ORDINANZA N.167
ANNO 2001
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
- Cesare RUPERTO, Presidente
- Fernando SANTOSUOSSO
- Massimo VARI
- Riccardo CHIEPPA
- Gustavo ZAGREBELSKY
- Valerio ONIDA
- Carlo MEZZANOTTE
- Guido NEPPI MODONA
- Piero Alberto CAPOTOSTI
- Annibale MARINI
- Franco BILE
- Giovanni Maria FLICK
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nei giudizi di legittimità costituzionale degli artt. 98 e 99 del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 (Disciplina del fallimento, del concordato preventivo, dell’amministrazione controllata e della liquidazione coatta amministrativa), promossi con due ordinanze emesse il 18 luglio e il 14 settembre 2000 dal Giudice istruttore del Tribunale di Velletri nei procedimenti civili vertenti tra Benetton Group s.p.a. e il Fallimento Clan Italiana s.r.l. e tra Colarossi Nicolina ed altri e il Fallimento Edilmaria s.r.l., iscritte ai numeri 617 e 742 del registro ordinanze 2000 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 44 e 49, prima serie speciale, dell’anno 2000.
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 26 aprile 2001 il Giudice relatore Annibale Marini
Ritenuto che con due ordinanze di analogo contenuto, emesse il 18 luglio 2000 ed il 14 settembre 2000, il Giudice del Tribunale di Velletri, delegato ai fallimenti delle società Clan Italiana s.r.l. ed Edilmaria s.r.l. e, perciò, istruttore delle cause di opposizione allo stato passivo promosse, in entrambe le procedure, da alcuni creditori esclusi, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 24, 101, 104 e 111 della Costituzione, come modificato, quest’ultimo, dall’art. 1, comma 2, della legge costituzionale 23 novembre 1999, n. 2, questione di legittimità costituzionale degli artt. 98 e 99 del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 (Disciplina del fallimento, del concordato preventivo, dell’amministrazione controllata e della liquidazione coatta amministrativa), "nella parte in cui designano il giudice delegato al fallimento a ricevere e ad istruire, nonchè, indirettamente, a partecipare alla decisione, nei giudizi di opposizione allo stato passivo previsti e disciplinati dalle medesime disposizioni";
che – ad avviso del rimettente – la violazione degli indicati parametri costituzionali risulterebbe palese alla stregua dell’affermazione, contenuta nella sentenza di questa Corte n. 387 del 1999, secondo cui, ai fini dell’obbligo di astensione previsto dall’art. 51, primo comma, numero 4, del codice di procedura civile, l’espressione "altro grado" "deve ricomprendere – con una interpretazione conforme a Costituzione – anche la fase che, in un processo civile, si succede con carattere di autonomia, avente contenuto impugnatorio, caratterizzata (...) da pronuncia che attiene al medesimo oggetto e alle stesse valutazioni decisorie sul merito dell’azione proposta nella prima fase, ancorchè avanti allo stesso organo giudiziario";
che gli enunciati principi sarebbero di per sè comprensivi anche dei rapporti tra decreto di approvazione ed esecutività dello stato passivo nel fallimento e giudizio di opposizione allo stesso ex art. 98 della legge fallimentare, essendo pacifici, da un lato, la natura giurisdizionale ed il contenuto decisorio del suddetto decreto e, dall’altro, il carattere impugnatorio del giudizio di opposizione;
che peraltro al giudice delegato non sarebbe data la possibilità di astenersi, ai sensi del citato art. 51, primo comma, numero 4, cod. proc. civ., in quanto le norme denunciate, di carattere chiaramente speciale, indicherebbero proprio in lui il giudice funzionalmente destinato a ricevere il ricorso in opposizione, ad istruirlo ed a partecipare alla sua decisione quale relatore;
che dette norme si porrebbero in tal modo in contrasto in primo luogo con l’art. 3 Cost., per la disparità di trattamento che si verificherebbe tra gli opponenti allo stato passivo, che si troverebbero a dover coltivare le proprie pretese dinanzi ad un giudice che tali pretese ha già disatteso in altro provvedimento giurisdizionale di natura decisoria ed idoneo alla reiudicata, e tutti gli altri attori di un ordinario giudizio civile;
che le medesime norme contrasterebbero inoltre con l’art. 24 Cost., risultando violato il diritto di difesa dell’opponente dalla necessità che il giudizio si svolga dinanzi ad un giudice privo delle garanzie di imparzialità e terzietà, giudicate da questa stessa Corte "imprescindibili";
che la menomata condizione di terzietà-imparzialità del giudice delegato altererebbe inoltre la soggezione del giudice alla sola legge sancita dall’art. 101 Cost. e le prerogative di autonomia ed indipendenza della funzione giurisdizionale di cui all’art. 104, primo comma, Cost. e si porrebbe infine in contrasto con i principi affermati dal novellato art. 111 Cost.;
