Sentenza n. 189 del 1992

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SENTENZA N. 189

ANNO 1992

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

Dott. Aldo CORASANITI, Presidente

Prof. Giuseppe BORZELLINO

Dott. Francesco GRECO

Prof. Gabriele PESCATORE

Avv. Ugo SPAGNOLI

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

Prof. Antonio BALDASSARRE

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

Avv. Mauro FERRI

Prof. Luigi MENGONI

Prof. Enzo CHELI

Dott. Renato GRANATA

Prof. Giuliano VASSALLI

Prof. Francesco GUIZZI

Prof. Cesare MIRABELLI

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 4 della legge 12 aprile 1990, n. 74 (Modifica alle norme sul sistema elettorale e sul funzionamento del Consiglio superiore della magistratura), in relazione al decreto legislativo 6 maggio 1948, n. 654, promosso con ordinanza emessa il 30 maggio 1991 dal Tribunale amministrativo regionale della Sicilia sui ricorsi riuniti proposti da Grillo Renato contro il Consiglio superiore della magistratura ed altro, iscritta al n. 659 del registro ordinanze 1991 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 44, prima serie speciale, dell'anno 1991.

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 5 febbraio 1992 il Giudice relatore Francesco Guizzi.

Ritenuto in fatto

1. Con ricorso notificato il 14 novembre 1989 e depositato il 6 dicembre 1989 presso la cancelleria del Tribunale amministrativo regionale della Sicilia, il dottor Renato Grillo, magistrato di tribunale con funzioni di giudice presso il Tribunale di Palermo, impugnava la delibera del Consiglio superiore della magistratura (C.S.M.) in data 19 luglio 1989 con la quale gli veniva negata la nomina a magistrato di appello, chiedendone l'annullamento per vari motivi. Con altro ricorso, notificato il 23 maggio 1990 e depositato il 1 giugno 1990 presso la cancelleria della stessa Autorità giudiziaria, il Grillo impugnava, per gli stessi motivi dedotti in precedenza, il d.P.R. in data 16 ottobre 1989 (registrato alla Corte dei conti il 26 febbraio 1990), adottato in conformità alla predetta delibera del C.S.M.

In particolare il Grillo si doleva della circostanza secondo la quale sarebbe stato disatteso il parere del Consiglio giudiziario di Palermo da parte del C.S.M.; della utilizzazione, da parte del predetto organo, di elementi di giudizio (negativi) non riconducibili ad alcuna delle categorie previste dalla normativa in vigore; della violazione del principio del ne bis in idem e delle disposizioni in tema di procedimenti disciplinari.

Infine, lamentava una cattiva interpretazione dei fatti assunti a base del censurato provvedimento, in ispecie a proposito d'un incarico extra- giudiziario a suo tempo conferitogli.

Costituitasi in giudizio nell'interesse del Consiglio superiore della magistratura e del Ministro di grazia e giustizia, l'Avvocatura dello Stato resisteva su entrambi i ricorsi che, successivamente, venivano riuniti.

2. Con ordinanza depositata in data 29 agosto 1991 il Tribunale amministrativo regionale della Sicilia ha sollevato, in relazione agli artt. 3, 24 e 125 della Costituzione e all'art. 23, primo comma, dello Statuto della Regione siciliana (regio decreto legislativo 15 maggio 1946, n. 455) in rapporto al decreto legislativo 6 maggio 1948, n. 654, la questione di legittimità dell'art. 4 della legge 12 aprile 1990, n. 74, nella parte in cui attribuisce al (solo) Tribunale amministrativo regionale del Lazio, sottraendoli all'esame degli altri Tribunali amministrativi regionali altrimenti competenti secondo le norme generali ed in particolare in ossequio al cd. foro speciale dei pubblici dipendenti stabilito dall'art.3, cpv. ultima parte, della legge istitutiva dei Tribunali amministrativi regionali (6 dicembre 1971, n. 1034), la competenza a decidere sui ricorsi in primo grado avverso i provvedimenti riguardanti i magistrati ordinari.

