Sentenza n. 274 del 2007

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SENTENZA N. 274

ANNO 2007

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

-      Franco                             BILE                                      Presidente

-      Giovanni Maria               FLICK                                      Giudice

-      Francesco                        AMIRANTE                                 "

-      Ugo                                 DE SIERVO                                 "

-      Paolo                               MADDALENA                            "

-      Alfio                                FINOCCHIARO                          "

-      Alfonso                           QUARANTA                               "

-      Franco                             GALLO                                        "

-      Luigi                                MAZZELLA                                "

-      Gaetano                           SILVESTRI                                  "

-      Sabino                             CASSESE                                     "

-      Maria Rita                       SAULLE                                       "

-      Giuseppe                         TESAURO                                    "

-      Paolo Maria                     NAPOLITANO                            "

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato, sorto a seguito della deliberazione della Camera dei deputati del 27 maggio 2003 (doc. IV-quater, n. 73) relativa alla insindacabilità, ai sensi dell’art. 68, primo comma, della Costituzione, delle opinioni espresse dall’on. Vittorio Sgarbi nei confronti del dott. Giancarlo Caselli, promosso dal Tribunale di Bologna con ricorso notificato il 24 marzo 2005, depositato in cancelleria il 7 aprile 2005 ed iscritto al n. 19 del registro conflitti 2005.

Visti l’atto di costituzione della Camera dei deputati nonché l’atto di intervento di Giancarlo Caselli;

udito nell’udienza pubblica del 5 giugno 2007 il Giudice relatore Francesco Amirante;

uditi gli avvocati Giuseppe Giampaolo per Giancarlo Caselli e Roberto Nania per la Camera dei deputati.

Ritenuto in fatto

1.–– Con ordinanza del 27 ottobre 2004 il Tribunale di Bologna ha promosso conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato, nei confronti della Camera dei deputati, in relazione alla delibera adottata il 27 maggio 2003 (doc. IV-quater, n. 73) con la quale – in conformità alla proposta della Giunta per le autorizzazioni – è stato dichiarato che i fatti per i quali il deputato Vittorio Sgarbi è sottoposto a procedimento penale per il delitto di diffamazione a mezzo stampa riguardano opinioni espresse da quest’ultimo nell’esercizio delle sue funzioni parlamentari e sono, quindi, insindacabili ai sensi dell’art. 68, primo comma, della Costituzione.

Premette il Tribunale che il deputato Sgarbi è stato rinviato a giudizio, assieme al direttore del quotidiano “Il Resto del Carlino”, per aver offeso – con dichiarazioni asseritamente diffamatorie contenute in un articolo apparso sul menzionato quotidiano in data 31 dicembre 1998 – la reputazione del dott. Giancarlo Caselli, all’epoca Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Palermo, indicandolo espressamente quale causa della morte del magistrato Luigi Lombardini, avvenuta per suicidio in data 11 agosto 1998, in quanto avrebbe tenuto nei confronti di quest’ultimo un comportamento di violenza intollerabile, tale da condurlo alla disperazione e, quindi, al suicidio.

Instauratosi, a seguito di querela da parte del dott. Caselli, il procedimento penale nei confronti del parlamentare, la Camera dei deputati, con la delibera oggetto di conflitto, ha affermato che le dichiarazioni sopra riportate devono ritenersi rientranti nella prerogativa di cui all’art. 68, primo comma, Cost., facendo proprie le conclusioni cui era pervenuta la Giunta per le autorizzazioni secondo cui tali dichiarazioni, oltre ad inserirsi nel contesto di una perdurante polemica politica condotta dal deputato nei confronti dell’operato di alcuni magistrati, trovavano anche una sostanziale corrispondenza nell’interrogazione a risposta orale presentata dal medesimo in data 15 settembre 1998 (Atto Camera n. 3-02843).

