ORDINANZA N.497
ANNO 2002
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Cesare RUPERTO Presidente
- Riccardo CHIEPPA Giudice
- Gustavo ZAGREBELSKY "
- Valerio ONIDA "
- Carlo MEZZANOTTE "
- Fernanda CONTRI "
- Guido NEPPI MODONA "
- Piero Alberto CAPOTOSTI "
- Annibale MARINI "
- Franco BILE "
- Giovanni Maria FLICK "
- Francesco AMIRANTE "
- Ugo DE SIERVO "
- Romano VACCARELLA "
- Paolo MADDALENA "
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nei giudizi di legittimità costituzionale degli artt. 51, primo comma, n. 4, 617, secondo comma, e 618 del codice di procedura civile, promossi con ordinanze emesse il 1° marzo 2000 (n. 2 ordinanze) dal Tribunale di Taranto, il 10 febbraio 2000 dal Tribunale di Caltagirone - sezione distaccata di Grammichele ed il 28 giugno 2000 dal Tribunale di Caltagirone, rispettivamente iscritte ai nn. 387, 435, 529 e 561 del registro ordinanze 2000 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 28, 30, 40 e 42, prima serie speciale, dell’anno 2000.
Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 25 settembre 2002 il Giudice relatore Fernanda Contri.
Ritenuto che il Tribunale di Taranto, con due ordinanze di identico contenuto, ha sollevato questione di legittimità costituzionale degli artt. 51, primo comma, n. 4 , 617, secondo comma, e 618 del codice di procedura civile, per violazione degli artt. 24, primo comma, 101, secondo comma, 104, primo comma, e 111, secondo comma, della Costituzione;
che il rimettente è investito dell’esame di due opposizioni agli atti esecutivi proposte da creditori avverso un’ordinanza del medesimo giudice dell’esecuzione che li aveva esclusi dalla assegnazione delle somme ricavate da pignoramento presso terzi;
che il giudice a quo premette, quanto alla rilevanza della questione, di aver egli stesso pronunciato le ordinanze oggetto di opposizione e di non ritenere applicabile a tali giudizi l’istituto dell’astensione di cui all’art. 51, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., perché non chiamato a conoscere della stessa res judicanda in un successivo grado del medesimo giudizio e perché l’opposizione agli atti esecutivi non riveste i caratteri di una impugnazione in senso stretto;
che, ad avviso del rimettente, le disposizioni impugnate, consentendo che il giudice dell’opposizione agli atti esecutivi sia il medesimo magistrato-persona fisica che ha diretto l’esecuzione, si pongono in contrasto con gli artt. 24, primo comma, 101, secondo comma, e 104 primo comma, Cost., perché il giudicante, in un giudizio attinente al medesimo oggetto ed alle stesse valutazioni decisorie già assunte nel processo esecutivo, può essere indotto a ripercorrere l’identico itinerario logico già seguito, vulnerando in tal modo il diritto delle parti alla tutela giurisdizionale davanti ad un giudice imparziale, soggetto solo alla legge, autonomo ed indipendente, come stabilito dalla stessa giurisprudenza della Corte;
che, sempre secondo il giudice a quo, le norme impugnate violano per le medesime ragioni anche l’art. 111 Cost. - come novellato dalla legge costituzionale 23 novembre 1999, n. 2 - che prescrive che ogni processo si svolga nel contraddittorio delle parti, in condizioni di parità, davanti ad un giudice terzo ed imparziale;
che il Tribunale di Caltagirone, sezione distaccata di Grammichele, ha sollevato, in relazione agli artt. 3, 25 e 111 Cost., questione di legittimità costituzionale degli artt. 51, primo comma, n. 4, 617 e 618 cod. proc. civ., nella parte in cui non escludono che la decisione della causa di opposizione agli atti esecutivi venga presa dallo stesso giudice dell’esecuzione che ha adottato il provvedimento oggetto dell’opposizione, o non prevedono l’obbligo di astensione del medesimo giudice;
