenziali provvedimenti commissariali»;
che, in via ulteriormente gradata, il predetto Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione Siciliana ha sollevato – in riferimento agli artt. 24 e 25 Cost. – questione di legittimità costituzionale esclusivamente del comma 2-quater dell’art. 3 del decreto-legge n. 245 del 2005, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 21 del 2006;
che questa Corte, tuttavia, con sentenza n. 237 del 2007, ha escluso la fondatezza di analoghi dubbi di legittimità costituzionale aventi ad oggetto le medesime norme oggi censurate;
che, in particolare, quanto alla supposta violazione dell’art. 125 Cost. (il primo dei parametri evocati anche dall’odierno rimettente), si è ritenuto che «l’attribuzione della competenza al Tribunale amministrativo regionale del Lazio, anziché ai diversi Tribunali amministrativi regionali dislocati su tutto il territorio nazionale, non altera il sistema di giustizia amministrativa», esistendo, nella specie, «ragioni idonee a giustificare la deroga agli ordinari criteri di ripartizione della competenza tra gli organi di primo grado della giustizia amministrativa»;
che, difatti, tali ragioni sono state individuate «nel peculiare regime che connota le situazioni di emergenza – e particolarmente quelle di cui alla lettera c) del comma 1 dell’art. 2 della legge n. 225 del 1992 », atteso che, ricorrendo tale evenienza, «i provvedimenti posti in essere dai commissari delegati sono atti dell’amministrazione centrale dello Stato (in quanto emessi da organi che operano come longa manus del Governo) finalizzati a soddisfare interessi che trascendono quelli delle comunità locali coinvolte dalle singole situazioni di emergenza, e ciò in ragione tanto della rilevanza delle stesse, quanto della straordinarietà dei poteri necessari per farvi fronte» (sentenza n. 237 del 2007);
che quanto, invece, all’ipotizzato contrasto con l’art. 3 Cost., motivato dall’odierno rimettente sotto il profilo della presunta disparità di trattamento alla quale le norme in contestazione sottoporrebbero «situazioni eguali di fronte alla tutela giurisdizionale», può in questa sede ribadirsi come sia «proprio l’avvenuta dichiarazione della situazione di emergenza, ex art. 5, comma 1, della legge n. 225 del 1992», a costituire «l’elemento caratterizzante la fattispecie oggetto della censurata disciplina, impedendo, così, di ravvisare quel profilo di omogeneità tra tale ipotesi e quella – con cui essa viene posta a confronto – dell’ordinario esercizio dei poteri amministrativi», profilo che rappresenta, invece, «il presupposto indispensabile ai fini della loro valutazione comparativa» (così, ancora, la sentenza n. 237 del 2007);
che in ordine, poi, all’asserita violazione dell’art. 24 – motivata sull’assunto che la devoluzione al Tribunale amministrativo regionale del Lazio, e non a quello locale, delle controversie relative all’esercizio dei poteri emergenziali determinerebbe «un aggravio all’esercizio del diritto di difesa» – sì è già osservato come la disposta translatio iudicii non costituisce un «grave ostacolo» al conseguimento della tutela giurisdizionale», non concretizzando quella condizione di «sostanziale impedimento all’esercizio del diritto di azione garantito dall’art. 24 della Costituzione» suscettibile «di integrare la violazione del citato parametro costituzionale» (così, nuovamente, la sentenza n. 237 del 2007);
che, d’altra parte, neppure può ravvisarsi la denunciata violazione dell’art. 23 dello statuto regionale di autonomia (motivata anche dall’odierno rimettente in base all’assunto che l’impugnativa dei «provvedimenti adottati da organi dello Stato centrale, nelle situazioni di emergenza» rientra certamente tra quegli «affari concernenti la Regione» che, ai sensi della predetta disposizione statutaria, sarebbero devoluti, in sede di appello, alla competenza del Consiglio di giustizia amministrativa);
che, difatti, la più volte citata sentenza n. 237 del 2007 ha chiarito che la predetta norma statutaria «stabilisce soltanto che gli organi giurisdizionali centrali debbano avere in Sicilia le sezioni per gli affari concernenti la regione», sicché «l’attribuzione della competenza al Tribunale amministrativo regionale del Lazio, anziché ai diversi Tribunali amministrativi regionali dislocati su tutto il territorio nazionale, non viola l’art. 23 dello statuto siciliano»;
