ORDINANZA N. 101
ANNO 2002
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
- Massimo VARI, Presidente
- Riccardo CHIEPPA
- Gustavo ZAGREBELSKY
- Valerio ONIDA
- Carlo MEZZANOTTE
- Fernanda CONTRI
- Guido NEPPI MODONA
- Piero Alberto CAPOTOSTI
- Annibale MARINI
- Franco BILE
- Giovanni Maria FLICK
- Francesco AMIRANTE
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 34, comma 2, del codice di procedura penale, promosso, nell'ambito di un procedimento penale, dal Tribunale di Biella con ordinanza emessa il giorno 11 ottobre 2000, iscritta al n. 599 del registro ordinanze 2001 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 33, prima serie speciale, dell'anno 2001.
Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 27 febbraio 2002 il Giudice relatore Guido Neppi Modona.
Ritenuto che il Tribunale di Biella ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 24 e 111, secondo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 34, comma 2, del codice di procedura penale, nella parte in cui non prevede l’incompatibilità alla funzione di giudizio del giudice del dibattimento che abbia rigettato la richiesta di giudizio abbreviato subordinata, a norma dell'art. 438, comma 5, cod. proc. pen., ad una integrazione probatoria;
che il rimettente premette che, prima dell'apertura del dibattimento, la difesa degli imputati aveva formulato, ai sensi degli artt. 438, comma 5, e 555, comma 2, cod. proc. pen., richiesta di giudizio abbreviato subordinata alla ammissione di una nuova perizia contabile;
che tale richiesta era stata respinta, in quanto la prova era stata ritenuta non necessaria ai fini della decisione e incompatibile con le finalità di economia processuale del rito;
che il giudice a quo rileva che, avendo dovuto necessariamente esaminare gli atti del fascicolo del pubblico ministero per effettuare tale valutazione, è venuto a trovarsi in una situazione del tutto analoga a quella del giudice del dibattimento che, a seguito del rigetto di una richiesta di applicazione della pena, é incompatibile alla funzione di giudizio per effetto della sentenza n. 186 del 1992 della Corte costituzionale;
che, ad avviso del rimettente, in entrambe le ipotesi il giudice deve infatti <<procedere approfonditamente ad esame e valutazione degli atti del fascicolo del P.M.>> ed <<entrare nel merito del processo>>, nell'un caso per accertare se la richiesta di integrazione probatoria sia necessaria ai fini della decisione, nell'altro per valutare la fondatezza della richiesta di applicazione della pena;
che la mancata previsione della incompatibilità nella ipotesi considerata si porrebbe in contrasto con l'art. 3 Cost. per la diversità di trattamento cui vengono assoggettate due situazioni del tutto analoghe e con gli artt. 24 e 111, secondo comma, Cost. per violazione del principio secondo cui il processo si svolge davanti a un giudice terzo e imparziale;
che nel giudizio é intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione venga dichiarata inammissibile e comunque infondata, in base al rilievo che l'incompatibilità a partecipare al giudizio é determinata da una preventiva valutazione in ordine alla responsabilità dell'imputato, e non dalla mera conoscenza degli atti.
Considerato che il rimettente, giudice del dibattimento che nel corso degli atti preliminari ha respinto la richiesta di giudizio abbreviato subordinata ad una integrazione probatoria, ritiene di trovarsi in una situazione di incompatibilità assimilabile a quella individuata da questa Corte con la sentenza n. 186 del 1992 in relazione alla ipotesi del giudice del dibattimento che abbia in precedenza respinto la richiesta di applicazione della pena, e pertanto denuncia il contrasto dell'art. 34, comma 2, del codice di procedura penale con gli artt. 3, 24 e 111, secondo comma, della Costituzione, per il diverso trattamento riservato a casi del tutto analoghi e per la violazione dei principi della terzietà e imparzialità del giudice;
che nel richiamarsi alla sentenza n. 186 del 1992 il giudice a quo omette di considerare che già in quella occasione la Corte ha messo in rilievo la differenza tra il rigetto della richiesta di applicazione della pena, che <<comporta quanto meno una valutazione negativa circa l'esistenza delle condizioni legittimanti il proscioglimento ex art. 129 cod. proc. pen.>> e determina quindi un pregiudizio per l'imparzialità del giudice, e la valutazione circa la definibilità del giudizio allo stato degli atti (condizione di ammissibilità del rito abbreviato alla stregua della disciplina allora vigente), che si sostanzia in <<una decisione di natura meramente processuale, per ciò stesso inidonea a dar luogo ad un "pre-giudizio" rispetto alla decisione di merito>>;
che tali rilievi valgono a maggior ragione in ordine alla nuova disciplina del giudizio abbreviato introdotta dalla legge 16 dicembre 1999, n. 479, in base alla quale il giudice, a fronte di una richiesta di giudizio abbreviato subordinata ad una integrazione probatoria, é chiamato a stabilire soltanto se la prova sia necessaria ai fini della decisione e compatibile con le finalità di economia processuale proprie del procedimento, operando così una valutazione che non implica alcun giudizio di merito in ordine alla responsabilità dell'imputato;
che, quanto alla conoscenza degli atti del fascicolo del pubblico ministero, nella quale il rimettente individua la causa del pregiudizio per l'imparzialità del giudice, questa Corte ha ripetutamente affermato che tale conoscenza é ininfluente ai fini della incompatibilità con la funzione di giudizio ove non accompagnata da una valutazione contenutistica, di merito, sui risultati delle indagini preliminari (v. tra le tante, oltre alla menzionata sentenza n. 186 del 1992, sentenze n. 131 del 1996, n. 455 del 1994, n. 502 del 1991, nonchè ordinanza n. 152 del 1999);
che, infine, in merito alla censura mossa alla disposizione impugnata sotto il profilo della violazione dei principi della terzietà e imparzialità del giudice, é già stato osservato che la nuova formulazione dell’art. 111 Cost. <<non innova sostanzialmente rispetto ai principi già desumibili dagli a suo tempo invocati artt. 24 e 3 della Costituzione, quali interpretati dalla giurisprudenza di questa Corte>> (ordinanza n. 112 del 2001; v. inoltre sentenza n. 283 del 2000 e ordinanza n. 167 del 2001);
che la questione va pertanto dichiarata manifestamente infondata.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 34, comma 2, del codice di procedura penale, sollevata, in riferimento agli artt. 3, 24 e 111, secondo comma, della Costituzione, dal Tribunale di Biella, con l'ordinanza in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l'8 aprile 2002.
Massimo VARI, Presidente
Guido NEPPI MODONA, Redattore
Depositata in Cancelleria il 10 aprile 2002.