ORDINANZA N. 374
ANNO 2006
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai Signori:
- Franco BILE Presidente
- Giovanni Maria FLICK Giudice
- Francesco AMIRANTE "
- Ugo DE SIERVO "
- Romano VACCARELLA "
- Paolo MADDALENA "
- Alfio FINOCCHIARO "
- Alfonso QUARANTA "
- Franco GALLO "
- Luigi MAZZELLA "
- Gaetano SILVESTRI "
- Sabino CASSESE "
- Maria Rita SAULLE "
- Giuseppe TESAURO "
- Paolo Maria NAPOLITANO "
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 172 del codice della strada (decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285), come modificato dal decreto-legge 27 giugno 2003, n. 151 (Modifiche ed integrazioni al codice della strada), convertito, con modificazioni, in legge 1° agosto 2003, n. 214 (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 27 giugno 2003, n. 151, recante modifiche ed integrazioni al codice della strada), promosso con ordinanza del 14 luglio 2005 dal Giudice di pace di Manduria, nel procedimento civile vertente tra De Valerio Lucia e il Prefetto di Taranto, iscritta al n. 594 del registro ordinanze 2005 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 1, prima serie speciale, dell’anno 2006.
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 27 settembre 2006 il Giudice relatore Alfio Finocchiaro.
Ritenuto che – nel corso del giudizio di opposizione a verbale della Compagnia Carabinieri di Manduria del 10 giugno 2004, per violazione dell’art. 172 del codice della strada, per mancato uso della cintura di sicurezza, promosso da De Valerio Lucia, in cui l’opponente lamentava l’errore nella indicazione della targa del veicolo – il Giudice di pace di Manduria ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 172 del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada), come modificato dal decreto-legge 27 giugno 2003, n. 151 (Modifiche ed integrazioni al codice della strada), convertito in legge 1° agosto 2003, n. 214, nella parte in cui prevede sanzioni in caso di mancato uso della cintura di sicurezza, in particolare con la perdita di cinque punti, e l’ulteriore sanzione della sospensione della patente per giorni 15 in caso di reiterazione, per violazione degli articoli 2, 3, 13 e 32, secondo comma, della Costituzione, e, inoltre, per violazione dell’articolo 8 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, ratificata dalla legge 4 agosto 1955, n. 848 (Ratifica ed esecuzione della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali firmata a Roma il 4 novembre 1950 e del Protocollo addizionale alla Convenzione stessa, firmato a Parigi il 20 marzo 1952) e dell’art. 29, secondo comma, della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo adottata dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite il 10 dicembre 1948;
che la prescrizione di cui si tratta contrasterebbe, secondo il giudice a quo, con l’art. 2 della Costituzione, giacché i diritti inviolabili dell’uomo e lo sviluppo della sua personalità ne risulterebbero “tarpati e gravemente compressi”, in assenza di dati di prevenzione specifica;
che il «soffocante» obbligo di far uso delle cinture contrasterebbe altresì con l’art. 3 della Costituzione, in quanto previsto solo per alcuni soggetti, essendone esentate numerose categorie di cittadini, così dimostrandosi che esse risultano di danno e di impaccio;
che l’obbligo dell’uso della cintura violerebbe, poi, l’art. 13 della Costituzione, perché non costituirebbe misura di prevenzione atta ad evitare danni a terzi, ma paternalistica previsione dell’ordinamento nei confronti del singolo, considerato in posizione di minorità etica e psicologica, retaggio di ordinamenti assolutistici e illiberali, in stridente contrasto con i principi dello Stato democratico;
che l’obbligo dell’uso della cintura recherebbe, ancora, vulnus all’art. 32, secondo comma, della Costituzione, che impone il rispetto della persona umana e la dignità delle sue scelte;
che le sanzioni per il mancato uso delle cinture sarebbero irragionevolmente repressive, più gravi di quelle previste per il sorpasso in curva, il passaggio con il semaforo rosso, la retromarcia in autostrada, l’inversione di marcia in curva, la circolazione contromano, il mancato fermo dopo aver provocato un incidente;
che sarebbe, infine, ravvisabile anche il contrasto con l’art. 8 della predetta Convenzione europea dei diritti dell’uomo, giacché l’obbligo della cintura non rispetterebbe la vita privata, anche per via degli invasivi controlli all’interno dell’abitacolo della vettura, a cura degli organismi deputati al rispetto della norma, nonché il contrasto con l’art. 29, secondo comma, della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del 10 dicembre 1948;
che nel giudizio è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, chiedendo la declaratoria di inammissibilità e comunque di infondatezza della questione, non apparendo l’ordinanza di rimessione congruamente motivata, tenuto conto che l’obbligo di indossare la cintura risponde alla scelta legislativa discrezionale di salvaguardare la persona del guidatore e del passeggero dalle conseguenze traumatiche di incidenti stradali, e che la graduazione delle sanzioni non è sindacabile.