che é intervenuto nel secondo dei due giudizi il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, concludendo per la declaratoria di manifesta infondatezza o, in subordine, di infondatezza della questione, in quanto identica a quella già dichiarata non fondata con sentenze n. 94 del 1975 e n. 158 del 1970;
che nelle suddette sentenze si porrebbe in luce come il processo fallimentare sia ispirato al principio della concentrazione presso i suoi organi di ogni controversia che ne deriva, con conseguenti inevitabili collegamenti ed interferenze processuali, non rilevabili tuttavia agli effetti della legittimazione del giudice, "per la prevalente apprezzabile esigenza di portare allo stesso organo giurisdizionale tutto il procedimento e di ridurlo ad unità";
che tali considerazioni resterebbero valide – ad avviso dell’Avvocatura – anche dopo la riforma del processo civile operata dalla legge n. 353 del 1990, tenuto conto della riserva di collegialità riguardante le controversie in tema di opposizione allo stato passivo, verosimilmente ispirata proprio dall’esigenza di mantenere ferma la partecipazione al collegio del magistrato da cui il provvedimento opposto promana, assicurando nel contempo una dialettica interna all’organo stesso;
che la stessa Corte, del resto, dichiarando manifestamente infondata la medesima questione, con ordinanza n. 304 del 1998, ha precisato che condizione necessaria per l’incompatibilità endoprocessuale é la preesistenza di valutazioni ricadenti sulla medesima res iudicanda e che non vi é identità di res iudicanda quando due cognizioni dello stesso fatto siano caratterizzate – come appunto, secondo la parte pubblica, é nella specie - l’una dalla particolare sommarietà e l’altra dalla completezza dell’accertamento effettuato sulla base di tutto il materiale probatorio acquisibile;
che la sentenza n. 387 del 1999 – diversamente da quanto il rimettente mostra di ritenere – non modificherebbe, ad avviso ancora dell’Avvocatura, siffatta impostazione nè il testo novellato dell’art. 111 Cost. introdurrebbe elementi di novità nella questione, essendo il valore costituzionale della terzietà ed imparzialità del giudice indubbiamente già acquisito nella Costituzione vivente e nella stessa giurisprudenza della Corte costituzionale.
Considerato che i due giudizi, avendo ad oggetto la medesima questione, vanno riuniti per essere unitariamente decisi;
che, nel merito, questa Corte, dichiarando identica questione non fondata, con sentenze n. 94 del 1975 e n. 158 del 1970, e manifestamente infondata, con ordinanza n. 304 del 1998, ha escluso qualsiasi incompatibilità tra l’attività istruttoria e decisoria relativa alla causa di opposizione allo stato passivo e quella svolta in precedenza dal giudice delegato per la formazione dello stato passivo;
che appare non pertinente il richiamo, operato dal rimettente, ai principi enunciati nella successiva sentenza n. 387 del 1999, del resto pienamente coerente con la precedente giurisprudenza della Corte in argomento, in quanto la formazione dello stato passivo ad opera del giudice delegato e la pronuncia sulla (eventuale) opposizione al medesimo stato passivo non attengono alle stesse valutazioni decisorie, nè i due provvedimenti sono contraddistinti da una uguale idoneità al giudicato;
che, sotto il primo aspetto, la cognizione del giudice delegato – diversamente da quella, piena, del giudice dell’opposizione – é infatti di carattere sommario e fondata su materiale probatorio di natura esclusivamente cartolare;
che, per quanto riguarda il secondo profilo, alla stregua del diritto vivente, l’efficacia preclusiva dello stato passivo non opposto é di natura meramente endoprocessuale e solo la sentenza resa sulla opposizione é suscettibile di assumere effetti di giudicato;
che l’evocazione dell’ulteriore parametro rappresentato dal novellato art. 111 Cost. non introduce, infine, profili nuovi o diversi di illegittimità costituzionale, essendo la terzietà ed imparzialità del giudice – alla cui stregua la questione é posta – pienamente tutelate nella carta costituzionale, anche anteriormente alla citata novella;
che la questione va pertanto dichiarata manifestamente infondata.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi innanzi alla Corte costituzionale.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi,
dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale degli artt. 98 e 99 del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 (Disciplina del fallimento, del concordato preventivo, dell’amministrazione controllata e della liquidazione coatta amministrativa), sollevata, in riferimento agli artt. 3, 24, 101, 104 e 111 della Costituzione, dal giudice istruttore del Tribunale di Velletri con le ordinanze in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 23 maggio 2001.
Cesare RUPERTO, Presidente
Annibale MARINI, Redattore
Depositata in Cancelleria il 28 maggio 2001.