Il giudice a quo rammenta poi che, nelle more del procedimento, è entrata in vigore la legge 20 giugno 2003, n. 140 (Disposizioni per l’attuazione dell’articolo 68 della Costituzione nonché in materia di processi penali nei confronti delle alte cariche dello Stato), precisando di aver sollevato, nel corso del medesimo giudizio, una questione di legittimità costituzionale dell’art. 3 di detta legge, ritenuto esorbitante rispetto ai limiti fissati dall’art. 68, primo comma, Cost. per l’immunità parlamentare. A seguito della decisione da parte della Corte costituzionale, con la sentenza n. 120 del 2004, della menzionata questione incidentale, il Tribunale di Bologna ritiene di aver conservato intatto il proprio potere di sollevare conflitto di attribuzione nei confronti della delibera di insindacabilità, in quanto nella citata sentenza è stato sostanzialmente ribadito il precedente orientamento della Corte secondo cui non tutte le affermazioni rese dai componenti del Parlamento possono godere della prerogativa costituzionale dell’insindacabilità, essendo invece sempre necessario che le opinioni rese siano legate dal citato nesso con l’attività di funzione. Da tanto – ad avviso del rimettente – consegue che, nel pensiero della Corte costituzionale, le attività di ispezione, divulgazione, critica e denuncia politica – che l’art. 3, comma 1, della legge n. 140 del 2003 riconduce all’art. 68, primo comma, Cost. – non rappresentano un indebito ampliamento della prerogativa costituzionale, perché devono comunque essere connesse con l’esercizio delle funzioni parlamentari. Tale nesso funzionale costituisce il punto di equilibrio tra le garanzie dei parlamentari, il principio di uguaglianza ed i diritti dei terzi oggetto delle dichiarazioni contestate.

Questi principi sono stati ulteriormente confermati dalla più recente sentenza n. 246 del 2004, nella quale è stato ribadito che la portata del nesso funzionale deve essere valutata caso per caso.

Nella fattispecie, la delibera di insindacabilità si fonda, secondo il Tribunale, su due presupposti: la sostanziale corrispondenza tra le dichiarazioni oggetto del processo penale e l’interrogazione parlamentare sopra richiamata, nonché l’interpretazione dell’art. 68, primo comma, Cost., fornita dalla Camera dei deputati, secondo la quale la prerogativa in questione ricomprende l’attività di denuncia e di critica da parte del parlamentare. Tali presupposti, però, appaiono al Tribunale in netto contrasto con la giurisprudenza costituzionale, e ciò da un lato perché non c’è corrispondenza tra le dichiarazioni rese alla stampa e l’atto di funzione invocato, dall’altro perché tali dichiarazioni solo genericamente possono ricondursi ad un’attività di denuncia e di critica.

La non piena corrispondenza tra contenuto dell’interrogazione e dichiarazioni pubblicate dalla stampa emerge nella parte dell’articolo di giornale in cui il parlamentare prova ad immaginare una situazione opposta rispetto a quella da lui criticata, ossia immagina «Caselli a Palermo che, indagato per avere sequestrato innocenti con indagini insufficienti, come è realmente accaduto (Musotto, Lombardo, Scalone), viene interrogato da un pool di magistrati cagliaritani...guidati da Lombardini. Quale sarebbe stato l’umore di Caselli?». Queste ulteriori dichiarazioni, secondo il Tribunale di Bologna, non possono in alcun modo essere considerate divulgazione del contenuto dell’interrogazione parlamentare richiamata nella delibera della Camera, in quanto «assumono valenza di significato autonomo, ancorché riconducibile solo in parte alla medesima vicenda, nonché ricollegabili al medesimo oggetto di critica, ovvero l’operato di taluni magistrati». Richiamando le già citate sentenze n. 10 e n. 420 del 2000 della Corte costituzionale, il Tribunale rammenta che, quando vi sia una corrispondenza solo parziale e generica tra l’atto di funzione e le successive dichiarazioni, l’art. 68, primo comma, Cost. non può essere invocato. Nel caso di specie, l’interrogazione presentata dal deputato Sgarbi in data 15 settembre 1998 muoveva specifici rilievi sull’operato dei magistrati della Procura di Palermo, tra i quali il dott. Caselli, in ordine a presunte irregolarità che avrebbero caratterizzato l’interrogatorio del dott. Lombardini, all’epoca Procuratore della Repubblica presso la Pretura di Cagliari; secondo l’interrogante, infatti, i metodi tenuti nell’interrogatorio avrebbero costituito la causa determinante del suicidio del dott. Lombardini. Nell’articolo dal contenuto asseritamente diffamatorio, invece, la vicenda del magistrato cagliaritano viene affiancata ad una serie di considerazioni diverse, in particolare riguardanti una responsabilità del dott. Caselli «per avere sequestrato innocenti con indagini insufficienti», punto che non avrebbe nulla a che vedere con la vicenda del dott. Lombardini, ove è predominante il richiamo generico ad un uso distorto della custodia cautelare come strumento di pressione per indurre l’indagato a fornire la propria collaborazione (solo su questo punto, infatti, sussisterebbe un collegamento tra l’interrogazione parlamentare ed il contenuto dell’articolo contestato). E la semplice comunanza di argomento, come s’è detto, non potrebbe essere sufficiente per invocare la prerogativa costituzionale dell’insindacabilità.

