Sentenza n. 206 del 2002

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SENTENZA  N.206

ANNO 2002

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Massimo                                    VARI                       Presidente

- Riccardo                                   CHIEPPA                  Giudice       

- Gustavo                                    ZAGREBELSKY               "

- Valerio                                      ONIDA                               "

- Carlo                                         MEZZANOTTE                  "

- Fernanda                                   CONTRI                              "

- Guido                                        NEPPI MODONA              "

- Piero Alberto                            CAPOTOSTI                       "

- Annibale                                   MARINI                              "

- Franco                                       BILE                                    "

- Giovanni Maria                         FLICK                                 "

ha pronunciato la seguente                                                

SENTENZA

 

nel giudizio per conflitto  di attribuzione tra poteri dello Stato sorto a seguito della delibera della Camera dei deputati del 15 dicembre 1998 relativa alla insindacabilità delle opinioni espresse dall'on.le Tiziana Parenti, relativamente alle dichiarazioni rese il 4 e il 9 novembre 1994 agli ispettori del Ministero di grazia e giustizia nell'ambito dell'inchiesta sulla Procura della Repubblica presso  il Tribunale di Milano, promosso con ricorso del Tribunale  di Roma -  5^ sezione penale - notificato il 18 maggio 2000, deposito in Cancelleria il 24 successivo  ed iscritto al n. 25 del registro conflitti 2000.

Visto l'atto di costituzione della Camera dei deputati;

udito nell'udienza pubblica del 3 luglio 2001 il Giudice relatore Valerio Onida;

udito l'avvocato Roberto Nania per la Camera dei deputati.

Ritenuto in fatto

 

1.- Con atto depositato il 9 novembre 1999 il Tribunale di Roma, quinta sezione penale, nel corso del dibattimento a carico del deputato Tiziana Parenti per il reato di calunnia ai danni di due magistrati, ha sollevato conflitto di attribuzione nei confronti della Camera dei deputati avverso la deliberazione con la quale l’Assemblea, in data 15 dicembre 1998, ha dichiarato, ai sensi dell’art. 68, primo comma, della Costituzione, che i fatti ascritti alla parlamentare concernono opinioni espresse da un membro del Parlamento nell’esercizio delle sue funzioni.

I fatti oggetto del procedimento, espone il ricorrente, come emergono dal capo di imputazione, consistono nelle dichiarazioni rese il 4 e 9 novembre 1994 agli ispettori del Ministero di grazia e giustizia, nell’ambito di un’inchiesta sull’attività dei magistrati della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Milano, dall’on. Parenti, che avendo fatto parte di quell'ufficio nel periodo oggetto dell’inchiesta, era stata ascoltata perché riferisse fatti e circostanze  relativi alle c.d. indagini di "mani pulite".

Premette il Tribunale: a) che la posizione dell’on. Parenti dinanzi all’autorità ispettiva sarebbe assimilabile a quella di persona informata sui fatti nell’ambito di un procedimento giudiziario, in quanto ella rappresentava fatti e comportamenti riconducibili a sé medesima ed ai suoi ex colleghi, in qualità di testimone con i conseguenti obblighi; b) che le dichiarazioni sarebbero state rese in un contesto avulso, sia cronologicamente che sostanzialmente, dall’attività svolta in qualità di parlamentare, atteso che l’indagine ispettiva era diretta ad accertare la "verità dei fatti", e non la "visione politica degli stessi"; non sarebbe, pertanto, - osserva ancora il Tribunale  - condivisibile la conclusione cui è giunta la Camera dei deputati nella delibera impugnata (andando di contrario avviso rispetto a quanto espresso dalla Giunta per le autorizzazioni a procedere nella relazione trasmessa il 22 luglio 1998), secondo la quale l’on. Parenti rispose agli ispettori non spogliandosi della propria funzione parlamentare, ma anzi fornendo dati e circostanze con un taglio precipuamente politico.