2.1. Premettono i giudici remittenti che l'originaria formulazione dell'art.17 della legge 24 marzo 1958, n. 195, istitutiva del C.S.M., prevedeva che avverso i provvedimenti da esso adottati era dato <<ricorso al Consiglio di Stato per motivi di legittimità e alle Sezioni Unite della Corte di Cassazione avverso quelli disciplinari>>. A seguito dell'emanazione della legge 6 dicembre 1971, n. 1034, istitutiva dei Tribunali amministrativi regionali, la giurisprudenza ha ritenuto che - non avendo l'art. 17 della legge n. 195 del 1958 carattere di norma speciale - si dovesse estendere ai provvedimenti in questione il regime del doppio grado di giurisdizione introdotto, appunto, dalla legge n.1034 del 1971.

Tale orientamento non è stato più rimesso in discussione e, perciò, ne consegue che l'art. 4 della legge 12 aprile 1990, n. 74, novellando il solo secondo comma dell'art. 17 della legge istitutiva del C.S.M., ha sostanzialmente modificato il precedente assetto delle impugnative, sostituendo alla competenza giurisdizionale in primo grado, ripartibile per ragioni di territorio fra tutti i Tribunali amministrativi regionali, una competenza funzionale del solo Tribunale amministrativo regionale del Lazio.

In base alla legge n.1034 del 1971 la competenza territoriale dei Tribunali amministrativi regionali è espressamente derogabile dalle parti, anche quando riguardi il foro speciale dei pubblici dipendenti. Ma con la cennata modifica legislativa, che ha accentrato la competenza di primo grado sui ricorsi avverso i provvedimenti del C.S.M. relativi ai magistrati ordinari presso il Tribunale amministrativo regionale del Lazio, si sarebbe pure venuta a mutare la natura di questo tipo di competenza che, nella specie, si configurerebbe come una competenza funzionale (o territoriale inderogabile).

Secondo i giudici remittenti, non potrebbe darsi, infatti, una discrezionalità dell'amministrazione nella scelta di esperire o meno il regolamento di competenza, accettando, in contrasto con il precetto costituzionale di imparzialità della Pubblica amministrazione, una volta il diverso foro adito dal magistrato e una volta contestandolo con l'esperimento del regolamento di competenza - ex art. 31 della legge n. 1034 del 1971. Il carattere funzionale di tale competenza del Tribunale amministrativo regionale del Lazio risulterebbe altresì dal fatto che, in deroga a ogni altro criterio stabilito dalla legge citata n. 1034, essa si radicherebbe esclusivamente in funzione dell'oggetto dell'impugnativa (provvedimenti riguardanti magistrati ordinari adottati su deliberazione del C.S.M.).

In tali sensi deporrebbero anche i lavori preparatori.

Di conseguenza, tale diverso e nuovo tipo di competenza sarebbe inderogabile e, perciò, rilevabile d'ufficio ai sensi dell'art. 38 del codice di procedura civile.

2.2 I giudici del Tribunale amministrativo regionale della Sicilia chiedono la censura della norma contenuta nell'art. 4 della legge 12 aprile 1990, n.74, innanzitutto con riferimento all'art. 3 della Costituzione. A loro avviso, con la soppressione del foro della sede di servizio nei confronti dei soli magistrati ordinari verrebbe a determinarsi, a danno dei medesimi rispetto alle altre categorie di magistrati e alla generalità dei pubblici dipendenti (con rapporto d'impiego pubblicistico), una evidente disparità di trattamento. Mentre per tutti gli altri pubblici dipendenti continua ad applicarsi la regola del foro della sede di servizio, per i soli magistrati tale regola verrebbe meno, sì che ne deriverebbe un danno per costoro consistente nell'impossibilità di giovarsi del Tribunale amministrativo regionale della rispettiva sede di servizio, che è disposizione a tutela del lavoratore - pubblico dipendente in ordine ai ricorsi contro i provvedimenti che li riguardano.

Tale disparità non sarebbe sorretta da un adeguato fondamento giustificativo.

