ORDINANZA N. 202
ANNO 2006
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai Signori:
- Annibale MARINI Presidente
- Franco BILE Giudice
- Giovanni Maria FLICK "
- Francesco AMIRANTE "
- Ugo DE SIERVO "
- Romano VACCARELLA "
- Paolo MADDALENA "
- Alfio FINOCCHIARO "
- Alfonso QUARANTA "
- Franco GALLO "
- Luigi MAZZELLA "
- Gaetano SILVESTRI "
- Sabino CASSESE "
- Maria Rita SAULLE "
- Giuseppe TESAURO "
ha pronunciato la seguente
ORDINANZAnel giudizio di legittimità costituzionale degli articoli 2 della legge 8 agosto 1991, n. 265 (Disposizioni in materia di trattamento economico e di quiescenza del personale di magistratura ed equiparato), 11 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 503 (Norme per il riordinamento del sistema previdenziale dei lavoratori privati e pubblici, a norma dell’art. 3 della legge 23 ottobre 1992, n. 421), 59 della legge 27 dicembre 1997, n. 449 (Misure per la stabilizzazione della finanza pubblica), 34 della legge 23 dicembre 1998, n. 448 (Misure di finanza pubblica per la stabilizzazione e lo sviluppo) e 69 della legge 23 dicembre 2000, n. 388 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2001), promosso con ordinanza del 1° febbraio 2005 dalla Corte dei conti – sezione giurisdizionale per la regione Liguria, sul ricorso proposto da Grillo Giovanni ed altri contro il Ministero della giustizia ed altro, iscritta al n. 506 del registro ordinanze 2005 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 41, prima serie speciale, dell’anno 2005.
Visti l’atto di costituzione di Grillo Giovanni, nonché l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 5 aprile 2006 il Giudice relatore Paolo Maddalena.
Ritenuto che, nel corso di un giudizio promosso da Giovanni Grillo, Guido Cucco, Nicola Perazzelli e Roberto Sciacchitano, avente ad oggetto l’accertamento del diritto dei ricorrenti, tutti magistrati ordinari a riposo, ad un trattamento pensionistico rapportato all’attuale livello retributivo dei magistrati in servizio con pari inquadramento ed anzianità, la Corte dei conti – sezione giurisdizionale per la Liguria, con ordinanza depositata in data 1° febbraio 2005, pervenuta alla cancelleria di questa Corte il 27 settembre 2005, ha sollevato, in riferimento agli articoli 36, 38 e 53 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale degli articoli 2 della legge 8 agosto 1991, n. 265 (Disposizioni in materia di trattamento economico e di quiescenza del personale di magistratura ed equiparato), 11 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 503 (Norme per il riordinamento del sistema previdenziale dei lavoratori privati e pubblici, a norma dell’art. 3 della legge 23 ottobre 1992, n. 421), 59 della legge 27 dicembre 1997, n. 449 (Misure per la stabilizzazione della finanza pubblica), 34 della legge 23 dicembre 1998, n. 448 (Misure di finanza pubblica per la stabilizzazione e lo sviluppo) e 69 della legge 23 dicembre 2000, n. 388 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2001);
che il giudice a quo – premesso che la legge (art. 2 della legge 19 febbraio 1981, n. 27) prevede, per i magistrati, l’attribuzione periodica di aumenti stipendiali pari alla media dei miglioramenti conseguiti da altre categorie assunte a riferimento – osserva che, nel corso del pensionamento, il collegamento tra trattamento economico di attività e trattamento pensionistico (inizialmente determinato con riferimento all’ultimo stipendio o comunque correlato alla posizione retributiva conseguita all’atto del collocamento a riposo) è destinato ad allentarsi; e che tale divario sarebbe sostanzialmente irrilevante sotto il profilo costituzionale, ma con un limite: quando il trattamento pensionistico perda il connotato di proporzionalità alla quantità e qualità del lavoro prestato e scenda al di sotto dei limiti stabiliti dall’art. 36 della Costituzione, insorgerebbe, ad avviso del rimettente, un vizio di legittimità costituzionale riferibile alle disposizioni normative dalle quali deriva il mancato rispetto di quei limiti;
che la Corte dei conti – sezione giurisdizionale per la Regione Liguria ritiene che le fattispecie al suo esame dimostrino l’esistenza di un sensibile depauperamento subìto dai ricorrenti nel tempo, con riferimento al trattamento economico proprio dei colleghi in servizio attivo ed allo stesso trattamento che loro spetterebbe qualora venissero, oggi, collocati a riposo: tale scostamento sarebbe soltanto in minima parte colmato attraverso l’applicazione del meccanismo di perequazione automatica dei trattamenti, e sarebbe significativo, nel senso che inciderebbe notevolmente sui mezzi necessari ad assicurare al pensionato ed alla sua famiglia un’esistenza libera e dignitosa;
