ORDINANZA N. 109
ANNO 2004
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai Signori:
- Gustavo ZAGREBELSKY Presidente
- Valerio ONIDA Giudice
- Carlo MEZZANOTTE "
- Fernanda CONTRI "
- Guido NEPPI MODONA "
- Piero Alberto CAPOTOSTI "
- Annibale MARINI "
- Franco BILE "
- Giovanni Maria FLICK "
- Francesco AMIRANTE "
- Ugo DE SIERVO "
- Romano VACCARELLA "
- Paolo MADDALENA "
- Alfonso QUARANTA "
ha pronunciato la seguente
ORDINANZAnel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 1193, primo comma, del codice della navigazione, nel testo modificato dall’art. 14, comma 2, lettera a), del decreto legislativo 30 dicembre 1999, n. 507 (Depenalizzazione dei reati minori e riforma del sistema sanzionatorio, ai sensi dell’articolo 1 della legge 25 giugno 1999, n. 205), promosso con ordinanza del 23 ottobre 2002 dal Giudice di pace di Taranto sul ricorso proposto da Emilio Palumbo contro la Capitaneria di porto di Taranto, iscritta al n. 515 del registro ordinanze 2003 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 33, prima serie speciale, dell’anno 2003.
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 25 febbraio 2004 il Giudice relatore Franco Bile.
Ritenuto che – in sede di decisione su un’opposizione proposta da un pescatore, proprietario di imbarcazione, avverso la sanzione irrogatagli, ai sensi dell’art. 1193 del codice della navigazione, per avere navigato sprovvisto dei documenti di bordo in violazione dell’art. 299 dello stesso codice – il Giudice di pace di Taranto, con ordinanza emessa il 23 ottobre 2002, ha sollevato, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale del menzionato art. 1193, primo comma, cod. nav. (nel testo modificato dall’art. 14, comma 2, lettera a, del decreto legislativo 30 dicembre 1999, n. 507), «perché implicante una disciplina ingiustificatamente discriminatoria tra situazioni omogenee e comparabili quali quelle tra navi da diporto e da traffico»;
che il rimettente osserva come tale disparità di trattamento risulti ingiustificata in quanto – avendo il legislatore accolto nell’art. 136 cod. nav. una nozione unitaria di nave (definita come «qualsiasi costruzione destinata al trasporto per acqua, anche a scopo di rimorchio, di pesca, di diporto, o ad altro scopo») – l’unica distinzione di disciplina è stata attuata con la legge 11 febbraio 1971, n. 50, che contiene una normativa speciale relativa esclusivamente al diporto (ovvero alle navi utilizzate per scopi sportivi o ricreativi), in virtù della quale il codice della navigazione non è applicabile a tale tipo di navigazione;
che di conseguenza, per la medesima violazione, quale appunto la navigazione in assenza dei documenti di bordo, per il diportista è prevista una sanzione da lire centomila a un milione (ex art. 39, terzo comma, della legge n. 50 del 1971), mentre per tutte le altre imbarcazioni, ai sensi della norma impugnata, è stabilita una sanzione da tre a diciotto milioni di lire (per la quale, pur essendone prevista la gradazione, neppure è ammesso il pagamento in misura ridotta ai sensi dell’art. 16 della legge 24 novembre 1981, n. 689), oltre che l’applicazione della sanzione amministrativa accessoria della sospensione dai titoli o dalla professione (ex art. 1214 cod. nav.);
che, secondo il rimettente, ciò determina un contrasto della norma con l’art. 3 Cost., sotto il profilo della necessaria ragionevolezza e proporzionalità della sanzione da irrogare, poiché, anche applicando il minimo edittale della sanzione, questo sarebbe comunque eccessivamente oneroso e sproporzionato rispetto alla medesima violazione commessa da una imbarcazione da diporto;
che è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, concludendo per la manifesta infondatezza della sollevata questione.