Considerato che il Giudice di pace di Manduria dubita della legittimità costituzionale dell’art. 172 del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada), come modificato dal decreto-legge 27 giugno 2003, n. 151 (Modifiche ed integrazioni al codice della strada), convertito, con modificazioni, nella legge 1° agosto 2003, n. 214, laddove prevede sanzioni in caso di mancato uso della cintura di sicurezza, in particolare con la perdita di cinque punti, e l’ulteriore sanzione della sospensione della patente per 15 giorni in caso di reiterazione, per violazione: dell’art. 2 della Costituzione, a causa della grave compressione dei diritti inviolabili dell’uomo e dello sviluppo della sua personalità; dell’art. 3 della Costituzione, per la previsione di esenzione dall’obbligo per alcune categorie di cittadini, nonché del principio di ragionevolezza, essendo il trattamento sanzionatorio abnormemente più grave rispetto ad altre ipotesi di maggiore gravità; dell’art. 13 della Costituzione, per la violazione della libertà personale; dell’art. 32, secondo comma, della Costituzione, per contrasto con il rispetto dovuto alla persona umana; dell’art. 8 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, ratificata dalla legge 4 agosto 1955, n. 848 (Ratifica ed esecuzione della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali firmata a Roma il 4 novembre 1950 e del Protocollo addizionale alla Convenzione stessa e firmato a Parigi il 20 marzo 1952) e dell’art. 29, secondo comma, della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo adottata dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite il 10 dicembre 1948;
che non costituisce ragione per un’eventuale restituzione al giudice a quo la modifica legislativa della norma, per effetto dell’art. 1 del decreto legislativo 13 marzo 2006, n. 150, che, recependo una direttiva europea per una migliore tutela dei passeggeri minori, riformula la disposizione, tuttavia mantenendo tutti i presupposti in relazione ai quali il Giudice di pace di Manduria formula le sue censure per il contrasto della norma denunciata con i parametri costituzionali;
che il giudice rimettente omette qualsiasi motivazione sulla rilevanza della questione, in particolare con riguardo ad aspetti del giudizio di merito – di cui il rimettente riferisce solo che l’opponente contesta l’errore dei verbalizzanti nel riportare la targa del veicolo – che, attenendo alla ricostruzione del fatto, potrebbero rendere superflua ogni considerazione sull’applicabilità della norma;
che, per costante giurisprudenza di questa Corte, la questione di legittimità costituzionale sollevata con ordinanza priva di motivazione sulla rilevanza o che contenga una insufficiente descrizione della fattispecie concreta, tale da non consentire una adeguata valutazione della stessa, è manifestamente inammissibile (v., ex plurimis, ordinanze n. 482, n. 453, n. 423, n. 139 del 2005; n. 393, n. 391 del 2004);
che, pertanto, la questione deve essere dichiarata manifestamente inammissibile.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
per questi motiviLA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 172 del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada), come modificato dal decreto-legge 27 giugno 2003, n. 151 (Modifiche ed integrazioni al codice della strada), convertito, con modificazioni, nella legge 1° agosto 2003, n. 214, sollevata, in riferimento agli articoli 2, 3, 13 e 32, secondo comma, della Costituzione, all’art. 8 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, ratificata dalla legge 4 agosto 1955, n. 848 (Ratifica ed esecuzione della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali firmata a Roma il 4 novembre 1950 e del Protocollo addizionale alla Convenzione stessa, firmato a Parigi il 20 marzo 1952) e all’art. 29, secondo comma, della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo adottata dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite il 10 dicembre 1948, dal Giudice di pace di Manduria, con l’ordinanza in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 6 novembre 2006.
Franco BILE, Presidente
Alfio FINOCCHIARO, Redattore
Depositata in Cancelleria il 14 novembre 2006.