L’interrogazione parlamentare, d’altra parte, precede di circa tre mesi l’articolo di giornale oggetto del processo penale, pubblicato in un contesto in cui manca ogni riferimento all’attività svolta dal parlamentare nella specifica qualità.

Precisa, poi, l’Autorità giudiziaria di essere legittimata a sollevare conflitto di attribuzione, essendo organo competente a dichiarare definitivamente la volontà del potere di appartenenza, a nulla rilevando che il ricorso abbia la forma dell’ordinanza.

Conclude il Tribunale di Bologna, quindi, nel senso che la delibera di insindacabilità opposta dalla Camera dei deputati è da ritenere lesiva delle attribuzioni costituzionali dell’autorità giudiziaria, chiedendo alla Corte di dichiarare che non spetta alla Camera emettere una simile deliberazione, con conseguente annullamento della medesima.

2.–– Il conflitto così proposto è stato dichiarato ammissibile da questa Corte con ordinanza n. 94 del 2005, depositata in data 8 marzo 2005. Tale provvedimento, comunicato al ricorrente, è stato, a cura di questi, notificato alla Camera dei deputati, unitamente al ricorso, il 24 marzo 2005, ed il successivo deposito presso la cancelleria di questa Corte è avvenuto, a mezzo posta, il 7 aprile 2005.

3.–– Si è costituita in giudizio la Camera dei deputati chiedendo che il conflitto venga preliminarmente dichiarato inammissibile e che, nel merito, si affermi la spettanza alla medesima del potere di dichiarare l’insindacabilità in relazione alle opinioni espresse dal deputato, oggetto del giudizio penale pendente dinanzi al Tribunale di Bologna.

La Camera afferma che alla prima conclusione potrebbe pervenirsi sul rilievo che la proposizione del conflitto potrebbe essere considerata una «modalità surrettizia» per riproporre, dopo la chiara sentenza n. 120 del 2004 di segno contrario, la tesi – da cui muove l’atto introduttivo del presente giudizio – secondo cui le dichiarazioni rese extra moenia, per essere coperte dalla garanzia della insindacabilità, debbano riprodurre alla lettera gli atti posti in essere in sede parlamentare.

Quanto al merito, la Camera sostiene che le dichiarazioni di cui si tratta sono coincidenti con le opinioni espresse dallo stesso deputato nell’interrogazione a risposta orale presentata il 15 settembre 1998 (atto Camera n. 3-02843), cui ha fatto espresso riferimento la delibera di insidacabilità in argomento. In entrambe, infatti, si sostiene che la tragica fine del dottor Lombardini sia da collegare alle modalità di conduzione del procedimento penale a suo carico e, in particolare, alla disposta perquisizione e al lungo interrogatorio effettuato da parte di componenti dell’ufficio del pubblico ministero.

Va, inoltre, considerato che in molte altre interrogazioni il medesimo deputato ha manifestato critiche all’operato di alcuni uffici giudiziari e, in particolare, della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Palermo. Al riguardo si citano l’interrogazione n. 3/01624 del 28 ottobre 1997, l’interrogazione n. 3/02476 dell’8 giugno 1998, l’interrogazione n. 3/02766 del 30 luglio 1998, le interrogazioni n. 3/00009 e n. 3/00010 del 29 aprile 1994.

In sintesi, ad avviso della Camera, vi è assoluta coincidenza tra le opinioni esterne e la prima delle richiamate interrogazioni, ma anche nelle altre vengono usate le stesse formule polemiche nei confronti della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Palermo e ci si sofferma sulle “armi di pressione” utilizzate dai magistrati di tale ufficio per acquisire informazioni dai soggetti sottoposti ad indagine e si paventano epiloghi analoghi a quello che si è avuto nel caso del dottor Lombardini.

A fronte di tale situazione non vale opporre che nelle dichiarazioni contenute nell’articolo di cui si tratta manca qualsiasi riferimento ad attività parlamentari, dal momento che tale menzione non è richiesta né nell’art. 3, primo comma, della legge n. 140 del 2003, né nella giurisprudenza della Corte costituzionale in materia (e, in particolare, nella sentenza n. 120 del 2004).

D’altra parte, non assumono alcun rilievo, ai fini dell’applicazione della garanzia costituzionale dell’insindacabilità, neppure le motivazioni – a detta del Tribunale di Bologna polemiche nei confronti di taluni magistrati, tra i quali il dottor Caselli – che avrebbero spinto il parlamentare a rilasciare le dichiarazioni, come si desume da quanto affermato da questa Corte nelle sentenze n. 320 e n. 321 del 2000.