Considerato che le censure mosse dal rimettente alla norma impugnata attengono al duplice, ma connesso, profilo della irragionevolezza, per mancata proporzione della sanzione minima rispetto alla effettiva gravità della violazione commessa da navi soggette alla generale disciplina del codice della navigazione, e della disparità di trattamento con quanto previsto, in misura meno grave, per la medesima violazione allorquando sia commessa con imbarcazioni da diporto;
che l’art. 1193 cod. nav. (nel testo anteriore alla depenalizzazione operata dal d.lgs. n. 507 del 1999), ha già positivamente superato il vaglio di costituzionalità di questa Corte, la quale, nella sentenza n. 36 del 1973 – con riferimento ad analogo vulnus riferito all’eccessiva entità dell’impianto sanzionatorio penale allora stabilito anche per le infrazioni compiute da piccole imbarcazioni –, ha sottolineato che la violazione delle prescrizioni sulla tenuta dei libri di bordo, a seconda che trattasi di navi maggiori o minori, «si risolve[va] sostanzialmente nella gravità del reato», punibile entro i limiti di pena minimi e massimi fissati dalla legge; e che la sanzione prevista dalla norma impugnata era di tale latitudine, nella stessa alternativa tra ammenda e arresto, da consentire al giudice l’applicazione di una pena congrua, a seconda che l’imputato comandasse una nave maggiore oppure una nave minore;
che siffatta latitudine risulta conservata (nell’ambito dell’esteso contesto di sostituzione dell’intervento penale con sanzioni amministrative) anche a seguito della depenalizzazione della norma de qua; sicché l’ampiezza della “forbice” tra minimo e massimo esclude ancora un’irrazionalità della previsione, e viceversa consente l’applicazione di una sanzione amministrativa concretamente determinabile in rapporto alla gravità della violazione, differenziandola a seconda che sia commessa dai comandanti di navi minori o di navi maggiori;
che si deve perciò ribadire la consolidata giurisprudenza di questa Corte, secondo cui la valutazione della congruità della sanzione appartiene alla discrezionalità del legislatore ed è quindi sottratta al sindacato di costituzionalità, ove (come nella specie) non trasmodi in manifesta irragionevolezza (oltre alla già citata sentenza n. 36 del 1973, v. da ultimo ordinanze n. 110 e n. 323 del 2002, n. 18 e n. 172 del 2003);
che, quanto all’ulteriore profilo di incostituzionalità della norma, evocato dal rimettente in ragione del diverso trattamento previsto, per la medesima violazione, rispetto ad una imbarcazione da diporto, è agevole rilevare la sostanziale eterogeneità delle situazioni poste a confronto e, dunque, l’inidoneità del tertium comparationis a fungere da termine di riferimento onde verificare la pretesa lesione del principio di uguaglianza (v. da ultimo ordinanze n. 10 del 2002, n. 206 e n. 245 del 2003);
che, infatti – oltre ad essersi più volte espressa sul carattere di sistema a sé stante delle norme del codice della navigazione e sulla natura speciale delle norme sulla navigazione da diporto (sentenze n. 29 del 1976 e n. 71 del 2003, ed ordinanza n. 383 del 1987) – questa Corte ha in particolare affermato che i due tipi di navigazione non sono tra loro omogenei, essendo affatto diversi: a) lo scopo dell’attività, nell’un caso diportistico e nell’altro lucrativo; b) la tipologia della navigazione – che può riflettersi su quella dell’imbarcazione –, non professionale da un lato, professionale dall’altro; c) il titolo della conduzione, nell’un caso abilitativo alla guida, nell’altro caso costituente requisito professionale (ordinanza n. 297 del 1998);
che, pertanto, la sollevata questione è manifestamente infondata.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
per questi motiviLA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 1193, primo comma, del codice della navigazione (nel testo modificato dall’art. 14, comma 2, lettera a, del decreto legislativo 30 dicembre 1999, n. 507), sollevata, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, dal Giudice di pace di Taranto, con l’ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 24 marzo 2004.
Gustavo ZAGREBELSKY, Presidente
Franco BILE, Redattore
Depositata in Cancelleria il 2 aprile 2004.