La motivazione emergente dai lavori preparatori, che fanno riferimento all'uniformità di indirizzo giurisprudenziale in ordine agli atti del C.S.M., non costituirebbe ragione appropriata e sufficiente atteso che orientamenti giurisprudenziali diversi sono il naturale portato della pluralità degli organi giudiziari tra loro equiordinati (i Tribunali amministrativi regionali), mentre l'esigenza di reductio ad unitatem sarebbe tipica della funzione del giudice di appello che è riservata al Consiglio di Stato.

La carenza di specifiche esigenze giustificative si risolverebbe in una violazione del precetto costituzionale di uguaglianza. Del resto, la stessa Corte costituzionale con la sentenza n. 117 del 1990 avrebbe accolto censura analoga (in materia di foro erariale per le controversie di lavoro dei dipendenti dell'Ente Ferrovie dello Stato).

2.3. Ad avviso dei remittenti l'articolo impugnato sarebbe incostituzionale anche sotto un secondo profilo, quello della tutela costituzionale del diritto di azione.

Lo spostamento della competenza operato dall'art. 4 menzionato inciderebbe, per vero, sul diritto di quegli interessati che sono in servizio fuori del distretto di Roma, per il costo più elevato e le maggiori difficoltà connesse alla necessità di adire il Tribunale amministrativo regionale del Lazio.

2.4. Censurabile, ancora, la norma con riguardo all'art.125, secondo comma, della Costituzione, ai sensi del quale tutti i Tribunali amministrativi regionali periferici dovrebbero conoscere le controversie relative a provvedimenti degli enti e degli organi centrali a livello nazionale. L'art. 4 della legge n. 74 del 1990 attuerebbe, dunque, una deroga ingiustificata di tale disposizione costituzionale.

2.5. Infine, i remittenti prospettano, come ulteriore motivo di doglianza, il contrasto fra l'art. 4 citato e l'art. 23, primo comma, dello Statuto della Regione siciliana (regio decreto legislativo 15 maggio 1946, n. 455) in rapporto al decreto legislativo 6 maggio 1948,n.654, istitutivo del Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione siciliana.

In attuazione dell'art. 23 dello Statuto speciale della regione siciliana è stato infatti costituito il Consiglio di Giustizia Amministrativa (C.G.A.) per quella regione, organo che - pur costituendo un'articolazione del Consiglio di Stato - ha una speciale composizione con riguardo alla componente laica designata dal governo regionale. La legge n.1034 del 1971 e la sentenza della Corte costituzionale n. 61 del 1975, ponendo il C.G.A. nel ruolo di giudice di solo appello avverso le sentenze del T.A.R. della Sicilia, rivelerebbero la presente censura, poichè il C.G.A., a seguito dell'introduzione della competenza funzionale al Tribunale amministrativo regionale del Lazio, si vedrebbe in parte sottratta la propria competenza.

3. É intervenuta, in rappresentanza della Presidenza del Consiglio dei ministri, l'Avvocatura generale dello Stato che ha concluso per l'infondatezza della questione sollevata.

Ha osservato l'interventore che non sussiste la violazione dell'art.24 della Costituzione, in quanto la Corte costituzionale ha più volte ritenuto legittimo, per il legislatore ordinario, limitare il diritto di azione, anche in assenza di una esplicita riserva di legge, purchè il diritto costituzionalmente protetto non ne venga snaturato o irragionevolmente ristretto e tali limitazioni siano dettate da interessi superiori. Nel caso di specie, siffatti interessi sarebbero individuabili nella esigenza di assicurare una uniformità di giurisprudenza <<nella piena libertà da condizionamenti più o meno pesanti, pressanti o subdoli delle situazioni locali>>.

Non sussisterebbe neppure la violazione dell'art. 3 della Costituzione, poichè il principio di uguaglianza non impedisce al legislatore di statuire una diversa disciplina per regolare situazioni diverse, per categorie di destinatari (sentenza del 6 marzo 1990, n. 117).

Nella specie, ricorrerebbe l'esigenza di conseguire una unitarietà di criteri di valutazione in un settore particolarmente delicato quale quello dell'amministrazione della giustizia (fondamento di ragionevolezza) e la necessità di salvaguardare i principi costituzionali in materia di indipendenza della magistratura.

