Sentenza n. 387/99

 CONSULTA ONLINE 

SENTENZA N. 387

ANNO 1999

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Prof.    Giuliano VASSALLI, Presidente

- Prof.    Francesco GUIZZI   

- Prof.    Cesare MIRABELLI            

- Prof. Fernando SANTOSUOSSO               

- Avv.    Massimo VARI                     

- Dott.   Cesare RUPERTO                

- Dott.   Riccardo CHIEPPA             

- Prof.    Gustavo ZAGREBELSKY              

- Prof.    Valerio ONIDA                    

- Prof.    Carlo MEZZANOTTE                     

- Avv.    Fernanda CONTRI               

- Prof.    Guido NEPPI MODONA                

- Prof.    Piero Alberto CAPOTOSTI             

- Prof. Annibale MARINI

ha pronunciato la seguente                  

SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell'art. 51, primo comma, numero 4 e secondo comma, del codice di procedura civile, promossi con ordinanze emesse il 3 aprile 1997, il 28 luglio e il 9 dicembre 1997 dal Pretore di Torino, rispettivamente iscritte ai nn. 402 e 670 del registro ordinanze 1997 ed al n. 182 del registro ordinanze 1998 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 27 e n. 42, prima serie speciale, dell'anno 1997 e n. 13, prima serie speciale, dell'anno 1998.

Visti gli atti di costituzione delle Ferrovie dello Stato s.p.a. e della Federazione Autonoma Lavoratori del Credito e del Risparmio Italiani, nonchè gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 30 giugno 1998 il Giudice relatore Riccardo Chieppa.

Uditi gli Avvocati Paolo Tosi per le Ferrovie dello Stato s.p.a., Sergio Vacirca per la Federazione Autonoma Lavoratori del Credito e del Risparmio Italiani e l'Avvocato dello Stato Luigi Mazzella per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

  1.- Il Pretore di Torino, chiamato a pronunciarsi sull’opposizione al decreto con il quale aveva respinto un ricorso ex art. 28 della legge 20 maggio 1970, n. 300 per repressione di condotta antisindacale, con ordinanza emessa il 9 dicembre 1997 (r.o. n. 182 del 1998), ha sollevato, su eccezione della parte ricorrente, questione di legittimità costituzionale dell’art. 51, primo comma, numero 4, e secondo comma, cod. proc. civ., nella parte in cui non prevede incompatibilità tra le funzioni del giudice pronunciatosi con decreto ex art. 28, primo comma, della predetta legge n. 300, e quelle del giudice dell’opposizione a tale decreto di cui all’art. 28, terzo comma, della stessa legge. Ad avviso del rimettente, tale mancata previsione violerebbe gli artt. 3, primo comma, e 24 della Costituzione.

Sotto il primo profilo, la ordinanza rileva che la ratio della disposizione di cui all’art. 669-terdecies, secondo comma, cod. proc. civ. - che ha introdotto un’ipotesi di incompatibilità del giudice nell’ambito dello stesso grado del processo, quella del reclamo al collegio contro i provvedimenti cautelari adottati dal singolo giudice, consistente nell’evitare il possibile condizionamento psicologico che deriva dalla naturale tendenza a confermare il giudizio già espresso in altro momento decisionale del procedimento - appare estensibile al giudizio di opposizione ex art. 28 della legge n. 300 del 1970, sicchè la differente disciplina adottata per situazioni simili potrebbe costituire violazione del principio di uguaglianza.

Il giudice a quo sospetta poi la lesione del diritto alla tutela giurisdizionale di cui all’art. 24 della Costituzione, che sarebbe originata dalla incompatibilità endoprocessuale dovuta alla duplicazione di giudizi della medesima natura presso lo stesso giudice. Infatti, osserva il Pretore di Torino, il procedimento ex art. 28 della legge n. 300 del 1970 seppure caratterizzato dalla sommarietà, non ha natura cautelare (donde la inapplicabilità, nella specie, delle argomentazioni svolte dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 326 del 1997 sulla non assimilabilità del giudizio di merito a quello cautelare), presupponendo, invece, un accertamento pieno della condotta antisindacale realizzata e che, ciò posto, nel giudizio di opposizione al decreto emesso ex art. 28 le valutazioni cadono sulla medesima res iudicanda.