Va, inoltre, sottolineato che, secondo quanto precisato nella prima delle due richiamate sentenze, è del tutto ininfluente la circostanza che nelle dichiarazioni esterne vi sia una “descrizione esemplificativa” dei metodi investigativi adottati nei confronti del dottor Lombardini che non figura nella corrispondente interrogazione n. 3/02843.

Né, infine, ha importanza che non vi sia tra dichiarazioni rese alla stampa e attività parlamentare una esatta corrispondenza testuale.

4.–– E’ intervenuto il dottor Caselli che ha concluso per l’accoglimento del conflitto, sostenendo l’ammissibilità del proprio «atto di costituzione», sul rilievo, che in caso contrario, «finirebbe per risultare in concreto compromessa la stessa possibilità per la parte di agire in giudizio a tutela dei propri diritti», sicché ricorrerebbe una situazione analoga a quella che ha indotto questa Corte ad ammettere l’intervento di soggetti diversi da quelli legittimati a promuovere il conflitto o a resistervi nelle sentenze n. 76 del 2001 e n. 154 del 2004.

Nel merito, l’interveniente aderisce alle argomentazioni poste a fondamento dell’atto introduttivo del presente conflitto, sottolineando, in particolare, che l’interrogazione parlamentare presentata dal deputato Sgarbi il 15 settembre 1998 ha un significato non sovrapponibile a quello dell’articolo contestato nell’imputazione, dal momento che, mentre nell’atto parlamentare ci si limita ad avanzare forti sospetti sull’operato del dottor Caselli nella vicenda Lombardini, nell’articolo – di oltre tre mesi successivo e pubblicato dopo che il Consiglio superiore della magistratura aveva disposto l’archiviazione del procedimento disciplinare iniziato a carico del magistrato – non si usano più toni dubitativi o interrogativi, ma si passa dai sospetti alle certezze, oltretutto non riferendosi al solo caso Lombardini, ma anche alle vicende di Musotto, Lombardo e Scalone.

Considerato in diritto

1.–– Il Tribunale di Bologna ha sollevato conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato in riferimento alla deliberazione del 27 maggio 2003 (doc. IV-quater, n. 73) con la quale la Camera dei deputati ha approvato la proposta della Giunta per le autorizzazioni di dichiarare che i fatti per i quali si procede penalmente a carico del deputato Vittorio Sgarbi per il delitto di diffamazione aggravata a mezzo stampa concernono opinioni espresse dal parlamentare nell’esercizio delle sue funzioni ai sensi dell’art. 68, primo comma, della Costituzione.

Il ricorrente riferisce che il fatto per il quale è stato disposto il rinvio a giudizio del deputato (e di un giornalista) è costituito da frasi ritenute diffamatorie dell’onore del dottor Giancarlo Caselli, all’epoca Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Palermo, pubblicate sul quotidiano “Il resto del Carlino” del 31 dicembre 1998. Con riguardo a tali frasi è stata elevata a carico del deputato l’accusa di diffamazione aggravata per il seguente capo di imputazione: aver offeso la reputazione del dottor Giancarlo Caselli, all’epoca Procuratore della Repubblica presso il Tribunale  di Palermo, a «causa dell’adempimento delle sue funzioni e nell’atto di esercitarle, indicandolo espressamente come causa della morte del dott. Luigi Lombardini, verificatasi per suicidio a Cagliari il giorno 11.8.1998, in quanto avrebbe posto in essere nei suoi confronti una violenza intollerabile così da condurlo alla disperazione e al suicidio, il tutto in un contesto generale di iniziative giudiziarie caratterizzate dal sequestro di innocenti».

Il ricorrente dà atto che lo scritto giornalistico contenente le frasi incriminate è stato preceduto da atti tipici di funzione e, in particolare, dall’interrogazione con risposta orale presentata dal medesimo deputato avente ad oggetto proprio le modalità dell’accesso degli inquirenti siciliani a Cagliari e la morte per suicidio dell’inquisito magistrato dottor Lombardini, ma sostiene che una parte dello scritto giornalistico è estranea all’atto tipico suddetto. In particolare, il ricorrente denuncia la diversità rispetto al contenuto dell’interrogazione della seguente frase: «voglio immaginare una situazione ribaltata: Caselli a Palermo che, indagato per aver sequestrato innocenti con indagini insufficienti, come è realmente accaduto (Musotto, Lombardo, Scalone), viene interrogato da un pool di magistrati cagliaritani…guidata da Lombardini. Quale sarebbe stato l’umore di Caselli? Non voglio aggiungere altro».