Andrebbero altresì respinte le ulteriori doglianze prospettate con riferimento all'art. 125, secondo comma, della Costituzione e all'ordinamento della giustizia amministrativa siciliana. L'art.125, invero, si limita soltanto a indicare la necessità di istituire organi di giustizia amministrativa di primo grado nella regione, ma non impedisce di fissare in settori specifici altri criteri distributivi della competenza.

E l'art. 23 dello Statuto della Regione siciliana individua soltanto la necessità di creare un giudice di appello, con sede in Sicilia, ma non mira certo ad attribuirgli anche la competenza a conoscere le controversie di secondo grado che non siano state celebrate in primo grado davanti al Tribunale amministrativo regionale di quella regione.

Considerato in diritto

1. Il Tribunale amministrativo regionale della Sicilia solleva dubbi sulla legittimità costituzionale dell'art. 4 della legge 12 aprile 1990, n. 74 (Modifica alle norme sul sistema elettorale e sul funzionamento del consiglio superiore della magistratura), nella parte in cui, sostituendo il secondo comma dell'art. 17 della legge 24 marzo 1958, n. 195 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento del consiglio superiore della magistratura) attribuisce al (solo) Tribunale amministrativo regionale del Lazio la competenza a decidere sui ricorsi in primo grado avverso i provvedimenti riguardanti i magistrati ordinari, dubbi in relazione agli artt. 3, 24 e 125 della Costituzione ed all'art. 23, primo comma, dello Statuto della Regione Siciliana (regio decreto legislativo 15 maggio 1946, n. 455) in rapporto al decreto legislativo 6 maggio 1948, n. 654.

L'originaria formulazione dell'art. 17 della legge n. 195 del 1958, istitutiva del C.S.M., prevedeva che avverso i provvedimenti dell'organo di governo della magistratura fosse dato ricorrere avanti al Consiglio di Stato per motivi di legittimità (e alle sezioni unite della Corte di cassazione avverso quelli disciplinari). In seguito all'emanazione della legge 6 dicembre 1971, n. 1034, la giurisprudenza ha ritenuto che - non avendo l'art. 17 della legge n. 195 del 1958 carattere di norma speciale - si dovesse estendere ai provvedimenti in questione il regime del doppio grado di giurisdizione introdotto, appunto, dalla legge istitutiva della competenza in primo grado dei Tribunali amministrativi regionali.

Tale orientamento non è stato più rimesso in discussione, sì che ne consegue che l'art. 4 della legge 12 aprile 1990, n. 74, novellando il solo secondo comma dell'art. 17 della legge istitutiva del C.S.M., ha sostanzialmente modificato il precedente assetto delle impugnative, sostituendo alla competenza giurisdizionale in primo grado, ripartibile per ragioni di territorio fra tutti i Tribunali amministrativi regionali, la competenza del solo Tribunale amministrativo regionale del Lazio.

1.1. La prima censura sollevata dal tribunale remittente riguarda la legittimità costituzionale del regime derogatorio previsto per le impugnative delle delibere del C.S.M. (riservata al solo Tribunale amministrativo regionale del Lazio) imperniato su regole disciplinatrici della competenza stabilite con esclusivo riferimento ai magistrati ordinari, rispetto al criterio del foro speciale del pubblico impiego, valevole per tutti gli altri pubblici dipendenti, attributivo della competenza a conoscere delle impugnative degli atti riguardanti il rapporto di servizio avanti al Tribunale amministrativo regionale del luogo ov'è la sede di lavoro.

Si osserva dai remittenti che mancherebbe una qualsivoglia ragionevolezza per tale regime di deroga di una disposizione pacificamente posta a tutela del lavoratore - pubblico dipendente.

Tale disparità di trattamento, insomma, non sarebbe sorretta da un adeguato fondamento giustificativo.

La seconda censura riguarda, invece, la disposizione sotto la lente della tutela costituzionale del diritto di azione.

Lo spostamento della competenza operato dall'art. 4 menzionato inciderebbe, infatti, sul diritto di quegli interessati che sono in servizio fuori del distretto di Roma, per il costo più elevato e le maggiori difficoltà connesse alla necessità di adire il Tribunale amministrativo regionale del Lazio.