In punto di rilevanza della questione, il giudice a quo ha motivato con riferimento alla tassatività dei motivi di astensione obbligatoria ex art. 51, primo comma, numero 4, cod. proc. civ., tra i quali non é compreso il caso di specie, non versandosi in un diverso grado di giudizio, ma in una diversa fase dello stesso grado; nonchè con riferimento alla insussistenza dei presupposti per la astensione facoltativa, atteso che i criteri di assegnazione delle cause ai magistrati della sezione lavoro, indicati nelle tabelle di composizione dell’ufficio del rimettente, espressamente prevedono che le cause di opposizione a decreto ex art. 28 della legge n. 300 del 1970 sono assegnate al giudice della prima fase del procedimento.

2.- Nel giudizio si é costituita la Federazione autonoma lavoratori del credito e del risparmio italiani (FALCRI), ricorrente nel procedimento a quo, concludendo per la declaratoria di illegittimità costituzionale della normativa denunciata, con argomentazioni adesive a quelle svolte nell’ordinanza di rimessione.

3.- E’ altresì intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, con il patrocinio dell’Avvocatura generale dello Stato, che ha concluso per la inammissibilità o la infondatezza della questione, osservando che la sussistenza della incompatibilità di un giudice é subordinata alla precedente valutazione di merito sulla medesima fattispecie resa dallo stesso giudice in una diversa fase processuale, mentre, nel caso di specie, mancherebbe una pregressa valutazione di merito sulla medesima res iudicanda, in quanto il procedimento cautelare non tende a decidere il merito della controversia, ma a tutelare temporaneamente il diritto che ne é oggetto dal pregiudizio grave e irreparabile che lo minaccia.

4.- La medesima questione é stata sollevata dal Pretore di Torino con ordinanza emessa il 28 luglio 1997 (r.o. n. 670 del 1997), sulla base di argomentazioni analoghe a quelle già riferite sub 1.

Anche in tale giudizio é intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, che ha concluso per la inammissibilità o la infondatezza della questione.

5.- Con ordinanza emessa in data 3 aprile 1997 (r.o. n. 402 del 1997), nel corso di un giudizio di opposizione a decreto ex art. 28 della legge n. 300 del 1970, nel quale la società ricorrente aveva eccepito la illegittimità costituzionale dell’art. 51, primo comma, numero 4, e secondo comma, cod. proc. civ., in riferimento all’art. 24, secondo comma, della Costituzione, per la mancata previsione della incompatibilità del giudice che abbia provveduto alla emissione del decreto in materia di repressione della condotta antisindacale alla trattazione del merito della causa promossa in opposizione al medesimo decreto, il Pretore di Torino ha ritenuto la non manifesta infondatezza della questione, tenuto conto sia della causa di incompatibilità enucleata dal giudice delle leggi in materia processuale penale, rappresentata dalla c.d. forza della prevenzione, sia dei riflessi di essa quanto al processo civile. Peraltro, il giudice a quo rimette alla Corte la valutazione se i principi elaborati con riferimento al processo penale che, a detta dello stesso rimettente, avrebbero di fatto contribuito a paralizzare il meccanismo processuale, siano da estendere anche al procedimento civile. Il Pretore ha rilevato che il processo, oltre che giusto, deve essere possibile, mentre l’accoglimento della impostazione della difesa della società ricorrente, si osserva ancora nella ordinanza, rischia di introdurre nella gestione degli uffici, già appesantita da lentezze di varia natura, nuove difficoltà.

