ORDINANZA N. 482
ANNO 2005
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai Signori:
- Annibale MARINI Presidente
- Franco BILE Giudice
- Giovanni Maria FLICK "
- Francesco AMIRANTE "
- Ugo DE SIERVO "
- Romano VACCARELLA "
- Paolo MADDALENA "
- Alfio FINOCCHIARO "
- Alfonso QUARANTA "
- Franco GALLO "
- Gaetano SILVESTRI "
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 1, comma 9, della legge 30 luglio 1990, n. 217 (Istituzione del patrocinio a spese dello Stato per i non abbienti) e dell'art. 91 del decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia), promosso con ordinanza del 6 maggio 2004 dal Tribunale di Roma, nel procedimento penale a carico di Martini Franco ed altro, iscritta al n. 215 del registro ordinanze 2005 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 17, prima serie speciale, dell'anno 2005.
Visti l'atto di costituzione di Martini Franco, nonché l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 26 ottobre 2005 il Giudice relatore Alfio Finocchiaro.
Ritenuto che con ordinanza del 6 maggio 2004, il Tribunale di Roma ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 91 del decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia) e dell'art. 1, comma 9, della legge 30 luglio 1990, n. 217 (Istituzione del patrocinio a spese dello Stato per i non abbienti) in riferimento agli artt. 3, 24 e 27, secondo comma, della Costituzione;
che, secondo il giudice rimettente, nell'ambito di procedimenti penali a carico di Franco Martini e altri imputati, il Tribunale di Roma, aveva ammesso i predetti al beneficio del patrocinio legale a spese dello Stato, ai sensi della legge n. 217 del 1990, all'epoca vigente;
che i diversi procedimenti a carico degli imputati erano confluiti ed erano stati riuniti, per ragioni di connessione soggettiva e probatoria, in un unico procedimento, definito con sentenza del Tribunale di Roma del 17 gennaio 2003;
che i difensori degli imputati avevano chiesto la liquidazione degli onorari loro spettanti ma che il Tribunale, con decreto in data 28 novembre 2003, aveva disposto la revoca dell'ammissione di Martini e di un altro imputato al patrocinio legale a spese dello Stato, argomentando, tra l'altro ed essenzialmente per quel che rileva in questa sede, che la presenza a carico dei predetti di imputazioni inerenti alla violazione di normativa in materia finanziaria e tributaria e ad illeciti di altra natura doveva comportare, ex lege, la revoca ex tunc dell'ammissione al beneficio, ai sensi dell'art. 1, comma 9, della legge n. 217 del 1990, vigente sin dall'epoca del provvedimento di ammissione al patrocinio a spese dello Stato, e dell'art. 91, comma 1, lettera a) del d.P.R. n. 115 del 2002, che ha ribadito detta esclusione;
che avverso tale decisione gli imputati avevano proposto ricorso;
che il caso di specie si caratterizzava per la particolarità che agli imputati erano stati contestati reati di natura tributaria e finanziaria unitamente a delitti contro l'ordine pubblico (art. 416 cod. pen.) e contro il patrimonio;
che la formulazione della normativa in questione imporrebbe la generale esclusione dei predetti dal beneficio dell'ammissione al patrocinio legale a spese dello Stato, senza che si potesse operare una distinzione, peraltro concettualmente e sostanzialmente assai difficile se non impossibile, tra gli uni e gli altri illeciti loro ascritti;
che il tenore testuale delle norme non lascerebbe spazio a diverse letture, atteso che già l'art. 1, comma 9, della legge n. 217 del 1990 stabiliva che «in ogni caso...» l'ammissione al beneficio era da escludersi per gli imputati di reati di natura finanziaria e/o tributaria mentre l'art. 91 del d.P.R. n. 115 del 2002, in vigore, ha precisato e ribadito che il beneficio è escluso per «l'indagato, l'imputato ed il condannato....» per reati di quella natura per cui l'ammissione al patrocinio legale a spese dello Stato era ed è impedita dalla sola prospettazione dell'ipotesi accusatoria, prescindendosi da ogni vaglio nel merito, e che, d'altra parte, la rigidità e la severità della norma va ricondotta alla sua ratio individuabile nell'impossibilità, per i soggetti cui viene mosso quel tipo di imputazione, di accertare validamente le rispettive condizioni patrimoniali (cfr. Cass. sez. I, n. 2023 del 17 marzo 2000);
che, nel caso di specie, quindi, nonostante la presenza di contestazioni di diversa natura, in applicazione delle citate norme, prevarrebbe il divieto di ammissione al patrocinio legale a spese dello Stato per la presenza di imputazioni di natura tributaria e finanziaria, così come peraltro evidenziato dal tribunale che ha revocato il provvedimento di ammissione al beneficio;
che da ciò conseguirebbe la rilevanza della questione di costituzionalità, come appresso prospettata, poiché, così come formulate, le norme in esame porterebbero ad una conferma dell'impugnato provvedimento di revoca;
che le indicate previsioni normative e il più generale impianto di cui al d.P.R. n. 115 n. 2002, comporterebbero, perciò, la conseguenza che imputati - od anche solo indagati – di reati di varia natura, e tra questi di taluni di natura finanziaria e/o tributaria, non possano usufruire per tale ragione del beneficio del patrocinio legale a spese dello Stato mentre chi fosse imputato di reati non comprendenti alcuno di quelli di natura tributaria e/o finanziaria, anche di eguale o maggiore gravità, ben potrebbe aver diritto a quel beneficio;