che il rimettente è investito della decisione di una opposizione ex art. 617 cod. proc. civ. proposta avverso un’ordinanza emessa dal medesimo giudice-persona fisica, allora nella qualità di giudice dell’esecuzione della Pretura di Mineo, nel corso di un procedimento di espropriazione presso terzi;
che, come osserva il giudice a quo, riproponendo l’atto di opposizione le medesime argomentazioni rappresentate dalla parte in sede esecutiva, lo stesso giudice che ha adottato il provvedimento opposto viene chiamato a decidere del merito della causa ed è pertanto probabile che in tale sede egli ripercorra l’identico itinerario logico precedentemente seguito;
che, secondo il rimettente, tale situazione costituisce la normalità negli uffici di piccole dimensioni (mentre può venire esclusa dalla assegnazione tabellare delle cause civili negli uffici di maggiori dimensioni) concretandosi in tal modo una violazione del principio di eguaglianza di cui all’art. 3 Cost. e del principio di precostituzione del giudice di cui all’art. 25 Cost., dipendendo in definitiva la terzietà dello stesso dalle dotazioni di organico dell’ufficio giudiziario adito;
che il rimettente, preso atto della giurisprudenza di legittimità secondo la quale resta escluso l’obbligo di astensione del giudice dell’esecuzione, chiamato a decidere della causa di opposizione avverso un’ordinanza da lui emessa nel corso del procedimento esecutivo, ritiene che l’art. 51 cod. proc. civ. violi l’art. 111 Cost., nella parte in cui tale norma postula l’alterità del giudice dell’impugnazione;
che anche il Tribunale di Caltagirone ha sollevato, in riferimento agli artt. 24, primo comma, 101, secondo comma, 104, primo comma, e 111, secondo comma, Cost., questione di legittimità costituzionale degli artt. 617, secondo comma, e 618 cod. proc. civ., nella parte in cui non prevedono che a decidere sull’opposizione agli atti esecutivi, proposta contro provvedimenti del giudice dell’esecuzione, sia un giudice-persona fisica diverso da quello che ha emesso il provvedimento oggetto dell’opposizione delle parti;
che, quanto alla rilevanza, il giudice a quo osserva di aver egli stesso pronunciato l’ordinanza oggetto di opposizione e che la sua istanza di astensione era stata respinta dal Presidente del Tribunale, non rientrando il caso tra quelli regolati dall’art. 51 cod. proc. civ.;
che, riguardo alla non manifesta infondatezza, ad avviso del rimettente le norme denunciate, consentendo che il giudice dell’opposizione sia il medesimo magistrato che ha emesso il provvedimento opposto, si pongono in contrasto con i principi costituzionali del giusto processo, perché il giudicante può essere indotto a ripercorrere il medesimo iter logico precedentemente seguito in un giudizio che ha ad oggetto la stessa res judicanda, in tal modo vulnerando il diritto del cittadino alla tutela giurisdizionale davanti ad un giudice imparziale, soggetto solo alla legge, autonomo ed indipendente, mediante un processo che si svolge in contraddittorio tra le parti ed in condizione di parità delle stesse;
che nei giudizi di legittimità costituzionale promossi dal Tribunale di Taranto è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo alla Corte di dichiarare inammissibile o infondata la questione sollevata.