6.- Nel giudizio si é costituita la società Ferrovie dello Stato, ricorrente nel procedimento a quo, che ha concluso per la declaratoria di illegittimità costituzionale della normativa impugnata, osservando che la questione deve essere risolta prescindendo dalle conseguenze che potrebbero derivare dalla sentenza di accoglimento relativamente alla funzionalità degli uffici giudiziari.

E’ intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, con il patrocinio dell’Avvocatura generale dello Stato, che ha concluso per la inammissibilità o la infondatezza della questione.

7.- Nell’imminenza dell’udienza é stata depositata una memoria nell’interesse delle Ferrovie dello Stato s.p.a., parte costituita nel giudizio introdotto con ordinanza r.o. n. 402 del 1997, con la quale si insiste per l’accoglimento della questione, sottolineando la diversità di essa rispetto sia a quella dichiarata manifestamente infondata dalla Corte con l’ordinanza n. 356 del 1997, sia rispetto a quella dichiarata non fondata con la sentenza n. 326 del 1997.

La fattispecie portata all’esame odierno della Corte sarebbe, sempre ad avviso delle Ferrovie, invece, analoga a quelle che hanno condotto alla dichiarazione di illegittimità costituzionale dell’art. 34, secondo comma, cod. proc. pen., con particolare riferimento alla preesistenza di valutazioni, in relazione al merito del giudizio, che cadrebbero sulla medesima res iudicanda.

Quanto alle paventate difficoltà di ordine pratico che potrebbero nascere dalla estensione al processo civile dei principi sulla incompatibilità già affermati dalla Corte costituzionale con riguardo al processo penale, nella memoria si afferma che esse potrebbero essere superate con la legge n. 254 del 1997 sulla istituzione del giudice unico di primo grado, che ha attuato una riforma strettamente connessa, per riconoscimento dello stesso Consiglio superiore della magistratura, proprio con il tema della incompatibilità del giudice.

Considerato in diritto

  1.- Le questioni sottoposte all’esame della Corte da tre ordinanze del Pretore di Torino riguardano l’art. 51, primo comma, numero 4, e secondo comma, cod. proc. civ., nella parte in cui non prevede la incompatibilità tra le funzioni del giudice pronunciatosi con decreto ex art. 28, primo comma, della legge 20 maggio 1970, n. 300, e quelle del giudice dell’opposizione a tale decreto di cui all’art. 28, terzo comma, della stessa legge.

Viene denunciata la violazione dell’art. 3, primo comma, della Costituzione, per la irragionevole diversità di disciplina rispetto all’ipotesi, del tutto simile, prevista dall’art. 669-terdecies, secondo comma, cod. proc. civ., che ha introdotto un caso di incompatibilità del giudice nell’ambito dello stesso grado del processo (questione sollevata con ordinanze r.o. nn. 182 e 670 del 1997).

Inoltre viene denunciata la violazione dell’art. 24 della Costituzione, per la lesione del diritto alla tutela giurisdizionale, sotto il profilo di esclusione della imparzialità del giudice (questione sollevata con le ordinanze r.o nn. 182, 670 e 402 del 1997, nella quale ultima si invoca specificamente il secondo comma dell’art. 24 della Costituzione).

2.- Preliminarmente deve essere disposta la riunione dei tre giudizi stante l’identità della norma oggetto del giudizio di legittimità costituzionale e la connessione dei profili denunciati.

3.- Il profilo che logicamente per primo deve essere affrontato é quello - prospettato dalla ordinanza n. 402 del 1997 e sviluppato dalla memoria delle Ferrovie dello Stato s.p.a. - della applicabilità alla fattispecie, riguardante l’opposizione a decreto di cui all’art. 28, terzo comma, della legge 20 maggio 1970, n. 300, per repressione di condotta antisindacale, dei principi elaborati con riferimento all’art. 34 del codice di procedura penale in ordine alla incompatibilità del giudice per effetto della prevenzione, per avere lo stesso giudice emesso un precedente provvedimento nel merito nella stessa causa.