che apparirebbe evidente il contrasto di detto sistema normativo innanzitutto con l'art. 3 Cost., non potendosi ravvisare alcuna ragionevolezza in quella disparità di trattamento; poi, con l'art. 24 Cost. laddove il pieno esercizio del diritto di difesa sarebbe assicurato solo ai soggetti ai quali non venisse contestato alcun reato di natura tributaria e/o finanziaria, eventualmente connesso ad altri di diversa natura; infine, con l'art. 27, secondo comma, Cost., risultando violato il principio di non colpevolezza sino alla decisione definitiva poiché la mera ed anche non formale contestazione di reati di natura tributaria e/o finanziaria, sempre eventualmente connessi ad altri di natura differente, imporrebbe l'esclusione del beneficio, senza alcuna possibilità di valutazione nel merito della fondatezza delle accuse ed anche laddove, addirittura, fosse intervenuta in seguito una decisione favorevole agli imputati;
che lo stesso d.P.R. n. 115 del 2002 consente, invece, l'ammissione al beneficio del patrocinio legale a spese dello Stato con riferimento ai ricorsi alle commissioni tributarie avverso provvedimenti di accertamento fiscale, per cui non sembrerebbe che il legislatore abbia ritenuto un'ontologica incompatibilità tra il patrocino a spese dello Stato e questioni che coinvolgono problematiche fiscali e tributarie;
che si è costituito con memoria Franco Martini, insistendo per l'accoglimento della questione proposta;
che nel giudizio innanzi alla Corte è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura dello Stato, chiedendo che la questione venga dichiarata inammissibile o comunque infondata.
Considerato che il Tribunale di Roma, con ordinanza del 6 maggio 2004, dubita della legittimità costituzionale dell'art. 91 del decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia) e dell'art. 1, comma 9, della legge 30 luglio 1990, n. 217 (Istituzione del patrocinio a spese dello Stato per i non abbienti), laddove stabiliscono che l'ammissione al patrocinio dei non abbienti è esclusa per l'imputato, l'indagato e il condannato per reati commessi in violazione delle norme per la repressione dell'evasione in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto, per violazione dell'art. 3 Cost., per la disparità di trattamento che si creerebbe tra imputati di reati di varia natura, e tra questi di taluni di natura finanziaria e/o tributaria, che non possono usufruire per tale ragione del beneficio del patrocinio legale a spese dello Stato, e chi fosse imputato di reati non comprendenti alcuno di quelli di natura tributaria e/o finanziaria, anche di eguale o maggiore gravità, che potrebbe invece aver diritto a quel beneficio; dell'art. 24 Cost. laddove il pieno esercizio del diritto di difesa sarebbe assicurato solo ai soggetti ai quali non venisse contestato alcun reato di natura tributaria e/o finanziaria; nonché dell'art. 27, secondo comma, Cost., risultando violato il principio di non colpevolezza sino alla decisione definitiva poiché la mera ed anche non formale contestazione di reati di natura tributaria e/o finanziaria, sempre eventualmente connessi ad altri di natura differente, imporrebbe l'esclusione del beneficio, senza alcuna possibilità di valutazione nel merito della fondatezza delle accuse ed anche laddove, addirittura, fosse intervenuta in seguito una decisione favorevole agli imputati;
che l'ordinanza di rimessione si limita ad enunciare i reati per i quali gli imputati erano processati (reati di natura tributaria e finanziaria), senza indicare se gli stessi avevano i requisiti di reddito per accedere al patrocinio a spese dello Stato (condizione richiesta dall'art. 24, terzo comma, della Costituzione, nonché dall'art. 76 del d.P.R. n. 115 del 2002);
che vengono inoltre impugnate sia la norma attualmente vigente sia quella precedente, senza motivare sulla rilevanza di quest'ultima ai fini della decisione della questione proposta;
che, per costante giurisprudenza di questa Corte, il giudice deve rendere esplicite le ragioni che lo inducono a sollevare la questione di costituzionalità con una motivazione autosufficiente, tale da permettere la verifica della valutazione sulla rilevanza; ciò che, per le evidenziate lacune, non risulta possibile nel caso di specie;
che tale insufficienza della motivazione, non consentendo alla Corte il controllo sulla rilevanza della questione nel giudizio a quo, determina la manifesta inammissibilità della questione sollevata (cfr., ex plurimis, ordinanze n. 251 del 2005 e n. 365, n. 309 e n. 257 del 2004).
Visti gli articoli 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte.
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell'art. 91 del decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia) e dell'art. 1, comma 9, della legge 30 luglio 1990, n. 217 (Istituzione del patrocinio a spese dello Stato per i non abbienti), sollevata, in riferimento agli artt. 3, 24 e 27, secondo comma, della Costituzione, dal Tribunale di Roma, con l'ordinanza in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 14 dicembre 2005.
Annibale MARINI, Presidente
Alfio FINOCCHIARO, Redattore
Depositata in Cancelleria il 29 dicembre 2005.