ORDINANZA N. 382
ANNO 2005
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Piero Alberto CAPOTOSTI Presidente
- Fernanda CONTRI Giudice
- Guido NEPPI MODONA “
- Annibale MARINI “
- Franco BILE “
- Giovanni Maria FLICK “
- Francesco AMIRANTE “
- Ugo DE SIERVO “
- Romano VACCARELLA “
- Alfio FINOCCHIARO “
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 69, comma 7, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche), promossi con ordinanze del 27 gennaio 2004 dal Tribunale amministrativo regionale per la Calabria, sezione staccata di Reggio Calabria, sul ricorso proposto da Rosalba La Marca contro ASL n. 10 di Palmi, e del 17 settembre 2004 dal Tribunale amministrativo regionale per la Campania, sul ricorso proposto da Ernesto Cece contro ASL n. 1 di Napoli ed altra, iscritte ai numeri 812 e 1041 del registro ordinanze 2004 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 43, prima serie speciale, dell’anno 2004 e n. 3, prima serie speciale, dell’anno 2005.
Visti l’atto di costituzione di Ernesto Cece nonché gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio dell’8 giugno 2005 il Giudice relatore Romano Vaccarella.
Ritenuto che, nel corso di un giudizio amministrativo, promosso da Rosalba La Marca, dipendente dell’Azienda sanitaria locale n. 10 di Palmi, nei confronti dell’amministrazione datrice di lavoro, per ottenere l’accertamento di crediti retributivi maturati in periodi anteriori al 30 giugno 1998, il Tribunale amministrativo regionale per la Calabria - sezione staccata di Reggio Calabria, con ordinanza del 27 gennaio 2004 (r.o. n. 812 del 2004), ha sollevato questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli articoli 3, 24, 113 e 76 della Costituzione, dell’art. 69, comma 7, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche), limitatamente all’inciso «solo qualora siano state proposte, a pena di decadenza, entro il 15 settembre 2000»;
che il giudice a quo premette, in punto di fatto, che la controversia è stata proposta dopo la scadenza del termine di decadenza del 15 settembre 2000, in quanto il ricorso introduttivo è stato depositato nella segreteria dell’ufficio giudiziario dopo tale data, pur essendo stato notificato anteriormente;
che il Tribunale rimettente afferma la propria giurisdizione, aderendo all’orientamento delle sezioni unite della Corte di cassazione, secondo cui la data 15 settembre 2000 è fissata dall’art. 69, comma 7, del d.lgs. n. 165 del 2001 non quale mero limite alla persistenza della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, ma quale termine di decadenza per la proponibilità della domanda giudiziale;
che, quanto alla rilevanza della questione, il Tribunale osserva che la controversia al suo esame deve ritenersi proposta dopo la scadenza del termine del 15 settembre 2000, in quanto, secondo consolidata giurisprudenza amministrativa, il giudizio amministrativo si instaura non già con la notificazione del ricorso, bensì solo con il deposito (nella specie, avvenuto il 25 settembre 2000) nella segreteria del ricorso notificato, sicché, in applicazione della norma denunciata, dovrebbe dichiararsi l’estinzione per decadenza delle pretese azionate;
che, quanto alla non manifesta infondatezza della questione, il giudice a quo sospetta di incostituzionalità la norma denunciata per violazione, in primo luogo, dell’art. 3 Cost., poiché introduce una ingiustificata disparità di trattamento fra i dipendenti pubblici, cui è imposto il termine di decadenza del 15 settembre 2000 per la proposizione delle domande relative a diritti maturati entro il 30 giugno 1998, e i dipendenti privati, per i quali valgono gli ordinari termini di prescrizione;
che la norma denunciata – ad avviso del giudice rimettente – si pone, inoltre, in contrasto con gli artt. 24 e 113 Cost., in quanto l’imposizione di un termine di decadenza così ristretto, da un lato, rende oltremodo difficoltosa la tutela giurisdizionale del pubblico dipendente, specie con riferimento a situazioni in cui i presupposti necessari per una tutela giurisdizionale si completino e si consolidino in epoca successiva al 30 giugno 1998, e, dall’altro e in generale, non trova giustificazione in alcun generale interesse dell’ordinamento;