La Corte ha ripetutamente affermato che non sono applicabili al giudizio civile ed a quello amministrativo, proprio per la particolarità e le diversità dei sistemi processuali, le regole delle incompatibilità soggettive per precedente attività (tipizzata) svolta nello stesso procedimento penale, bensì le disposizioni sull'astensione e la ricusazione del codice di procedura civile, cui anche le norme proprie del processo amministrativo fanno rinvio (v., per le peculiarità dei sistemi processuali, sentenza n. 326 del 1997). Le insopprimibili esigenze di imparzialità del giudice sono risolvibili nel processo civile - per le sue caratteristiche - attraverso gli istituti della astensione e della ricusazione, previsti dal codice di procedura civile (ordinanze nn. 359 del 1998 e 356 del 1997 e sentenza n. 326 del 1997).

  4.- La Corte ha avuto occasione di notare che il principio di imparzialità-terzietà della giurisdizione ha pieno valore costituzionale con riferimento a qualunque tipo di processo, in relazione specifica al quale, peraltro, può e deve trovare attuazione (sentenze n. 51 del 1998; n. 326 del 1997), pur tuttavia con le peculiarità proprie di ciascun tipo di procedimento, dovendosi ancora una volta ribadire la netta distinzione fra processo civile e processo penale: per la diversa posizione e i differenti poteri di impulso delle parti.

Di modo che - ferma l'esigenza generale di assicurare che sempre il giudice rimanga, ed anche appaia, del tutto estraneo agli interessi oggetto del processo - le soluzioni per garantire un giusto processo non devono seguire linee direttive necessariamente identiche per i due tipi di processo.

Infatti, é stato rilevato (sentenza n. 341 del 1998) che le situazioni pregiudicanti descritte dall'art. 34 cod. proc. pen. sono "tipicamente individuate dal legislatore in base alla presunzione che siano di per sè incompatibili con l'esercizio di ulteriori funzioni giurisdizionali nel medesimo procedimento, a prescindere dalle modalità con cui la funzione é stata svolta, ovvero dal concreto contenuto dell'atto preso in considerazione" (sentenza n. 351 del 1997; v. anche le sentenze nn. 306, 307 e 308 del 1997).

La medesima soluzione non é stata adottata dal legislatore per il processo civile, per il quale vige un peculiare sistema procedurale caratterizzato da una diversa posizione delle parti, che si possono avvalere di particolari poteri di difesa, di modo che appare non arbitraria la diversa scelta di garantire la imparzialità-terzietà del giudice nel processo civile solo attraverso gli istituti dell’astensione e ricusazione.

  5.- La Corte, chiamata a pronunciarsi sulla legittimità costituzionale dell'art. 28, ultimo comma, della legge 20 maggio 1970, n. 300 (Norme sulla tutela della libertà e dignità dei lavoratori, della libertà sindacale e dell'attività sindacale nei luoghi di lavoro e norme sul collocamento), come novellato dall'art. 6 della legge 12 giugno 1990, n. 146 (Norme sull'esercizio del diritto di sciopero nei servizi pubblici essenziali e sulla salvaguardia dei diritti della persona costituzionalmente tutelati. Istituzione della Commissione di garanzia dell'attuazione della legge), nell’ipotesi in cui il comportamento antisindacale sia addebitabile ad una amministrazione statale o ad altro ente pubblico non economico e con competenza attribuita al giudice amministrativo (decreto del Tribunale amministrativo regionale ed opposizione nei confronti del decreto davanti allo stesso tribunale), ha ritenuto che tale disposizione ha il solo scopo di determinare uno spostamento della competenza giurisdizionale da quella ordinariamente prevista per la repressione della condotta antisindacale, attribuita al Pretore. La Corte ha peraltro escluso che vi fosse alcun vincolo nella composizione del collegio giudicante in sede di opposizione avverso il decreto, e una qualsiasi preclusione di una eventuale astensione o ricusazione (ordinanza n. 356 del 1997).