Considerato che tutte le ordinanze di rimessione dubitano, con riferimento a parametri in parte coincidenti, della legittimità costituzionale delle disposizioni del codice di procedura civile che regolano il procedimento di opposizione agli atti esecutivi e della mancata previsione dell’obbligo di astensione del giudice dell’esecuzione chiamato a conoscere dell’opposizione agli atti esecutivi, e che per tale motivo i giudizi di legittimità costituzionale devono essere riuniti per essere decisi con unico provvedimento;
che tutti i rimettenti hanno pronunciato, quali giudici dell’esecuzione, i provvedimenti che sono oggetto delle opposizioni delle parti nei giudizi a quibus, e che da tale circostanza essi desumono la violazione delle norme costituzionali indicate nelle ordinanze, e precisamente degli artt. 3, 24, primo comma, 25, 101, secondo comma, 104, primo comma, e 111, secondo comma, della Costituzione;
che tutti i giudici a quibus - preso atto del diritto vivente rappresentato da una consolidata giurisprudenza della Corte di cassazione, secondo cui non sussistono i presupposti per l’astensione dei rimettenti ai sensi dell’art. 51, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., non essendo l’opposizione un diverso grado di un unico processo, ma un processo di cognizione che si inserisce nel processo esecutivo - ritengono che le disposizioni censurate contrastino con il principio costituzionale del giusto processo perché nel giudice che ha emesso il provvedimento oggetto dell’opposizione vi sarebbe la c.d. "forza della prevenzione", qui rappresentata dalla circostanza dell’avere il giudice dell’opposizione già esaminato la medesima res judicanda quale giudice dell’esecuzione;
che la Corte ha ripetutamente affermato che il principio di imparzialità-terzietà della giurisdizione ha pieno valore costituzionale, ma che non possono applicarsi al processo civile ed ai processi amministrativi e tributari i principi elaborati con riferimento al processo penale, e segnatamente alle incompatibilità di cui all’art. 34 del codice procedura penale, diverse essendo natura, struttura e funzione del processo penale, nel quale sussistono i principi dell’obbligatorietà dell’azione in capo ad un organo pubblico, l’indisponibilità della stessa, l’indefettibilità della pronuncia del giudice (sentenze n. 326 del 1997, n. 51 del 1998, n. 363 del 1998 e, da ultimo, n. 78 del 2002);
che questa Corte ha anche stabilito che il processo civile, informato all’operatività del principio dispositivo, si svolge su un piano di parità delle parti secondo il principio del contraddittorio e che il convincimento del giudice subisce di regola la mediazione dell’impulso delle parti (fra le molte, sentenze n. 326 del 1997, n. 51 del 1998, e ordinanza n. 356 del 1997);
che tali principi, ripetutamente affermati in numerose pronunce di questa Corte riguardanti il processo civile e quello amministrativo (fra le molte, ordinanze n. 126 del 1998, n. 304 del 1998, n. 168 del 2000, n. 220 del 2000, n. 167 del 2001), vanno confermati nel caso dell’opposizione agli atti esecutivi, regolata dagli artt. 617 e 618 cod. proc. civ., non essendovi identità di res judicanda tra il processo esecutivo e l’eventuale causa di opposizione, né trattandosi di un’impugnazione in senso proprio, dal momento che il giudice dell’opposizione agli atti esecutivi, anche quando l’atto oggetto di opposizione è costituito da un provvedimento del giudice dell’esecuzione, giudica in un processo a cognizione piena, nel contraddittorio delle parti, sulle cui domande ed eccezioni deve in ogni caso pronunciarsi;
che, esclusa ogni violazione degli artt. 24 e 111, secondo comma, Cost., va osservato che infondata risulta anche la violazione dell’art. 3 Cost. indicato nell’ordinanza del Tribunale di Caltagirone, essendo i profili dimensionali ed organizzativi degli uffici giudiziari estranei al parametro di legittimità costituzionale invocato, risolvendosi essi in constatazioni di mero fatto;
che nessuna attinenza alla fattispecie hanno gli altri parametri indicati dai giudici a quibus in riferimento agli artt. 25, 101 e 104 Cost., non venendo in alcun rilievo, nei casi in esame, questioni relative alla precostituzione del giudice o alla sua soggezione solo alla legge, e tanto meno all’indipendenza dell’ordine giudiziario;
che tutte le questioni di legittimità costituzionale sollevate dalle ordinanze in esame sono quindi manifestamente infondate sotto ogni profilo.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi,
dichiara la manifesta infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale degli artt. 51, primo comma, n. 4, 617, secondo comma, e 618 del codice di procedura civile, sollevate, in riferimento agli artt. 3, 24, primo comma, 25, 101, secondo comma, 104, primo comma, e 111, secondo comma, della Costituzione, dal Tribunale di Taranto, dal Tribunale di Caltagirone, sezione distaccata di Grammichele, e dal Tribunale di Caltagirone con le ordinanze in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 20 novembre 2002.
Cesare RUPERTO, Presidente
Fernanda CONTRI, Redattore
Depositata in Cancelleria il 28 novembre 2002.