che, ancora, la norma denunciata contrasterebbe con l’art. 76 Cost., in quanto la legge di delega 15 marzo 1997, n. 59 (Delega al Governo per il conferimento di funzioni e compiti alle Regioni ed enti locali, per la riforma della pubblica amministrazione e per la semplificazione amministrativa), «ai cui contenuti deve riportarsi anche il d.lgs. n. 165 del 2001», demandava al Governo, all’art. 11, comma 4, lettera g), di adottare «misure organizzative e processuali anche di carattere generale atte a prevenire disfunzioni dovute al sovraccarico del contenzioso», ma l’imposizione di un termine di decadenza per agire dinanzi al giudice amministrativo non costituisce misura processuale e, comunque, avrebbe potuto riferirsi solo alle controversie trasferite al giudice ordinario, non anche a quelle rimaste al giudice amministrativo;
che, intervenuto nel giudizio a mezzo dell’Avvocatura generale dello Stato, il Presidente del Consiglio dei ministri ha chiesto che la questione sia dichiarata inammissibile, in quanto l’art. 69, comma 7, del d.lgs. n. 165 del 2001, che ha riprodotto, senza alcuna modifica sostanziale, il disposto dell’art. 45, comma 17, del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 80 (Nuove disposizioni in materia di organizzazione dei rapporti di lavoro nelle amministrazioni pubbliche, di giurisdizione nelle controversie di lavoro e di giurisdizione amministrativa, emanate in attuazione dell’articolo 11, comma 4, della legge 15 marzo 1997, n. 59), sarebbe suscettibile di un’interpretazione costituzionalmente orientata, nel senso che il termine del 15 settembre 2000 non costituisce un termine di decadenza sostanziale, ma il limite temporale della giurisdizione del giudice amministrativo, oltre il quale le controversie relative a questioni attinenti al periodo del rapporto di lavoro anteriore al 30 giugno 1998 sono devolute al giudice ordinario;
che, quanto al denunciato vizio di eccesso di delega, l’Avvocatura sostiene che – poiché la ratio della norma denunciata sta nel contemperamento di due contrapposte esigenze: da un lato, di subordinare il “passaggio” delle controversie di pubblico impiego dal giudice amministrativo al giudice ordinario alla decorrenza di un periodo transitorio, al fine di evitare un immediato e generalizzato sovraccarico del contenzioso davanti al giudice ordinario e, dall’altro, di delimitare il periodo transitorio, al fine di evitare che le controversie rimaste attribuite al giudice amministrativo «potessero rimanere devolute ad infinitum (in forza, ad esempio, di una pluralità indefinita di atti interruttivi della prescrizione) al giudice ormai non più munito, in linea generale, di competenza giurisdizionale» in materia – il previsto termine di decadenza per la proposizione delle controversie davanti al giudice amministrativo costituisce soluzione ottimale e perfettamente ragionevole per contemperare le opposte esigenze in armonia con il dettato della legge di delega;
che, quanto alla sospettata violazione degli artt. 3 e 24 Cost., la difesa erariale osserva che un termine decadenziale di oltre due anni non confligge con la giurisprudenza della Corte costituzionale, secondo la quale l’art. 24 Cost. non esige che la tutela dei diritti e interessi sia regolata dal legislatore ordinario con uniformità di requisiti ed effetti, né vieta che l’esercizio di tale tutela sia sottoposto a termini di decadenza o di prescrizione, nei limiti in cui tale regolamentazione non risulti manifestamente irragionevole o non imponga oneri tali da compromettere irreparabilmente la tutela stessa (sentenze n. 210 del 1998, n. 461 del 1997, n. 406 del 1993, n. 77 del 1974, n. 85 del 1968, n. 100 del 1964, n. 47 del 1964, n. 113 del 1963, n. 87 del 1962);
che, quanto alla censura di irragionevolezza, la difesa erariale ne eccepisce la manifesta infondatezza, in quanto, rientrando nella discrezionalità del legislatore modificare i criteri di riparto di giurisdizione fra giudice ordinario e giudice amministrativo, non può considerarsi irragionevole una disciplina transitoria, con la quale sia fissato un termine oltre il quale una certa controversia non possa più essere portata davanti all’un giudice, ma debba essere conosciuta dall’altro;