  Nella anzidetta ordinanza venivano presupposte sia la valenza costituzionale dell’obbligo di astensione, sia l’esistenza dei poteri-doveri presidenziali di assegnazione dei ricorsi alle singole udienze e ai relatori, con consequenziale determinazione del collegio, nonchè l’applicazione delle normali regole relative alla imparzialità del giudice attraverso gli istituti della astensione e della ricusazione.

Ed appunto la indicazione della via della doverosa astensione e conseguente possibilità di ricusazione deve trovare, per la fattispecie in discussione, il supporto normativo nella previsione dell’art. 51, numero 4, cod. proc. civ.

Infatti, sul piano generale, esigenza imprescindibile, rispetto ad ogni tipo di processo, é solo quella di evitare che lo stesso giudice, nel decidere, abbia a ripercorrere l'identico itinerario logico precedentemente seguito; sicchè, condizione necessaria per dover ritenere una incompatibilità endoprocessuale é la preesistenza di valutazioni che cadano sulla stessa res iudicanda (cfr. sentenza n. 131 del 1996).

Nel processo civile la previsione contenuta nell'art. 51, numero 4, cod. proc. civ., secondo il quale il giudice ha l'obbligo di astenersi "se ha conosciuto (della causa) come magistrato in altro grado del processo" trova fondamento nella "esigenza stessa di garanzia che sta alla base del concetto di revisio prioris instantiae", che postula l'alterità del giudice dell'impugnazione, il quale si trova - per via del carattere del mezzo di gravame - a dover ripercorrere l'itinerario logico che é stato già seguito onde pervenire al provvedimento impugnato (ordinanza n. 359 del 1998; sentenza n. 326 del 1997).

Nel sistema originario del procedimento di repressione della condotta antisindacale, nel quale era prevista una fase davanti al Pretore, il quale decideva in ordine alla richiesta di emissione del decreto ex art. 28 della legge n. 300 del 1970, ed una eventuale opposizione avanti al Tribunale, non si poteva dubitare della sussistenza di una duplicità di fasi processuali, la seconda delle quali avanti al Tribunale assumeva tutte le caratteristiche di un ulteriore grado di giudizio.

Pertanto, la fattispecie rientrava all'evidenza nell’ambito della previsione dell’art. 51, numero 4, cod. proc. civ., avuto riguardo anche alla considerazione che il provvedimento ex art. 28 cit. aveva una funzione decisoria idonea di per sè a realizzare un assetto dei rapporti tra le parti, non meramente incidentale o strumentale e provvisorio ovvero interinale (fino alla decisione del merito), ma anzi suscettibile - in caso di mancata opposizione - di assumere valore di pronuncia definitiva, con effetti di giudicato tra le parti.

Nello stesso tempo la valutazione delle condizioni che legittimano il provvedimento ex art. 28 non divergeva - quanto a parametri di giudizio - da quella che deve compiere il giudice dell’eventuale opposizione, se non per il carattere del contraddittorio e della cognizione sommaria; allo stesso modo, risultando identici l’oggetto e il presupposto dell’azione di tutela contro la condotta antisindacale nelle due fasi, la seconda di esse assumeva valore impugnatorio con contenuto sostanziale di revisio prioris instantiae.

6.- Il rapporto tra le due fasi, sotto il profilo della imparzialita-terzietà del giudice, non può, ora, ritenersi mutato per il semplice sopravvenuto intervento di modifica (legge 8 novembre 1977, n. 847, art. 3, sostitutivo del terzo comma dell’art. 28 della legge n. 300 del 1970) della sola norma sulla competenza con la riunificazione di questa in capo al giudice monocratico, essendo rimaste identiche le norme relative ai poteri del giudice nelle diverse fasi, ai presupposti delle pronunce, nonchè agli effetti e alle altre regole dello speciale procedimento.