Ad avviso del ricorrente, perché il Parlamento possa "bloccare" un procedimento a carico di un suo membro davanti ad un giudice ordinario occorrerebbe che la condotta oggetto del giudizio sia legata con un nesso funzionale alle attribuzioni tipiche del mandato parlamentare (vengono richiamate, in proposito, le sentenze n. 329 del 1999 e n. 289 del 1998), non essendo sufficiente, per sottrarla al sindacato giurisdizionale, "né un mero criterio cronologico (riferito al tempo in cui la condotta è posta in essere), né una generica motivazione politica della condotta" stessa.

Alla luce di tali rilievi, il giudice ricorrente ritiene che la Camera dei deputati abbia illegittimamente deliberato la insindacabilità, ai sensi dell’art. 68, primo comma, della Costituzione, della condotta tenuta dall’on. Parenti nell’ambito della ispezione ministeriale, relativamente alle dichiarazioni rese agli ispettori il 4 e 9 novembre 1994.

2.- Il conflitto è stato dichiarato, in sede di delibazione senza contraddittorio a norma dell’art. 37, terzo e quarto comma, della  legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale) ammissibile dalla Corte con ordinanza n. 140 del 2000; il ricorso, unitamente a detta ordinanza, è stato notificato alla Camera dei deputati il 18 maggio 2000, e depositato il successivo 24 maggio.

3.- Si è costituita in giudizio la Camera dei deputati, chiedendo, in via preliminare, di dichiarare il conflitto irricevibile o inammissibile; in subordine, e nel merito, di dichiarare che spettava alla Camera affermare l’insindacabilità, a norma dell’art. 68, primo comma, della Costituzione, delle opinioni espresse dalla on. Parenti nel novembre 1994 in occasione del procedimento ispettivo concernente la Procura di Milano.

Un primo motivo di inammissibilità viene individuato nel fatto che l’atto introduttivo del conflitto non è sottoscritto da ciascuno dei componenti del collegio, come sarebbe prescritto dall’art. 26 delle norme integrative (viene richiamata, in proposito, la sentenza n. 10 del 2000); l’incompletezza della sottoscrizione si tradurrebbe, altresì, in carenza di legittimazione del ricorrente, che solo nella sua interezza di organo giurisdizionale collegiale potrebbe qualificarsi "organo competente a dichiarare la volontà del potere cui appartiene" ex art. 37, primo comma, della legge n. 87 del 1953.

Un secondo motivo di inammissibilità risiederebbe nella circostanza che l’atto introduttivo è sprovvisto della denominazione tanto di ordinanza che di ricorso, sicché non apparirebbe riconducibile ad alcuna categoria di atti introduttivi di giudizio davanti a questa Corte; la notificazione dell’atto, poi, non sarebbe valida, in difetto dell’ordine del giudice alla cancelleria di procedere alla notificazione stessa.

Inoltre, il ricorso sarebbe inammissibile perché l’atto introduttivo non conterrebbe la "richiesta di una pronuncia che dichiari non spettare alla Camera la valutazione contenuta nella deliberazione impugnata, e che annulli quest’ultima", né l’indicazione delle norme costituzionali che regolano la materia  - non essendo sufficiente la citazione dell’art. 68, primo comma, della Costituzione -, né le ragioni alla base del conflitto, atteso che esso non dà conto dei contenuti delle dichiarazioni rese dalla parlamentare; a tale omissione non potrebbe ovviare il riferimento ai capi di imputazione nel processo penale in corso, ove si consideri quanto prescritto dall’art. 26 delle norme integrative, e quanto disposto dall’ordinanza n. 140 del 2000, di ammissibilità del presente conflitto, che ha ritenuto irrituale la trasmissione alla Corte degli atti del procedimento penale, disponendone la restituzione al Tribunale ricorrente.

Nel merito, la Camera contesta i motivi dedotti relativi alla anteriorità dei fatti, rispetto all’assunzione dello status di parlamentare, e alla circostanza che le dichiarazioni siano state rese nel corso di un’inchiesta disciplinare, ovvero in sede di testimonianza penale, e sostiene che lo stesso resoconto dei fatti, indipendentemente dalle valutazioni personali, sarebbe idoneo ad integrare la nozione di "opinioni espresse", e ad attivare la guarentigia dell’insindacabilità; né potrebbe condividersi l’idea che talune sedi extraparlamentari, come nella specie l’inchiesta disciplinare, comportino la dismissione della veste di parlamentare.