che, nel corso di un giudizio amministrativo, promosso da Ernesto Cece, dipendente dell’Azienda sanitaria locale n. 1 di Napoli, nei confronti dell’amministrazione datrice di lavoro e dell’Istituto nazionale di previdenza per i dipendenti dell’amministrazione pubblica (INPDAP), per ottenere l’accertamento del diritto alla reintegrazione, sul piano giuridico ed economico, del proprio stato di servizio nel periodo dal 1° luglio 1991 al 16 luglio 1996, il Tribunale amministrativo regionale per la Campania, con ordinanza del 17 settembre 2004 (r.o. n. 1041 del 2004), ha sollevato questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 24, 113 e 3 Cost., dell’art. 69, comma 7, del d.lgs. n. 165 del 2001, limitatamente all’inciso «solo qualora siano state proposte, a pena di decadenza, entro il 15 settembre 2000»;
che il giudice a quo premette, in punto di fatto, che il Cece aveva adito il giudice ordinario, con ricorso depositato il 27 novembre 2000 e notificato il 1° dicembre 2000, e, in corso di causa, aveva chiesto il regolamento di giurisdizione ai sensi dell’art. 41 del codice di procedura civile; che la Corte di cassazione, con ordinanza n. 14766 del 17 ottobre 2002, avendo rilevato che i fatti costitutivi delle pretese azionate erano anteriori al 30 giugno 1998, aveva dichiarato, a norma dell’art. 69, comma 7, del d.lgs. n. 165 del 2001, la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo; che il Cece, quindi, con ricorso notificato il 14 febbraio 2003 e depositato il 3 marzo 2003, aveva introdotto il giudizio dinanzi al Tribunale amministrativo regionale, intendendo con ciò riassumere la causa già proposta davanti al giudice ordinario, ovvero, in subordine, instaurare un nuovo giudizio;
che, quanto alla rilevanza della questione, il giudice rimettente rileva che la controversia al suo esame riguarda pretese creditorie attinenti al periodo del rapporto di lavoro anteriore al 30 giugno 1998, ma essa è stata proposta dopo la scadenza del termine del 15 settembre 2000, sicché, essendo il ricorrente incorso nella decadenza comminata dall’art. 69, comma 7, del d.lgs. n. 165 del 2001, la domanda giudiziale dovrebbe essere dichiarata inammissibile, ove la norma medesima non venisse dichiarata costituzionalmente illegittima;
che, quanto alla non manifesta infondatezza della questione, il giudice a quo osserva che la norma denunciata viola gli artt. 24 e 113 Cost., in quanto, sottraendo i diritti scaturenti dal rapporto di impiego pubblico agli ordinari termini di prescrizione e sottoponendoli ad un unico indifferenziato termine di decadenza, priva tali diritti di qualunque possibilità di tutela giurisdizionale;
che lo stesso giudice osserva ancora che l’art. 69, comma 7, del d.lgs. n. 165 del 2001 viola, altresì, il principio di uguaglianza, in quanto, mentre i dipendenti privati e i dipendenti pubblici delle categorie “eccettuate” (i cui rapporti non sono “contrattualizzati”, ma rimangono sottoposti a regime di diritto pubblico) possono agire a tutela dei propri diritti nell’ordinario termine prescrizionale, gli altri dipendenti pubblici hanno l’onere di far valere i loro diritti entro il termine di decadenza del 15 settembre 2000, a pena di improponibilità della domanda, e che tale trattamento differenziato sembra irragionevole, poiché non risponde ad alcuna apprezzabile esigenza connessa alla devoluzione della materia del pubblico impiego dal giudice amministrativo al giudice ordinario;
che, intervenuto nel giudizio a mezzo dell’Avvocatura generale dello Stato, il Presidente del Consiglio dei ministri ha chiesto che la questione sia dichiarata inammissibile o, comunque, infondata, sulla base di argomentazioni del tutto analoghe a quelle svolte nell’atto di intervento nel giudizio promosso dal Tribunale amministrativo regionale per la Calabria (r.o. n. 812 del 2004);
che si è ritualmente costituito nel giudizio il ricorrente Ernesto Cece, il quale ha concluso per la fondatezza della questione, riprendendo i motivi esposti nell’ordinanza di rimessione, e ha, successivamente, depositato memoria, illustrando ulteriormente le sue conclusioni.