1.2. Le prime due censure, che, per affinità di situazioni e per comodità di esposizione, possono essere congiuntamente esaminate, sono infondate.

Questa Corte ha già avuto modo di soffermarsi sulla particolare posizione che il Consiglio superiore della magistratura occupa nell'ordinamento costituzionale della Repubblica e sullo <<status>> rivestito dai magistrati ordinari, particolare e differenziato, rispetto alla categoria degli altri pubblici dipendenti.

In ordine alla posizione del C.S.M. ha asserito, con la sentenza n. 44 del 1968, che nella specie si ha riguardo ad un <<organo che, pure espletando funzioni solamente di indole amministrativa, non è parte della pubblica amministrazione (in quanto rimane estraneo al complesso organizzativo che fa capo direttamente, o al Governo dello Stato o a quello delle Regioni, ed all'altro cui dà vita l'amministrazione indiretta, collegato al primo attraverso l'esercizio di forme varie di controllo ad esso attribuite)>>. E lungi dal ridimensionarne la posizione - come pur si è sostenuto - ha rivalutato la natura delle sue funzioni, conseguentemente affermando che << comunque si voglia qualificarlo in sede dogmatica, si tratta di un organo di sicuro rilievo costituzionale>> (sentenza n. 148 del 1983). Ma ha respinto l'idea dell'autocrinia o autodichia, rilevando l'insussistenza d'un principio generale applicabile <<a tutti gli organi cui la Costituzione conferisce una posizione di indipendenza>> e autonomia, idoneo di per sè a sottrarre gli atti di tali organi che incidano su situazioni soggettive di terzi alle comuni giurisdizioni. Con ciò implicitamente accogliendo gli orientamenti del Consiglio di Stato che sin dall'inizio (sentenza n. 248 del 1962) aveva ritenuto censurabili nel loro contenuto i decreti impugnati, anzichè limitare l'oggetto del sindacato - secondo la tesi riduttiva avanzata dall'Avvocatura dello Stato - soltanto ai vizi propri dei decreti, presidenziali o ministeriali, emanati in conformità alle deliberazioni consiliari.

L'impugnabilità, anche per un organo di garanzia qual è, secondo la communis opinio, il Consiglio superiore della magistratura, deriva dalla <<grande regola>> accolta dall'art. 24 della Costituzione, che dà tutela generalizzata ai diritti soggettivi e agli interessi legittimi.

Sullo status di magistrato ordinario questa Corte ne ha più volte sottolineato l'assoluta peculiarità rispetto alla posizione per effetto delle <<garanzie costituzionali di indipendenza>> quali risultano dalla riserva di legge (art. 108 della Costituzione), dall'assunzione mediante concorso (art. 106) e dalla inamovibilità (art. 107). Garanzie che competono in via esclusiva al magistrato (sentenza n. 44 del 1968), anche per quanto attiene al procedimento disciplinare che si svolge <<nelle forme e nei modi ... tipici del processo>> (sentenza n. 168 del 1983), poichè <<a coloro che fanno parte dell'ordine giudiziario non si applicano le disposizioni relative all'ordinamento gerarchico statale>> (sentenza n. 12 del 1971), di modo che non sussiste possibilità di assumere i principi che valgono per la generalità dei pubblici dipendenti (meno che mai specifici istituti) come termine di raffronto per giudicare della normativa sullo status dei magistrati ordinari.

Lamenta il giudice a quo che la disposizione introdotta dall'art. 4 della citata legge n. 74 risulti particolarmente gravosa per i magistrati ordinari i quali non risiedano nella circoscrizione del Tribunale amministrativo regionale del Lazio e che in tal modo venga ingiustamente compresso il diritto d'azione.

Tuttavia, se il rigore con cui è tutelato detto diritto non esclude che il sistema di tutela giurisdizionale ben possa adeguarsi alla particolarità del rapporto, quando siano da salvaguardare interessi razionalmente ritenuti degni di tutela (fermo restando che al legislatore ordinario è inibito di imporre oneri tali che compromettano la tutela stessa: ordinanza n. 73 del 1988 e sentenze n. 63 del 1977, nn. 249 e 55 del 1974, n. 94 del 1973, n.125 del 1969, n. 85 del 1968), a maggior ragione deve riconoscersi al legislatore ampia discrezionalità nell'operare il riparto di competenza fra gli organi giurisdizionali, nel rispetto del principio di uguaglianza e, segnatamente, del canone di ragionevolezza.