che, d’altra parte, neppure ricorrono le condizioni per accogliere le due questioni sollevate in via subordinata dal Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione Siciliana;
che in relazione alla censura avente ad oggetto il comma 2-bis limitatamente alle parole «e dei consequenziali provvedimenti commissariali», si può ribadire come «la scelta compiuta dal legislatore di accomunare tali atti alle ordinanze che ne costituiscono il presupposto risponda alla (già segnalata) non irragionevole esigenza di assicurare – per i motivi in precedenza esposti – la concentrazione presso lo stesso giudice di tutte le controversie che investano le modalità di esercizio dei poteri emergenziali, e ciò indipendentemente dall’ambito territoriale di efficacia, più o meno delimitato, dei provvedimenti che ne sono estrinsecazione» (sentenza n. 237 del 2007);
che, infine, in merito alla censura che investe – in via di estremo subordine – la sola disciplina transitoria recata dal comma 2-quater dell’art. 3 del decreto-legge n. 245 del 2005, è sufficiente ribadire, per un verso, che il principio costituzionale del giudice naturale «viene rispettato» allorché «la legge, sia pure con effetto anche sui processi in corso, modifica in generale i presupposti o i criteri in base ai quali deve essere individuato il giudice competente: in questo caso, infatti, lo spostamento della competenza dall’uno all’altro ufficio giudiziario non avviene in conseguenza di una deroga alla disciplina generale, che sia adottata in vista di una determinata o di determinate controversie, ma per effetto di un nuovo ordinamento – e, dunque, della designazione di un nuovo giudice “naturale” – che il legislatore, nell’esercizio del suo insindacabile potere di merito, sostituisce a quello vigente» (sentenza n. 237 del 2007);
che, per altro verso, non può neppure ipotizzarsi la violazione del diritto del cittadino ad ottenere una decisione di merito senza onerose reiterazioni, atteso che – come già chiarito – non ricorre, nella specie, quella condizione di «sostanziale impedimento all’esercizio del diritto di azione garantito dall’art. 24 della Costituzione», suscettibile «di integrare la violazione del citato parametro costituzionale»;
che, pertanto, non essendo state prospettate – in relazione a nessuna delle censure formulate dal giudice rimettente – argomentazioni nuove, rispetto a quelle già esaminate da questa Corte, si impone, nel caso di specie, la declaratoria di manifesta infondatezza delle questioni sollevate.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 3, commi 2-bis, 2-ter e 2-quater, del decreto-legge 30 novembre 2005, n. 245 (Misure straordinarie per fronteggiare l’emergenza nel settore dei rifiuti nella Regione Campania ed ulteriori disposizioni in materia di protezione civile), commi aggiunti dalla relativa legge di conversione 27 gennaio 2006, n. 21, sollevata – in riferimento agli artt. 3, 24 e 125 della Costituzione, e all’art. 23 del regio decreto legislativo 15 maggio 1946, n. 455 (Approvazione dello statuto della Regione siciliana), convertito dalla legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 2 – dal Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione Siciliana, con l’ordinanza in epigrafe;
dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale del comma 2-bis, del medesimo art. 3 del decreto-legge n. 245 del 2005, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 21 del 2006, limitatamente alle parole «e dei consequenziali provvedimenti commissariali», sollevata – in riferimento agli artt. 3, 24 e 125 della Costituzione e all’art. 23, primo comma, dello statuto regionale di autonomia – dal Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione Siciliana, con l’ordinanza in epigrafe;
dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale del comma 2-quater dell’art. 3 del decreto-legge n. 245 del 2005, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 21 del 2006, sollevata – in riferimento agli artt. 24 e 25 della Costituzione – dal Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione Siciliana, con l’ordinanza in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 22 novembre 2007.
F.to:
Franco BILE, Presidente
Alfonso QUARANTA, Redattore
Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 5 dicembre 2007.