7.- Ancora, non può costituire ostacolo ad una applicazione, nelle fasi del procedimento di repressione di condotta antisindacale, della regola della alterità del giudice dell’impugnazione la dizione del codice di procedura del 1942, cioé "magistrato in altro grado del processo". Tale espressione deve, infatti, intendersi alla luce dei principi che si ricavano dalla Costituzione relativi al giusto processo, come espressione necessaria del diritto ad una tutela giurisdizionale mediante azione (art. 24 della Costituzione) avanti ad un giudice con le garanzie proprie della giurisdizione, cioé con la connaturale imparzialità, senza la quale non avrebbe significato nè la soggezione dei giudici solo alla legge (art. 101 della Costituzione), nè la stessa autonomia ed indipendenza della magistratura (art. 104, primo comma, della Costituzione).

In altri termini, la espressione "altro grado" non può avere un ambito ristretto al solo diverso grado del processo, secondo l’ordine degli uffici giudiziari, come previsto dall’ordinamento giudiziario, ma deve ricomprendere - con una interpretazione conforme a Costituzione - anche la fase che, in un processo civile, si succede con carattere di autonomia, avente contenuto impugnatorio, caratterizzata (per la peculiarità del giudizio di opposizione di cui si discute) da pronuncia che attiene al medesimo oggetto e alle stesse valutazioni decisorie sul merito dell’azione proposta nella prima fase, ancorchè avanti allo stesso organo giudiziario.

8.- Infine, non può impedire la anzidetta interpretazione dell’art. 51, numero 4, cod. proc. civ., la circostanza che l’ufficio giudiziario rimettente abbia dei criteri di assegnazione delle cause ai magistrati della sezione del lavoro, espressi nelle tabelle periodiche, nel senso della identità del giudice delle due fasi, posto che una determinazione organizzatoria-amministrativa, non può derogare a principi contenuti nelle norme processuali e costituzionali, dovendo il giudice disapplicarla - in quanto priva di forza di legge - se in contrasto con detti principi.

  Del resto, altri uffici giudiziari, sulla base di diverse tabelle debitamente approvate, hanno da tempo applicato criteri del tutto conformi ai principi costituzionali sopraindicati, disponendo l’assegnazione delle cause di opposizione a decreto ex art. 28 della legge n. 300 del 1970 sulla base degli ordinari criteri, con esclusione specifica del giudice del primo procedimento.

Tantomeno può valere ad escludere l’anzidetta interpretazione la considerazione di possibili rischi di lentezze e difficoltà nella gestione degli uffici giudiziari, poichè deve ritenersi assolutamente preminente il principio costituzionale della imparzialità del giudice, da attuarsi nel processo civile per mezzo dell’istituto dell’astensione e ricusazione. D'altro canto, le prospettate difficoltà, mentre risultano già all’epoca smentite dalla pacifica attuazione dei principi anzidetti in uffici giudiziari con dimensioni di procedimenti tutt’altro che insignificanti, sono ormai del tutto trascurabili a seguito della istituzione del giudice unico di primo grado, che consentirà una possibilità di scelta più ampia tra magistrati cui assegnare la seconda fase del procedimento a seguito di opposizione.

9.- In definitiva, la questione deve essere dichiarata infondata sotto tutti i profili denunciati dalle tre ordinanze del Pretore di Torino, essendo l’interprete tenuto ad una esegesi costituzionalmente corretta della norma denunciata, tale da ricomprendere, tra le ipotesi, dalla stessa contemplate, di obbligo di astensione del giudice per avere conosciuto della causa in un altro grado, quella dell’opposizione a decreto dallo stesso emesso ex art. 28, primo comma, della legge n. 300 del 1970.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi,

dichiara non fondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 51, primo comma, numero 4, e secondo comma, del codice di procedura civile sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, dal Pretore di Torino con le ordinanze indicate in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l'11 ottobre 1999.

Renato GRANATA, Presidente

Riccardo CHIEPPA, Redattore

Depositata in cancelleria il 15 ottobre 1999.