Ciò posto, la difesa della Camera dei deputati - dopo aver ricordato la giurisprudenza di questa Corte (sentenze n. 11 del 2000 e n. 417 del 1999) secondo la quale possono considerarsi espresse nell’esercizio delle funzioni parlamentari non solo le opinioni contenute in atti svolti all’interno dei vari organi parlamentari e paraparlamentari, ma anche quelle espresse extra moenia, purché inerenti all’esercizio di tali funzioni - deduce che le dichiarazioni in esame rientrerebbero nell’ambito della guarentigia costituzionale, con ampie argomentazioni.

4.- In una successiva memoria la Camera dei deputati, insistendo nelle conclusioni già rassegnate e riproponendo gli argomenti già dedotti, ha, in particolare, sottolineato, in ordine all’ammissibilità del conflitto, come il ricorso non contenga alcuna indicazione circa il contenuto delle dichiarazioni del parlamentare di cui si dovrebbe stabilire l’appartenenza alla sfera della insindacabilità.

Tale carenza, sempre secondo la difesa della Camera dei deputati, vertendo sull’elemento del conflitto che assume priorità logica (rispetto alle censure alla delibera di insindacabilità), renderebbe indecifrabile l’intero atto introduttivo, perché precluderebbe la possibilità di apprezzare la correlazione fra dichiarazioni esterne e attività politico-parlamentare, venendo a mancare uno dei termini di tale correlazione.

Considerato in diritto

 

 1.- Preliminarmente devono essere esaminate le eccezioni di inammissibilità del ricorso, avanzate dalla difesa della Camera dei deputati in questa seconda fase del conflitto.

Non è fondata l’eccezione relativa alla mancanza nell’atto introduttivo della sottoscrizione di tutti i componenti dell’organo collegiale: come questa Corte ha già affermato (sentenza n. 321 del 2000), per la validità dell’atto introduttivo del ricorso per conflitto promosso da un organo collegiale, nella specie giudiziario, è sufficiente la sottoscrizione del Presidente dello stesso, che lo rappresenta.

Parimenti è infondata l’eccezione desunta dall'assenza di ogni intitolazione dell’atto introduttivo: il ricorso è valido, indipendentemente dalla sua  autoqualificazione, in quanto contenga gli elementi essenziali che lo devono caratterizzare per legge (sentenze n. 11 e n. 10 del 2000).

A una  diversa conclusione la Corte perviene in relazione alla deduzione da parte della Camera dei deputati della mancanza, nell’atto introduttivo, di una valida domanda volta ad ottenere una pronuncia che dichiari non spettare alla Camera la valutazione contenuta nella deliberazione impugnata, e che annulli quest’ultima, e di una compiuta prospettazione del thema decidendum.

Alla luce dell’indirizzo interpretativo affermato con le sentenze  n. 364n. 363 del 2001; n. 31 e n. 15 del  2002, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile. Infatti, l’atto introduttivo, pur contenendo gli elementi indispensabili per la identificazione delle <>, difetta  di una compiuta prospettazione del thema decidendum. Manca, nella specie, una domanda  consistente nella sostanziale richiesta di una pronuncia della Corte che dichiari non spettare alla Camera di appartenenza la valutazione contenuta nella delibera impugnata con  conseguente annullamento della  stessa delibera;

Ne consegue l’inammissibilità del ricorso per conflitto in quanto carente dei suoi requisiti essenziali.

PER QUESTI MOTIVI

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara inammissibile il ricorso per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato di cui in epigrafe, proposto dal Tribunale di Roma, 5^ sezione penale, nei confronti della Camera dei deputati.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 20 maggio 2002.

Massimo VARI, Presidente

Riccardo CHIEPPA, Redattore

Depositata in Cancelleria il 23 maggio 2002.