Considerato che sia il Tribunale amministrativo regionale per la Calabria - sezione staccata di Reggio Calabria (ordinanza r.o. n. 812 del 2004) sia il Tribunale amministrativo regionale per la Campania (ordinanza r.o. n. 1041 del 2004) dubitano della legittimità costituzionale dell’art. 69, comma 7, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche), nella parte in cui – riproducendo sostanzialmente l’art. 45, comma 17, del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 80 (Nuove disposizioni in materia di organizzazione e di rapporti di lavoro nelle amministrazioni pubbliche, di giurisdizione nelle controversie di lavoro e di giurisdizione amministrativa, emanate in attuazione dell’articolo 11, comma 4, della legge 15 marzo 1997, n. 59) – stabilisce il termine di decadenza del 15 settembre 2000 per la proposizione, davanti al giudice amministrativo, delle controversie riguardanti rapporti di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni (con esclusione dei rapporti non “privatizzati”), purché relative a questioni attinenti al periodo del rapporto di lavoro anteriore alla data del 30 giugno 1998, in riferimento: a) agli artt. 24 e 113 della Costituzione, in quanto rende più gravoso, per meri motivi organizzativi, al pubblico dipendente far valere i propri diritti patrimoniali, se sorti prima del 30 giugno 1998; b) all’art. 3 Cost., in quanto detta una disciplina irragionevolmente differenziata e vessatoria per i pubblici dipendenti i cui diritti sono sorti prima del 30 giugno 1998 rispetto ai dipendenti privati (ad avviso di entrambi i Tribunali) ed agli altri pubblici dipendenti (ad avviso del TAR per la Campania); nonché (secondo il solo TAR per la Calabria) c) all’art. 76 Cost., per avere travalicato i limiti della delega, conferita con la legge 15 marzo 1997, n. 59 (Delega al Governo per il conferimento di funzioni e compiti alle Regioni ed enti locali, per la riforma della pubblica amministrazione e per la semplificazione amministrativa), la quale non consentiva l’introduzione di un termine decadenziale;
che le questioni sollevate dai due Tribunali sono sostanzialmente identiche, quanto alle censure sub a) (benché la prima ordinanza individui un più ampio tertium comparationis) e b), e, pertanto, devono essere riuniti i relativi giudizi, nonostante che la prima ordinanza proponga una ulteriore censura in riferimento all’art. 76 Cost., sub c);
che questa Corte ha già esaminato analoghe questioni nell’ordinanza n. 213 del 2005, nella quale ha ribadito (cfr. ordinanza n. 214 del 2004), in via preliminare, «l’inaccettabilità della tesi secondo la quale il termine del 15 settembre 2000 si configurerebbe come di confine tra la giurisdizione del giudice amministrativo e quella del giudice ordinario, essendo viceversa evidente per la formulazione della norma ed assolutamente dominante nella giurisprudenza sia delle Sezioni unite della Corte di cassazione sia del Consiglio di Stato l’interpretazione secondo la quale tale termine – come previsto sia dall’abrogato art. 45, comma 17, del d.lgs. n. 80 del 1998, sia dall’art. 69, comma 7, del d.lgs. n. 165 del 2001 – deve ritenersi di decadenza per l’esercizio del diritto di azione»;
che la questione sollevata dal Tribunale amministrativo regionale per la Calabria (ordinanza r.o. n. 812 del 2004) è manifestamente inammissibile, essendo irrilevante nel giudizio a quo la previsione di un termine di decadenza, fissato nel 15 settembre 2000, per la proposizione di una controversia introdotta con ricorso notificato anteriormente a detto termine, pur se depositato in data ad esso successiva;
