Sentenza n. 18 del 1978

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SENTENZA N. 18
ANNO 1978



REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE

 

 

 


composta dai signori Giudici:
Prof. Paolo ROSSI, Presidente
Dott. Luigi OGGIONI
Avv. Leonetto AMADEI
Prof. Guido ASTUTI
Dott. Michele ROSSANO
Prof. Antonino DE STEFANO
Prof. Leopoldo ELIA
Prof. Guglielmo ROEHRSSEN
Avv. Oronzo REALE
Dott. Brunetto BUCCIARELLI DUCCI
Avv. Alberto MALAGUGINI
Prof. Livio PALADIN
Dott. Arnaldo MACCARONE, 
ha pronunciato la seguente

 

 

SENTENZA

 

 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 1 della legge 12 agosto 1974, n. 351 (e successive modificazioni), e dell'art. 4, della legge 27 gennaio 1963, n. 19 (proroga delle locazioni degli immobili urbani destinati ad uso commerciale), promosso con ordinanza emessa il 15 luglio 1976 dal tribunale di Campobasso, nel procedimento civile vertente tra Maria Leveque e la S.A.I.T., iscritta al n. 629 del registro ordinanze 1976 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 314 del 24 novembre 1976.

 

Visto l'atto di costituzione della S.A.I.T., nonché l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

 

udito nell'udienza pubblica del 20 dicembre 1977 il Giudice relatore Paolo Rossi;

 

uditi gli avvocati Giovanni Mastrangelo e Franco Ciampitti, per la S.A.I.T., e il sostituto avvocato generale dello Stato Renato Carafa, per il Presidente del Consiglio dei ministri.

 

 

Ritenuto in fatto

 

 

Nel corso di un giudizio di opposizione a precetto promosso dalla signora Maria Leveque in Casotti, contro la Società Impresa Teatro - la quale aveva intimato precetto per ottenere la riconsegna di una azienda teatrale, in esecuzione di una sentenza della Corte d'appello - il tribunale di Campobasso, giudice dell'opposizione all'esecuzione, ha sollevato questione incidentale di legittimità costituzionale degli artt. 1, legge 12 agosto 1974, n. 351 (e successive modificazioni) e 4, legge 27 gennaio 1963, n. 19, per pretesa violazione degli artt. 3 e 41 della Costituzione.
Osserva il giudice a quo che l'art. 1 della citata legge 351 del 1974, escludendo dal regime di proroga i contratti di affitto di azienda, violerebbe il principio d'eguaglianza in relazione ai contratti di locazione di immobili adibiti ad uso di pensioni, alberghi, locande ed esercizi commerciali, soggetti a disciplina vincolistica, attesa l'affinità delle situazioni così diversamente regolate.
L'ordinanza di rimessione prosegue rilevando che l'art. 4 della citata legge n. 19 del 1963, concedendo al solo conduttore di immobile adibito ad attività commerciale - e non anche all'affittuario di azienda - il diritto di optare tra la proroga biennale del contratto di locazione ed il diritto all'avviamento commerciale, violerebbe il principio di eguaglianza ed altresì l'art. 41 della Costituzione, per la mancata valutazione dell'attività economica privata dell'affittuario di azienda.
É intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, con atto di deduzioni depositato il 14 dicembre 1976, chiedendo dichiararsi l'inammissibilità o l'infondatezza della questione sollevata.
Osserva la difesa dello Stato che il giudice a quo - investito dell'opposizione a precetto ai sensi dell'art. 615, prima parte, c.p.c. - incontra, nel vigente sistema processuale, considerevoli limiti alla sua cognizione, che ne circoscrivono i poteri decisori.
Nei confronti del titolo esecutivo giudiziale - nella specie sentenza di secondo grado - l'attore in opposizione non può proporre censure che si risolvano in un gravame (le quali saranno proponibili nella sede competente, ad esempio con appello o con ricorso per Cassazione). Mentre trovano spazio le contestazioni in ordine alla sussistenza dell'azione esecutiva, alla relativa legittimazione, agli atti successivi estintivi dell'azione, limiti invalicabili derivano dalle preclusioni proprie del tipo di giudizio in esame. Da tali considerazioni la difesa dello Stato deduce l'inammissibilità della questione di legittimità costituzionale non essendo concesso al giudice dell'opposizione all'esecuzione denunciare norme che, già poste a fondamento del titolo giudiziale nella precedente fase di cognizione, avrebbero dovuto essere riesaminate ed applicate dalla Cassazione.
Nel merito l'Avvocatura dello Stato osserva che non sono comparabili, in relazione all'art. 3 Cost., le norme che regolano le locazioni degli immobili, anche se destinati ad uso commerciale, con quelle disciplinanti l'affitto di azienda, in quanto questa é un'universalità patrimoniale, idonea a produrre beni, mentre le locazioni alberghiere avrebbero una tutela collegata all'interesse turistico nazionale. Risulterebbe di conseguenza infondata ogni censura, anche in relazione all'art. 41 Cost.
Si é costituita in giudizio la Società S.A.I.T., rappresentata e difesa dagli Avvocati Franco Ciampitti e Giovanni Mastrangelo, con atto depositato il 13 dicembre 1976, chiedendo dichiararsi l'inammissibilità o l'infondatezza della questione.
Osserva la difesa della S.A.I.T. che poiché il giudice dell'opposizione non può modificare la sentenza di secondo grado fatta valere esecutivamente, essendo chiamato a decidere non le questioni di merito già risolte, ma soltanto l'esistenza del diritto ad agire in executivis, non avrebbe potuto sollevare le questioni che ha proposto innanzi alla Corte, per difetto di legittimazione. Soggiunge che l'ordinanza del giudice a quo, datata 15 luglio 1976 é successiva al momento in cui la Corte di cassazione ha preso in decisione il ricorso proposto contro la sentenza utilizzata come titolo esecutivo, e che la Cassazione ha respinto la questione ora sottoposta all'esame della Corte costituzionale, ed ha rigettato il ricorso incidentale della Leveque talché la sentenza della Corte d'appello é passata in giudicato. Di qui la manifesta irrilevanza della questione di legittimità costituzionale, in ordine alla quale lo stesso giudice a quo non si é premurato di fornire motivazione alcuna, con conseguente richiesta a questa Corte di trattazione in Camera di consiglio.
Nel merito, illustrando le diversità esistenti tra le locazioni di immobili anche per uso commerciale, e l'affitto d'azienda, conclude per l'infondatezza della censura prospettata in ordine all'art. 3 Cost., mentre osserva che la tutela giuridica dell'avviamento riconosciuta soltanto in uno dei due casi troverebbe giustificazione nel diverso concorso produttivo dell'imprenditore rispetto al conduttore dell'immobile adibito ad uso commerciale.