che, difatti, con riferimento, ad esempio, alla posizione del dott. Perazzelli, collocato a riposo nel 1992 e titolare, all’atto del pensionamento, del trattamento economico spettante al primo presidente aggiunto della Corte di cassazione, il giudice a quo evidenzia che un collega avente pari grado di anzianità, collocato a riposo nell’anno 2002, percepirebbe un trattamento annuo lordo pari ad euro 169.206,00, superiore a quello del dott. Perazzelli di ben 51.943,94 euro;
che le norme denunciate, impedendo l’adeguamento dei trattamenti di quiescenza del personale già appartenente alla magistratura, violerebbero gli articoli 36 e 38 della Costituzione;
che la situazione connessa al divario pensioni-retribuzioni si porrebbe in contrasto anche con il principio di capacità contributiva di cui all’art. 53 della Costituzione, giacché non vi sarebbe corrispondenza tra le retribuzioni, in ragione del cui ammontare si opera il prelievo contributivo, ed i trattamenti pensionistici in funzione dei quali la contribuzione ha ragion d’essere, di talché la contribuzione previdenziale finirebbe per assumere connotati diversi da quelli suoi propri, ossia caratteristiche tali da renderla assimilabile ad un prelievo di natura tributaria, ma al di fuori delle garanzie di rispetto della capacità contributiva previste dall’art. 53 della Costituzione;
che nel giudizio dinanzi alla Corte si sono costituiti Giovanni Grillo, Guido Cucco, Nicola Perazzelli e Roberto Sciacchitano, ricorrenti nel giudizio a quo, concludendo per l’accoglimento della questione;
che, confrontando il trattamento pensionistico di cui godono le parti private con il trattamento pensionistico che spetterebbe oggi ad un collega di pari anzianità e funzione all’atto del suo collocamento a riposo, si osserva che il depauperamento subìto dai ricorrenti è notevole, sicché la soglia di cui all’art. 36 della Costituzione sarebbe ampiamente superata;
che un’ulteriore questione sarebbe quella relativa al contributo in favore del fondo pensioni, corrisposto dai magistrati in servizio in misura calcolata sull’intero stipendio, mentre, dopo il collocamento a riposo, la decurtazione della pensione verrebbe a rendere a posteriori ingiustificata una quota del versamento, con conseguente violazione, oltre che dell’art. 36 della Costituzione, anche dell’art. 3 della Costituzione;
che è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, che ha concluso per la manifesta infondatezza della questione;
che, ad avviso dell’Avvocatura, il passare del tempo, in sé, non può essere automatica fonte del diritto alla perequazione, poiché il trattamento pensionistico si fonda su parametri proporzionali alla contribuzione previdenziale versata, che, a sua volta, si basa sul reddito percepito dai lavoratori;
che la difesa erariale richiama le sentenze di questa Corte n. 409 del 1995 e n. 30 del 2004, che hanno già scrutinato – dichiarandole non fondate – analoghe questioni di legittimità costituzionale; e, esclusa l’esistenza di un principio costituzionale di adeguamento delle pensioni al successivo trattamento economico dell’attività di servizio corrispondente, afferma che il trattamento pensionistico erogato ai ricorrenti è più che congruo rispetto al soddisfacimento dei bisogni primari della vita quotidiana.
Considerato che la questione di legittimità costituzionale investe la disciplina del trattamento pensionistico dei magistrati ed ha per oggetto gli articoli 2 della legge 8 agosto 1991, n. 265 (Disposizioni in materia di trattamento economico e di quiescenza del personale di magistratura ed equiparato), 11 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 503 (Norme per il riordinamento del sistema previdenziale dei lavoratori privati e pubblici, a norma dell’art. 3 della legge 23 ottobre 1992, n. 421), 59 della legge 27 dicembre 1997, n. 449 (Misure per la stabilizzazione della finanza pubblica), 34 della legge 23 dicembre 1998, n. 448 (Misure di finanza pubblica per la stabilizzazione e lo sviluppo) e 69 della legge 23 dicembre 2000, n. 388 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2001);
che, ad avviso del giudice rimettente, le disposizioni denunciate, limitandosi a prevedere un meccanismo di perequazione dell’importo dei trattamenti pensionistici alle variazioni del costo della vita, determinerebbero un significativo ed apprezzabile depauperamento del trattamento pensionistico dei magistrati collocati a riposo con riferimento al trattamento economico proprio dei colleghi in servizio attivo ed allo stesso trattamento pensionistico dei magistrati collocati a riposo successivamente, e così violerebbero, da un lato, gli articoli 36 e 38 della Costituzione, sotto il profilo del principio di equa retribuzione e di proporzionalità, e, dall’altro, l’art. 53 della Costituzione, giacché il divario pensioni-retribuzioni farebbe assumere alla contribuzione previdenziale connotati diversi da quelli suoi propri, ossia caratteristiche tali da renderla assimilabile ad un prelievo di natura tributaria, ma al di fuori delle garanzie di rispetto della capacità contributiva previste dalla Costituzione;
