ORDINANZA N. 574
ANNO 2000
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
- Fernando SANTOSUOSSO, Presidente
- Massimo VARI
- Riccardo CHIEPPA
- Gustavo ZAGREBELSKY
- Valerio ONIDA
- Carlo MEZZANOTTE
- Fernanda CONTRI
- Guido NEPPI MODONA
- Piero Alberto CAPOTOSTI
- Annibale MARINI
- Franco BILE
- Giovanni Maria FLICK
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 444, comma 2, del codice di procedura penale, promosso, nell’ambito di un procedimento penale, con ordinanza emessa il 25 maggio 1999 dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Venezia, iscritta al n. 627 del registro ordinanze 1999 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 46, prima serie speciale, dell’anno 1999.
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 29 novembre 2000 il Giudice relatore Guido Neppi Modona.
Ritenuto che il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Venezia ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 13, primo comma, 25, secondo comma, 27, primo, secondo e terzo comma, 76 e 112 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 444, comma 2, del codice di procedura penale, «nella parte in cui prevede che il giudice applica la pena indicata dalla parte della quale non abbia valutato e ritenuto la penale responsabilità»;
che il rimettente premette di essere investito, in qualità di giudice dell'esecuzione, della richiesta del pubblico ministero di revoca della sospensione condizionale della pena di dieci mesi di reclusione e lire 2.600.000 di multa, inflitta con sentenza di applicazione della pena del Tribunale di Vicenza in data 22 novembre 1995 a soggetto al quale, con sentenza del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Venezia in data 18 novembre 1998, divenuta esecutiva il 4 gennaio 1999, era stata applicata, sempre ex art. 444 cod. proc. pen., la pena di un anno e sei mesi di reclusione per reati commessi nel giugno 1993 e nel gennaio 1994;
che la seconda sentenza di applicazione della pena, intervenuta nei cinque anni dalla prima per reati anteriormente commessi, non può tuttavia - a parere del rimettente - costituire il presupposto per la revoca di diritto, a norma dell’art. 168, primo comma, cod. pen., della precedente sospensione condizionale della pena, in quanto, sulla base della consolidata giurisprudenza delle Sezioni unite della Corte di cassazione, tale pronuncia, non contenendo un accertamento sulla responsabilità dell'imputato e, quindi, un giudizio di colpevolezza, non ha natura di sentenza di condanna;
che, ad avviso del rimettente, la norma impugnata, tenuto conto di tali principi, contrasterebbe:
- con l'art. 76 Cost., in quanto la direttiva n. 45 dell'art. 2 della legge-delega 16 febbraio 1987, n. 81, non contiene alcun elemento da cui dedurre che il legislatore delegante abbia voluto introdurre nell'ordinamento un «nuovo genere di sentenza, non di condanna e nemmeno di proscioglimento»;
- con gli artt. 13, primo comma, e 25, secondo comma, Cost., in quanto, essendo la libertà personale un diritto inviolabile e indisponibile, e posto che nessuno può essere punito se non in forza di una legge entrata in vigore prima del fatto commesso, a maggior ragione nessuno può essere punito per un fatto "non commesso" e, dunque, a nessuno può essere applicata una pena se non è stato accertato che ha commesso il fatto a lui imputato;
- con l'art. 27, primo comma, Cost., in quanto il principio della personalità della responsabilità penale comporta che «nessuno può essere chiamato a rispondere se non per un fatto proprio, di cui è, davanti all'ordinamento, responsabile»;
- con l'art. 27, secondo comma, Cost., in quanto il principio della presunzione di non colpevolezza sino alla condanna definitiva risulterebbe violato ove venisse inflitta e fatta espiare una pena a persona di cui non sia stata accertata la responsabilità e che, dunque, deve presumersi non colpevole;
- con l'art. 27, terzo comma, Cost., perché le affermazioni contenute nella sentenza n. 313 del 1990, con la quale la Corte costituzionale, in applicazione del principio secondo cui le pene devono tendere alla rieducazione del condannato, ha stabilito che il giudice deve valutare la congruità della pena indicata dalle parti, sarebbero svuotate di significato ove la pena venisse applicata ad un soggetto di cui non sia stata accertata la responsabilità per il fatto commesso;
- con l'art. 3 Cost., in quanto viola i principi di ragionevolezza e di eguaglianza una disciplina che da un lato comporta l'espiazione della «pena applicata senza la concessione del beneficio della sospensione», dall'altro impedisce la revoca della sospensione condizionale della pena precedentemente concessa;
- con l'art. 112 Cost., in quanto il fatto che la sentenza di applicazione della pena non contenga alcuna affermazione di responsabilità dell'imputato comporta che l'ordinamento rinuncia ad una pronuncia giurisdizionale di merito, con conseguente vanificazione del principio di obbligatorietà dell'azione penale;
che, ai fini della rilevanza, il rimettente precisa che la questione, a differenza di quelle, analoghe, più volte dichiarate manifestamente inammissibili dalla Corte (viene richiamata, per tutte, l'ordinanza n. 413 del 1998), non è volta ad ottenere una sentenza additiva che integri le cause di revoca della sospensione condizionale della pena, bensì una pronuncia che valuti se la natura della sentenza di applicazione della pena, così come intesa dalla giurisprudenza della Corte di cassazione, sia in armonia con gli evocati principi costituzionali;
che è intervento il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, rilevando che la questione è analoga a quella già dichiarata manifestamente inammissibile con l'ordinanza n. 399 del 1997.
Considerato che la questione di legittimità costituzionale dell'art. 444, comma 2, cod. proc. pen. è stata sollevata dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Venezia in funzione di giudice dell'esecuzione, investito di una richiesta del pubblico ministero di revoca della sospensione condizionale della pena ai sensi dell'art. 168, primo comma, cod. pen.;
che nella fase dell'esecuzione sono prive di rilevanza le questioni aventi a oggetto norme che attengono al giudizio di cognizione (v. sentenze n. 208 del 1987 e n. 18 del 1978, nonché ordinanze n. 14 del 2000, n. 143 del 1999 e n. 437 del 1997), quale è appunto nel caso di specie la norma censurata, di cui ha fatto definitiva applicazione il giudice della cognizione, pronunciando sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti;
che la questione di costituzionalità va pertanto dichiarata manifestamente inammissibile.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell'art. 444, comma 2, del codice di procedura penale sollevata, in riferimento agli artt. 3, 13, primo comma, 25, secondo comma, 27, primo, secondo e terzo comma, 76 e 112 della Costituzione, dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Venezia, con l'ordinanza in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 14 dicembre 2000.
Fernando SANTOSUOSSO, Presidente
Guido NEPPI MODONA, Redattore
Depositata in cancelleria il 21 dicembre 2000.