Ordinanza n.206 del 2003

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ORDINANZA N.206

ANNO 2003

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

-  Riccardo             CHIEPPA                           Presidente

-  Gustavo              ZAGREBELSKY                 Giudice                

-  Valerio                ONIDA                                      "          

-  Carlo                   MEZZANOTTE                        "

-  Fernanda             CONTRI                                    "

-  Guido                 NEPPI MODONA                    "

-  Piero Alberto      CAPOTOSTI                             "

-  Annibale             MARINI                                    "

-  Franco                 BILE                                          "

-  Giovanni Maria   FLICK                                       "

-  Ugo                     DE SIERVO                              "

-  Romano              VACCARELLA                        "

-  Alfio                   FINOCCHIARO                       "

ha pronunciato la seguente                                                         

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 2,  comma 1-bis, della legge 11 novembre 1983, n. 638 – recte: decreto-legge 12 settembre 1983, n. 463 (Misure urgenti in materia previdenziale e sanitaria e per il contenimento della spesa pubblica, disposizioni per vari settori della pubblica amministrazione e proroga di taluni termini), convertito, con modificazioni, nella  legge 11 novembre 1983, n.  638 – promosso con ordinanza del 15 maggio 2002 dal Tribunale di Reggio Emilia nel procedimento penale  a carico di Zambelli Paola ed altro, iscritta al n. 332 del registro ordinanze 2002 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 28, prima serie speciale, dell'anno 2002.

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 9 aprile 2003 il Giudice relatore Riccardo Chieppa.

Ritenuto che nel corso di un procedimento penale a carico di due persone imputate del reato di omesso versamento di ritenute previdenziali e assistenziali il Tribunale di Reggio Emilia, compiuta l’istruzione dibattimentale, ha sollevato, in riferimento all’art. 3, primo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 2, comma 1-bis, della legge 11 novembre 1983, n. 638 – recte: del decreto-legge 12 settembre 1983, n. 463 (Misure urgenti in materia previdenziale e sanitaria e per il contenimento della spesa pubblica, disposizioni per vari settori della pubblica amministrazione e proroga di taluni termini) convertito, con modificazioni, nella legge 11 novembre 1983, n. 638 – nella parte in cui punisce con sanzione penale il datore di lavoro che non effettua il prescritto versamento delle ritenute previdenziali e assistenziali operate sulle retribuzioni dei lavoratori dipendenti;

che il giudice remittente osserva che dalla relativa risoluzione dipende la scelta tra la condanna degli imputati (qualora ne sussistano i presupposti di fatto), il loro proscioglimento ed, eventualmente, la formula di proscioglimento più appropriata;

che, quanto al merito della questione, il giudice a quo sostiene che il reato attualmente contestato agli imputati e quello di mancato versamento delle ritenute di acconto – previsto dall’art. 2, commi 2, 3 e 4, del decreto-legge 10 luglio 1982, n. 429 (Norme per la repressione della evasione in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto e per agevolare la definizione delle pendenze in materia tributaria) convertito, con modificazioni, nella legge 7 agosto 1982, n. 516 (abrogato dall’art. 25 del decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74, recante «Nuova disciplina dei reati in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto, a norma dell’art. 9 della legge 25 giugno 1999, n. 205») – si inserivano nello stesso modo nell’ambito del rapporto di lavoro e della sua esecuzione, poiché entrambi sanzionavano penalmente l’obbligo del datore di lavoro di provvedere ad estinguere, attraverso il versamento delle somme trattenute allo scopo sulla retribuzione, i debiti del lavoratore verso il fisco e verso l’ente previdenziale di appartenenza, secondo uno schema analogo a quello della delegazione di pagamento;

che, pertanto, ad avviso del remittente, i suddetti reati avrebbero avuto  identica situazione tipica (il pagamento della retribuzione) e identica condotta (l’omissione del versamento dovuto), mentre l’unico elemento che li differenziava era il bene tutelato che, per il primo, era l’interesse degli enti previdenziali alla percezione dei contributi e, per il secondo, quello del fisco alla riscossione dei tributi;

che, secondo il Tribunale di Reggio Emilia, si tratterebbe di interessi «abbastanza omogenei» tra i quali, quindi, si può istituire un confronto al cui esito appare irragionevole che per la sola protezione del primo dei suddetti interessi sia rimasta la previsione della sanzione penale, mentre con la riforma operata dal d.lgs. n. 74 del 2000 si sia ritenuto non più meritevole di analoga sanzione l’interesse del fisco, il quale sembra essere quello di rango più elevato avendo il fisco compiti di maggiore ampiezza rispetto a quelli degli enti previdenziali;

che è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, che ha concluso per la dichiarazione di inammissibilità e, comunque, di infondatezza della questione sottolineando, in particolare, che la motivazione sulla rilevanza contenuta nell’ordinanza di rimessione non può considerarsi esauriente, non contenendo alcun riferimento alla fattispecie oggetto del giudizio a quo, a parte quello, del tutto insufficiente, relativo all’avvenuto compimento dell’istruttoria dibattimentale.