che, preliminarmente, si deve precisare che la questione va esaminata entro i limiti del thema decidendum individuati dall’ordinanza di rimessione: rimane, perciò, estraneo al presente giudizio l’esame della questione di costituzionalità con riferimento all’ulteriore parametro – l’art. 3 della Costituzione – prospettato dalla difesa delle parti private costituite (v., da ultimo, sentenza n. 282 del 2005);
che questa Corte, esaminando analoghe questioni di legittimità costituzionale, ha già avuto modo di affermare che il principio della proporzionalità della pensione alla quantità e alla qualità del lavoro prestato, nonché della sua adeguatezza alle esigenze di vita del lavoratore e della sua famiglia – che deve essere osservato non solo al momento del collocamento a riposo del lavoratore, ma anche successivamente, in relazione al mutamento del potere di acquisto della moneta – non impone affatto il necessario adeguamento del trattamento pensionistico agli stipendi, giacché spetta alla discrezionalità del legislatore determinare le modalità di attuazione del principio sancito dall’art. 38 della Costituzione (sentenza n. 30 del 2004); conseguendo tale determinazione al bilanciamento del complesso dei valori e degli interessi costituzionali coinvolti, anche in relazione alle risorse finanziarie disponibili e ai mezzi necessari per far fronte agli impegni di spesa, con il limite comunque di assicurare «la garanzia delle esigenze minime di protezione della persona» (sentenza n. 457 del 1998);
che, pertanto, non rappresenta vulnerazione dei canoni costituzionali evocati dal rimettente il fatto che il legislatore – orientatosi nel senso di salvaguardare nel tempo il potere di acquisto e l’adeguatezza dei trattamenti pensionistici unicamente attraverso lo strumento della perequazione automatica dell’importo alle variazioni del costo della vita – , nel prevedere un meccanismo di adeguamento delle retribuzioni del personale in servizio, non abbia parallelamente esteso analogo adeguamento ai trattamenti pensionistici della medesima categoria. E questo tanto più quando tale meccanismo appaia elemento intrinseco della struttura delle retribuzioni dei magistrati, avendo la peculiare ratio di attuare il precetto costituzionale dell’indipendenza e di evitare che essi siano soggetti a periodiche rivendicazioni nei confronti di altri poteri (sentenza n. 42 del 1993); sì da non potersi considerare necessitata la trasposizione di tale elemento anche al settore pensionistico, trattandosi di scelta rimessa alla discrezionalità del legislatore, non più sussistendo nel periodo di quiescenza, l’esigenza che ne aveva giustificato l’attribuzione nella vigenza del rapporto di servizio (sentenza n. 409 del 1995);
che tale mancata estensione produce uno scostamento tra trattamenti pensionistici maturati in tempi diversi, il quale tuttavia, a differenza di quanto sostiene il rimettente, appare giustificato dal diverso trattamento economico di cui i lavoratori hanno goduto durante il rapporto di servizio e che era vigente nei diversi momenti in cui i relativi trattamenti pensionistici sono maturati (sentenza n. 30 del 2004);
che palesemente inconferente è, infine, il richiamo all’art. 53 della Costituzione, in quanto la contribuzione previdenziale non ha natura di imposizione tributaria, ma di prestazione patrimoniale diretta a concorrere agli oneri finanziari del regime previdenziale dei lavoratori (sentenze n. 354 del 2001 e n. 178 del 2000; ordinanza n. 22 del 2003);
che, pertanto, la questione deve essere dichiarata manifestamente infondata.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale degli articoli 2 della legge 8 agosto 1991, n. 265 (Disposizioni in materia di trattamento economico e di quiescenza del personale di magistratura ed equiparato), 11 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 503 (Norme per il riordinamento del sistema previdenziale dei lavoratori privati e pubblici, a norma dell’art. 3 della legge 23 ottobre 1992, n. 421), 59 della legge 27 dicembre 1997, n. 449 (Misure per la stabilizzazione della finanza pubblica), 34 della legge 23 dicembre 1998, n. 448 (Misure di finanza pubblica per la stabilizzazione e lo sviluppo) e 69 della legge 23 dicembre 2000, n. 388 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2001), sollevata, in riferimento agli articoli 36, 38 e 53 della Costituzione, dalla Corte dei conti – sezione giurisdizionale per la Liguria, con l’ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 3 maggio 2006.
Annibale MARINI, Presidente
Paolo MADDALENA, Redattore
Depositata in Cancelleria il 18 maggio 2006.