Ora, nel caso della disposizione in esame, la particolare posizione assicurata al Consiglio superiore della magistratura nell'organizzazione dei pubblici poteri e la peculiarità dello status dei magistrati ordinari, in gran parte orientato dalla stessa Costituzione, danno pieno fondamento giustificativo a una regolamentazione, come quella introdotta dall'art. 4 della legge n. 74 del 1990, che si discosta dalla regola, valevole per i pubblici dipendenti, del foro della sede di servizio.

La norma oggetto di censura risponde, inoltre, a un'esigenza largamente avvertita circa l'uniformità della giurisprudenza fin dalle pronunce di primo grado, e non palesa dunque profili d'illegittimità.

2. La norma, a giudizio del Tribunale amministrativo regionale remittente, sarebbe ancora censurabile con riguardo all'art. 125, secondo comma, della Costituzione. Sulla base di tale disposizione, infatti, tutti i Tribunali amministrativi regionali periferici dovrebbero poter conoscere le controversie relative ai provvedimenti degli enti e degli organi centrali.

L'art. 4 della legge n. 74 del 1990 attuerebbe, di conseguenza, una deroga ingiustificata di tale disposizione costituzionale.

I remittenti infine prospettano, come ulteriore motivo di contrasto con l'assetto costituzionale dello Stato, il conflitto fra l'art. 4 citato e l'art. 23, primo comma, dello Statuto della Regione siciliana (regio decreto legislativo 15 maggio 1946, n. 455) in rapporto al decreto legislativo 6 maggio 1948,n. 654 istitutivo del Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione siciliana. Invero, il C.G.A., organo che - pur costituendo un'articolazione del Consiglio di Stato - ha una speciale composizione con riguardo alla componente laica designata dal governo regionale, a seguito dell'introduzione della competenza funzionale al Tribunale amministrativo regionale del Lazio si vedrebbe parzialmente sottratta la propria competenza.

2.1. Anche queste due ultime censure possono essere congiuntamente esaminate, e sono del pari infondate.

La norma impugnata non contrasta, infatti, nè con l'art. 125, secondo comma, della Costituzione nè con l'art. 23 dello Statuto della Regione siciliana.

Non contrasta con la prima disposizione perchè l'attribuzione della competenza al Tribunale amministrativo regionale del Lazio, anzichè ai diversi Tribunali amministrativi regionali dislocati su tutto il territorio nazionale, non altera il sistema di giustizia amministrativa.

Il Tribunale amministrativo regionale del Lazio è parte, infatti, del sistema processuale amministrativo che consta di numerosi gangli periferici e di uno centrale, che con quelli è collegato - in base alle regole proprie della giurisdizione amministrativa - ben oltre il caso oggetto dell'impugnativa in esame Non contrasta infine con la seconda disposizione, perchè essa stabilisce soltanto che gli organi giurisdizionali centrali debbano avere in Sicilia le sezioni per gli affari concernenti la regione: norma in esecuzione della quale è stato a suo tempo istituito il Consiglio di Giustizia Amministrativa. In una previsione che non implica affatto - anzi esclude - la competenza a conoscere ogni tipo di controversie, specie con riguardo a questioni che non hanno alcun rapporto con la materia regionale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art.4 della legge 12 aprile 1990, n. 74 (Modifica alle norme sul sistema elettorale e sul funzionamento del Consiglio superiore della magistratura), in riferimento agli artt. 3, 24 e 125, secondo comma, della Costituzione ed all'art. 23, primo comma, dello Statuto della Regione Siciliana (regio decreto legislativo 15 maggio 1946, n. 455) in rapporto al decreto legislativo 6 maggio 1948, n. 654, sollevata dal Tribunale amministrativo regionale della Sicilia con l'ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 13/04/92.

Aldo CORASANITI, Presidente

Francesco GUIZZI, Redattore

Depositata in cancelleria il 22 aprile del 1992.