 



 

Considerato in diritto

 

 

1. - La Corte é chiamata a decidere se l'art. 1 della legge 12 agosto 1974, n. 351 (e successive modificazioni), che non estende agli affitti di azienda il regime vincolistico previsto per le locazioni degli immobili adibiti ad uso commerciale o alberghiero, contrasti o meno con il principio di eguaglianza, attesa l'affinità delle situazioni diversamente regolate. É parimenti denunciato, per violazione degli artt. 3 e 41 della Costituzione, l'art. 4 della legge 27 gennaio 1963, n. 19, secondo cui il conduttore degli immobili adibiti ad attività commerciale o artigianale ha diritto ad un compenso da parte del locatore per la perdita dell'avviamento in taluni casi di cessazione del rapporto di locazione, per il dubbio che la diversa disciplina, concernente l'affittuario di azienda, appaia ingiustificata ed inconciliabile con il riconoscimento e la garanzia della iniziativa economica privata.
2. - Occorre innanzitutto vagliare l'eccezione di inammissibilità formulata dalla difesa dello Stato e dalla parte privata.
La questione di legittimità costituzionale é stata sollevata nel corso di un giudizio di opposizione a precetto intimato sulla base di una sentenza civile emessa dal giudice di appello.
É pacifico - secondo la comune interpretazione della dottrina e la costante giurisprudenza della Cassazione - che nel corso del giudizio di opposizione all'esecuzione, promosso ex art. 615 c.p.c. (quando l'azione esecutiva é fondata su di una sentenza, come nel caso di specie) non sono riproponibili contestazioni concernenti l'oggetto del giudizio di cognizione che ha dato luogo alla sentenza fatta valere in executivis.
Dette censure, invero, possono esser proposte soltanto davanti al giudice dell'appello o in Cassazione, ma mai davanti al giudice dell'opposizione all'esecuzione, essendo vietata in tale sede la ripetizione sotto qualunque profilo del processo di cognizione già esaurito.
Tanto premesso é evidente che il sistema di preclusioni processuali appena ricordato, impedisce al giudice a quo di applicare le norme da lui denunciate, che attengono al processo di cognizione, con conseguente irrilevanza delle questioni sottoposte a questa Corte.

 

 

PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 1 legge 12 agosto 1974, n. 351 (e successive modificazioni) e 4 legge 27 gennaio 1963, n. 19, sollevate, in riferimento agli artt. 3 e 41 della Costituzione, con l'ordinanza del tribunale di Campobasso in epigrafe indicata.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 2 marzo 1978.

 

 

Paolo ROSSI - Luigi OGGIONI - Leonetto AMADEI - Guido ASTUTI - Michele ROSSANO - Antonino DE STEFANO - Leopoldo ELIA – Guglielmo ROEHRSSEN Oronzo REALE – Brunetto BUCCIARELLI DUCCI - Alberto MALAGUGINI - Livio PALADIN - Arnaldo MACCARONE

 

 

 

Giovanni VITALE - Cancelliere

 


 Depositata in cancelleria il 7 marzo 1978.