Considerato che il Tribunale di Reggio Emilia dubita, in riferimento all’art. 3, primo comma, della Costituzione, della legittimità costituzionale dell’art. 2, comma 1-bis, del decreto-legge 12 settembre 1983, n. 463 convertito, con modificazioni, nella legge 11 novembre 1983, n. 638;

che, secondo il remittente, il reato di mancato versamento delle ritenute previdenziali da parte del datore di lavoro, previsto dalla norma censurata, presenterebbe elementi di analogia con il reato di omesso versamento delle ritenute fiscali da parte del datore di lavoro quale sostituto di imposta, reato che era previsto dall’art. 2 del decreto-legge n. 429 del 1982, convertito, con modificazioni, nella legge n. 516 del 1982, il quale è stato abrogato dall’art. 25 del decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74;

che, sempre ad avviso del giudice a quo, la permanenza in vigore della norma censurata, mentre è stata abrogata quella che configurava il reato di omesso versamento delle ritenute tributarie, determinerebbe una ingiustificata diversità di trattamento di situazioni simili, in quanto l’interesse che il legislatore intende tutelare sanzionando penalmente l’omissione avente ad oggetto le ritenute previdenziali non avrebbe  maggior rilevanza di quello che era protetto dalla previsione del reato di mancato versamento delle ritenute tributarie;

che l’eccezione di inammissibilità sollevata dal Presidente del Consiglio dei ministri non può essere accolta, in quanto il remittente ha sufficientemente motivato sulla rilevanza della questione, enunciando che il procedimento penale davanti a lui incardinato riguarda l’imputazione per il reato di omesso versamento delle ritenute previdenziali e precisando, non implausibilmente, che la risoluzione della sollevata questione influisce quanto meno sulla formula di assoluzione;

che, secondo i principi costantemente affermati da questa Corte, uno scrutinio che investa direttamente il merito delle scelte sanzionatorie del legislatore è possibile soltanto «ove l’opzione normativa contrasti con il principio di eguaglianza, sotto il profilo dell’assoluta arbitrarietà o della manifesta irragionevolezza» (sentenze n. 287 del 2001 e n. 313 del 1995 nonché ordinanze n. 323 del 2002, n. 110 del 2002, n. 144 del 2001 e n. 58 del 1999);

che tale situazione non si può ravvisare nel caso in esame in quanto la fattispecie oggetto della norma censurata non può considerarsi omologa rispetto al tertium comparationis individuato dal remittente, né  può ritenersi che,  gli obblighi tributari e gli obblighi previdenziali di cui si tratta, pur rientrando nell’ampia categoria delle obbligazioni pubbliche, siano correlativi a interessi diversi, rispettivamente presi in considerazione dai due diversi precetti costituzionali di cui agli articoli 53 e 38 della Costituzione;

che il mancato adempimento dell'obbligo di versamento dei contributi previdenziali determina un rischio di pregiudizio del lavoro e dei lavoratori, la cui tutela è assicurata da un complesso di disposizioni costituzionali contenute nei principi fondamentali e nella parte I della Costituzione (artt. 1, 4, 35, 38 della Costituzione);

che per assicurare il rituale adempimento degli anzidetti obblighi sono prevedibili differenziati e specifici sistemi, nell’ambito di ciascuno dei quali la sanzione penale rappresenta soltanto uno dei mezzi cui il legislatore può ricorrere, sicché la valutazione della ragionevolezza delle diverse opzioni sanzionatorie prescelte va effettuata nell’ambito di ciascun sistema e comunque «rientra nella più ampia discrezionalità legislativa, non spettando alla Corte rimodulare le scelte punitive del legislatore né stabilire la misura» e la tipologia delle sanzioni;

che infine non è assolutamente configurabile una esigenza di minore protezione del lavoro, tantomeno sotto il profilo previdenziale;

che, pertanto, la questione è manifestamente infondata.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

per questi  motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 2, comma 1-bis, del decreto-legge 12 settembre 1983, n. 463 (Misure urgenti in materia previdenziale e sanitaria e per il contenimento della spesa pubblica, disposizioni per vari settori della pubblica amministrazione e proroga di taluni termini) convertito, con modificazioni, nella legge 11 novembre 1983, n. 638, sollevata, in riferimento all’art. 3, primo comma, della Costituzione, dal Tribunale di Reggio Emilia, con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 3 giugno 2003.

Riccardo CHIEPPA, Presidente e Redattore

Depositata in Cancelleria l'11  giugno 2003.