che, infatti, come questa Corte ha già osservato, «per principio generale del processo, ribadito dalla legge disciplinatrice del processo amministrativo – art. 36 del regio decreto 26 giugno 1924, n. 1054 (Approvazione del testo unico delle leggi sul Consiglio di Stato), richiamato dall’art. 19 della legge 6 dicembre 1971, n. 1034 (Istituzione dei tribunali amministrativi regionali); artt. 21 e 23-bis, comma 7, della legge n. 1034 del 1971 –, la controversia deve ritenersi “proposta” e, conseguentemente, impedita ogni decadenza, con la notifica del ricorso, assumendo il deposito del ricorso rilevanza esclusivamente al fine della sua procedibilità (ovvero, in via transitoria ed eccezionale, per radicare l’originaria – ed eccezionale, dopo l’introduzione del doppio grado nel giudizio amministrativo – competenza del Consiglio di Stato rispetto a quella, sopravvenuta ed ordinaria, dei tribunali amministrativi regionali, come previsto dall’art. 38 della legge n. 1034 del 1971: cfr. Consiglio di Stato - adunanza plenaria 28 luglio 1980, n. 35)» (ordinanza n. 213 del 2005);
che l’ordinanza del Tribunale amministrativo regionale per la Campania (r.o. n. 1041 del 2004) non contiene nuove argomentazioni rispetto a quelle già valutate da questa Corte nell’ordinanza n. 213 del 2005;
che la questione sollevata da detto Tribunale – rilevante per essere stato il ricorso notificato in data successiva al 15 settembre 2000 – è manifestamente infondata sotto tutti i profili dedotti;
che non sussiste alcuna violazione dell’art. 3 Cost., in quanto, come già affermato da questa Corte, «la disparità di trattamento tra i dipendenti privati e quelli pubblici, soggetti – relativamente ai diritti sorti anteriormente alla data del 30 giugno 1998 – ad un termine di decadenza, è ragionevolmente giustificata dall'esigenza di contenere gli effetti, temuti dal legislatore come pregiudizievoli per il regolare svolgimento dell'attività giurisdizionale, prodotti dal trasferimento della competenza giurisdizionale al giudice ordinario e dal temporaneo mantenimento di tale competenza in capo ai tribunali amministrativi, ed in quanto è ampia la discrezionalità del legislatore nell’operare le scelte più opportune – purché non manifestamente irragionevoli e arbitrarie – per disciplinare la successione di leggi processuali nel tempo (sentenza n. 400 del 1996; ordinanze n. 294 del 1998 e n. 490 del 2000)» (ordinanza n. 213 del 2005);
che non sussiste nemmeno violazione degli artt. 24 e 113 Cost., «dal momento che, da un lato, non è certamente ingiustificata – per quanto si è appena detto – la previsione di un termine di decadenza e, dall'altro lato, tale termine (di oltre ventisei mesi) non è certamente tale da rendere “oltremodo difficoltosa” la tutela giurisdizionale» (ancora ordinanza n. 213 del 2005).
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi,
dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 69, comma 7, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (Norme generali sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche), sollevata, in riferimento agli articoli 3, 24, 113 e 76 della Costituzione, dal Tribunale amministrativo regionale per la Calabria - sezione staccata di Reggio Calabria, con l’ordinanza r.o. n. 812 del 2004;
dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 69, comma 7, del d.lgs. n. 165 del 2001, sollevata, in riferimento agli articoli 3, 24 e 113 della Costituzione, dal Tribunale amministrativo regionale per la Campania, con l’ordinanza r.o. n. 1041 del 2004.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 28 settembre 2005.
F.to:
Piero Alberto CAPOTOSTI, Presidente
Romano VACCARELLA, Redattore
Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 7 ottobre 2005.