ORDINANZA N. 193
ANNO 2003
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai Signori Giudici:
- Riccardo CHIEPPA, Presidente
- Gustavo ZAGREBELSKY
- Valerio ONIDA
- Carlo MEZZANOTTE
- Fernanda CONTRI
- Guido NEPPI MODONA
- Piero Alberto CAPOTOSTI
- Annibale MARINI
- Franco BILE
- Giovanni Maria FLICK
- Ugo DE SIERVO
- Romano VACCARELLA
- Alfio FINOCCHIARO
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 22, primo comma, della legge 24 novembre 1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale) promosso con ordinanza del 1° ottobre 2002 dal Giudice di pace di Segni nel procedimento civile vertente tra Tarcisio Battolu ed il Comune di Roma, iscritta al n. 534 del registro ordinanze 2002 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 50, prima serie speciale, dell’anno 2002.
Udito nella camera di consiglio del 9 aprile 2003 il Giudice relatore Franco Bile.
Ritenuto che con l’ordinanza in epigrafe, il Giudice di pace di Segni - investito di un’opposizione proposta da Tarcisio Battolu, residente in Segni (Roma), avverso un verbale di accertamento di una violazione del codice della strada contestatagli dal Comune di Roma - ha sollevato, in riferimento agli articoli 24, 25, 111, secondo comma, e 113 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 22, primo comma, della legge 24 novembre 1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale), nella parte in cui non prevede la competenza del giudice del luogo di residenza dell’opponente quale foro alternativo a quello del giudice del luogo in cui è stata commessa la violazione;
che il rimettente - dopo avere riferito che il Comune di Roma ha eccepito l’incompetenza territoriale del Giudice di pace di Segni, ai sensi del primo comma del citato art. 22 e che l’opponente ha replicato prospettando la questione di legittimità costituzionale - assume la non manifesta infondatezza di quest’ultima in riferimento all’art. 24 della Costituzione, sotto il profilo che la norma censurata non sarebbe ragionevole, in quanto costringerebbe l’opponente a sanzione amministrativa a sostenere costi superiori al valore del bene da difendere, come accadrebbe nel caso di specie (nel quale, per evitare di pagare una sanzione di 39,02 euro, l’opponente dovrebbe recarsi <<almeno due volte>> presso l’Ufficio del Giudice di pace di Roma, <<perdendo altrettanti giorni di lavoro>> e sopportando le spese di trasferta), mentre il diritto di difesa sarebbe vanificato del tutto, ove la distanza tra la residenza dell’opponente e l’ufficio del giudice competente secondo la norma censurata fosse molto maggiore di quanto accade nel caso di specie;
che, inoltre, poiché nei processi civili il giudice ordinariamente competente sarebbe quello del domicilio del convenuto, salva la previsione di fori alternativi, e nel giudizio di opposizione a sanzione amministrativa l’opponente sarebbe un <<convenuto di fatto>> e la pubblica amministrazione una <<creditrice di fatto>>, non sarebbe giustificata la disparità di trattamento tra essa ed un comune creditore e non sarebbero <<soprattutto... giustificabili le difficoltà, al limite della denegata giustizia, cui è sottoposto l’opponente a sanzione amministrativa>>;
che, ad avviso del rimettente, la previsione almeno come foro alternativo del luogo di residenza <<sanerebbe la suddetta anomalia e garantirebbe a tutti la possibilità di ottenere giustizia, anche considerando che negli ultimi tempi si sono moltiplicate le occasioni in cui l’opposizione a sanzione amministrativa del singolo tutela anche gli interessi della comunità, come nel caso delle "targhe clonate">>;
che l’art. 25 della Costituzione, che tutela il diritto a non essere distolto dal giudice naturale, sarebbe violato, in quanto nel processo civile il foro generale delle persone fisiche, a norma dell’art. 18 del codice di procedura civile, è quello della residenza del convenuto e - se anche quella norma prevede che la legge possa disporre diversamente - le relative disposizioni sono soggette al limite della ragionevolezza;
che l’art. 113 della Costituzione sarebbe violato, considerando l’oggettiva difficoltà che la norma censurata può causare, al punto di rendere più conveniente la rinuncia alla tutela giurisdizionale;
che, infine, il fatto che le posizioni processuali dell’opponente e della pubblica amministrazione siano in evidente disparità sarebbe anche in contrasto con l’art. 111, secondo comma, della Costituzione, secondo cui <<ogni processo si svolge nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di parità, davanti ad un giudice terzo ed imparziale>>, posto che l’attribuzione della competenza al giudice del luogo della violazione porrebbe la pubblica amministrazione in una posizione dominante rispetto all’opponente, <<considerata l’organizzazione e le risorse di cui dispone, che le consentono un facile accesso a qualsiasi ufficio giudiziario>>.
Considerato che la questione prospettata dal rimettente in riferimento agli artt. 24 e 111, secondo comma, della Costituzione, è stata già decisa da questa Corte nel senso della manifesta infondatezza con le ordinanze n. 459 del 2002 e n. 75 del 2003;
che la prima di dette ordinanze - ribadita la discrezionalità del legislatore nell’individuazione, con il limite della ragionevolezza, dei criteri di competenza territoriale nel processo civile - ha affermato che <<la scelta di radicare la competenza territoriale in materia di opposizione a sanzioni amministrative nel luogo della commessa violazione si risolve nell’applicazione del tradizionale criterio del locus commissi delicti, ancorato ad un riferimento oggettivo desunto dalla vicenda oggetto di giudizio e (almeno di norma) di facile applicazione>> e che, nella specie, il suddetto limite appare rispettato, essendo del tutto ragionevole che si discuta del comportamento sanzionato nel luogo in cui esso è stato tenuto;
che il rimettente non prospetta argomenti nuovi idonei a giustificare una diversa valutazione, limitandosi sostanzialmente a sottolineare la difficoltà di fatto che l’esperimento della tutela giurisdizionale può incontrare allorché l’opponente a sanzione amministrativa risieda in un luogo distante da quello della commissione della (presunta) violazione;
che il parametro dell’art. 25 della Costituzione, con riferimento al principio del giudice naturale, è invocato in modo non pertinente, giacché, secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, esso è rispettato quando la regola di competenza sia prefissata rispetto all’insorgere della controversia (com’è evidentemente nella specie) e non è, invece, utilizzabile per sindacare la scelta del legislatore che si esprime nella fissazione di quella regola;
che l’invocazione del parametro dell’art. 113 non ha autonomia rispetto a quella dell’art. 24 e, pertanto, resta assorbita dalle considerazioni ad esso relative, prima riportate.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87 e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 22, primo comma, della legge 24 novembre 1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale), sollevata dal Giudice di pace di Segni, in riferimento agli artt. 24, 25, 111, secondo comma, e 113 della Costituzione, con l’ordinanza in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 23 maggio 2003.
Riccardo CHIEPPA, Presidente
Franco BILE, Redattore
Depositata in Cancelleria il 4 giugno 2003.