2.–– In via preliminare deve essere dichiarata l’ammissibilità dell’intervento del dottor Giancarlo Caselli nel presente giudizio costituzionale per risoluzione di conflitto di attribuzione tra poteri.

Infatti, il principio generale, secondo il quale legittimati ad essere parti di siffatto tipo di giudizio sono soltanto coloro che possono promuoverlo o resistervi in quanto titolari di attribuzioni costituzionalmente riconosciute, trova deroga a favore dei soggetti titolari di una posizione soggettiva suscettibile di essere definitivamente sacrificata dalla decisione sul conflitto. Ed è questa l’ipotesi che si verifica nella specie, in quanto il diritto al risarcimento del danno fatto valere dalla parte civile nel giudizio penale per diffamazione aggravata a mezzo stampa potrebbe rimanere definitivamente non soddisfatto nell’eventualità di una decisione d’infondatezza del ricorso perché le opinioni espresse dal parlamentare rientrano nella previsione dell’art. 68, primo comma, Cost. (sentenze n. 76 del 2001; n. 225 del 2001; n. 154 del 2004; n. 329 del 2006; n. 13 del 2007).

3.–– Nel merito, il ricorso non è fondato.

E’ ormai costante l’orientamento di questa Corte secondo il quale le opinioni espresse extra moenia da un parlamentare rientrano nella previsione di cui all’art. 68, primo comma, Cost. qualora costituiscano la sostanziale divulgazione del contenuto di atti tipici della funzione.

Nel caso in esame, a prescindere da altri atti, lo stesso ricorrente ha fatto riferimento all’interrogazione con risposta orale presentata dal parlamentare imputato il cui contenuto è costituito dalla critica per le modalità con le quali si è proceduto in Sardegna all’interrogatorio del magistrato e dalla riconduzione del suicidio dell’indagato alla violenza connessa alle modalità di svolgimento dell’atto istruttorio.

Il medesimo Tribunale ricorrente non contesta la sostanziale identità tra l’atto divulgativo e l’atto tipico per quanto concerne l’episodio di Cagliari ed il suicidio di Lombardini, ma sostiene che vi è una parte delle opinioni manifestate fuori della sede parlamentare che non trova riscontri né nella suindicata interrogazione, né in altri atti. Tale parte sarebbe costituita dall’accusa al magistrato Caselli di privazione della libertà nei confronti di innocenti, che il deputato definisce sequestro, tra i quali indica i nomi di Musotto, Lombardo, Scalone.

A tal proposito si osserva che l’aver formulato siffatta accusa, dal capo d’imputazione come riportato nell’atto introduttivo del conflitto, non risulta addebitato al deputato, non potendo ad essa riferirsi l’espressione del tutto generica con la quale si chiude il capo d’imputazione stesso: «il tutto in un contesto generale di iniziative giudiziarie caratterizzate dal sequestro di innocenti». Espressione che, nella sua mancanza di specificità, può ricollegarsi all’altra, contenuta nell’interrogazione, di «aver fatto ventilare la possibilità di arresto per la mancata collaborazione».

Anche ammesso, quindi, che il riferimento alla indebita privazione della libertà dei suddetti Musotto, Lombardo, Scalone non trovi riscontri in atti tipici, si tratterebbe comunque di un fatto estraneo al conflitto, dal momento che il ricorrente non espone che il deputato viene perseguito per aver formulato siffatta accusa. Un conflitto del tipo di quello in esame presuppone che il giudice, per effetto della delibera di insindacabilità, non abbia la possibilità di giudicare sul merito dei fatti per cui è processo. Ma se in concreto, per determinati fatti, non pende il procedimento, la delibera d’insindacabilità non produce alcuna lesione delle prerogative costituzionali dell’organo giudicante.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara che spettava alla Camera dei deputati affermare che i fatti per i quali il deputato Vittorio Sgarbi è sottoposto a procedimento penale, pendente davanti al Tribunale di Bologna, per il reato di diffamazione aggravata, riguardano opinioni espresse da un membro del Parlamento nell’esercizio delle sue funzioni, ai sensi dell’art. 68, primo comma, della Costituzione.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 4 luglio 2007.

F.to:

Franco BILE, Presidente

Francesco AMIRANTE, Redattore

Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 13 luglio 2007.