Sentenza n. 378/97

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SENTENZA N.378

ANNO 1997

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Dott.   Renato GRANATA, Presidente

- Prof.    Giuliano VASSALLI           

- Prof.    Francesco GUIZZI   

- Prof.    Cesare MIRABELLI              

- Prof.    Fernando SANTOSUOSSO  

- Avv.    Massimo VARI         

- Dott.   Cesare RUPERTO    

- Dott.   Riccardo CHIEPPA

- Prof.    Gustavo ZAGREBELSKY  

- Prof.    Valerio ONIDA        

- Prof.    Carlo MEZZANOTTE         

- Avv.    Fernanda CONTRI   

- Prof.    Guido NEPPI MODONA    

- Prof.    Piero Alberto CAPOTOSTI 

- Prof. Annibale MARINI                                         

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale del combinato disposto degli artt. 458, comma 2 e 441, comma 1, del codice di procedura penale, promosso con ordinanza emessa il 4 marzo 1997 dal Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Milano, nel procedimento penale a carico di Sinesi Fausto, iscritta al n. 233 del registro ordinanze 1997 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 19, prima serie speciale, dell’anno 1997.

Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 15 ottobre 1997 il Giudice relatore Guido Neppi Modona.

Ritenuto in fatto

1. - Nel corso di un procedimento penale a carico di un imputato del reato di ricettazione, il giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Milano, su richiesta del pubblico ministero, disponeva procedersi a giudizio immediato. Successivamente l’imputato formulava, a norma dell’art. 458 del codice di procedura penale, richiesta di giudizio abbreviato, cui il pubblico ministero aderiva. Attesa l’incompatibilità del giudice che aveva emesso decreto di giudizio immediato, gli atti del processo venivano trasmessi, per le valutazioni e le determinazioni di cui al comma 2 dell’art. 458 cod. proc. pen., ad altro giudice per le indagini preliminari.

Con ordinanza del 4 marzo 1997 (r.o. n. 233 del 1997) il giudice chiamato a pronunciarsi sulla richiesta di giudizio abbreviato ha sollevato, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale del combinato disposto degli artt. 458, comma 2, e 441, comma 1, cod. proc. pen. <<nella parte in cui non prevede che il giudice possa accogliere la richiesta di giudizio abbreviato anche nell’ipotesi in cui debba procedersi a norma dell’art. 423 c.p.p. a modificazione dell’imputazione contestata con la richiesta di giudizio immediato e con il successivo corrispondente decreto emesso dal giudice per le indagini preliminari>>.

Premette il rimettente che dagli atti trasmessi dal pubblico ministero (e, in particolare, dal verbale di arresto in flagranza, dalle dichiarazioni rese dalla persona offesa e dall’arrestato in sede di convalida) si ricavano elementi idonei a far ritenere a carico dell’imputato la sussistenza di un altro reato (ricettazione), oltre quello di estorsione contestato nella richiesta e nel decreto di giudizio immediato, nonchè della circostanza aggravante di cui all’art. 61 n. 2 cod. pen., evenienze rientranti entrambe nella previsione dell’art. 423 cod. proc. pen. che disciplina le modalità di modifica dell’imputazione nell’udienza preliminare.

Ad avviso del giudice a quo l’esplicita esclusione, ai sensi dell’art. 441 cod. proc. pen., della applicabilità nel giudizio abbreviato dell’art. 423 cod. proc. pen. << va interpretata anche come l’impossibilità di definire il processo "allo stato degli atti", come richiesto dall’art. 440, comma 1, c.p.p., tutte le volte in cui il giudice ravvisi negli atti trasmessi dal p.m. la sussistenza di elementi che impongono modificazioni dell’imputazione o contestazioni suppletive a norma dell’art. 423 c.p.p.>>, con la conseguenza che il giudice dovrebbe in tale eventualità rigettare la richiesta di giudizio abbreviato, pur essendo libero di dare al fatto una qualificazione giuridica diversa o di apportare <<modificazioni non aggravatrici della posizione dell’imputato>>. Il rigetto del resto si imporrebbe, secondo il rimettente, anche per l’impossibilità di determinare la pena ai sensi dell’art. 133 cod. pen. a causa della contestazione solo parziale degli addebiti.

Di qui il preteso contrasto di tale disciplina con l’art. 3 Cost., per violazione del principio di uguaglianza, dal momento che l’accesso al giudizio abbreviato da parte dell’imputato rimarrebbe condizionato da scelte effettuate dall’organo della pubblica accusa, dando luogo a palesi disparità di trattamento: <<é sufficiente infatti che il p.m. ometta o semplicemente si dimentichi di procedere con la richiesta di giudizio immediato alla contestazione di una circostanza aggravante o di un reato concorrente, risultanti dagli atti, per far sì che, una volta emesso il decreto di giudizio immediato in totale aderenza alla richiesta, l’imputato si veda precluso, in applicazione alle norme vigenti ma in modo del tutto ingiustificato e irragionevole, l’accesso al giudizio abbreviato>>.

Con riguardo alla individuazione delle norme di sospetta incostituzionalità, il rimettente osserva, infine, che esse vanno rinvenute nell’art. 458, comma 2, e nell’art. 441, comma 1, cod. proc. pen., in quanto é solo nell’ipotesi in cui la richiesta di giudizio abbreviato venga formulata in seguito a richiesta di giudizio immediato che il giudice per le indagini preliminari sarebbe costretto, nelle circostanze indicate nell’art. 423 cod. proc. pen., a rigettare con le conseguenze già descritte l’istanza di rito premiale avanzata dall’imputato. E’ ben vero, infatti, si rileva nell’ordinanza, che l’art. 441, comma 1, cod. proc. pen., esclude l’applicabilità dell’art. 423 cod. proc. pen. anche nel diverso caso in cui la richiesta di giudizio abbreviato venga formulata prima dell’udienza preliminare a norma dell’art. 439, comma 1, cod. proc. pen, sicchè il giudice, <<a fronte di identica situazione di fatto>>, dovrebbe certamente rigettare la richiesta dell’imputato; tuttavia, si fa osservare, in tal caso il giudice <<nel prosieguo dell’udienza preliminare, una volta effettuata la contestazione suppletiva a norma dell’art. 423>> potrebbe accogliere l’eventuale nuova richiesta di giudizio abbreviato, comunque proponibile sino a che non siano formulate le conclusioni a norma degli artt. 421 e 422 cod. proc. pen.

2. - Nel giudizio é intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, per chiedere che la questione sia dichiarata inammissibile per difetto di rilevanza.

Considerato in diritto

1.— Il Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Milano, chiamato a decidere sulla richiesta di giudizio abbreviato dopo che era stato emesso il decreto di giudizio immediato, ha sollevato questione di legittimità costituzionale del combinato disposto degli articoli 458, comma 2, e 441, comma 1, del codice di procedura penale, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, nella parte in cui tali norme, escludendo la possibilità di procedere nel corso del giudizio abbreviato a contestazioni suppletive (nella specie, un reato concorrente e una circostanza aggravante), impedirebbero al giudice di accogliere la richiesta di giudizio abbreviato per non essere il processo definibile allo stato degli atti. In particolare, secondo il giudice rimettente, la non definibilità del processo allo stato degli atti deriverebbe dall’impossibilità di determinare correttamente l’eventuale pena da irrogare, sia perchè non si potrebbe tenere conto dell’aumento derivante dalla circostanza aggravante, sia perchè l’omessa contestazione del reato concorrente limiterebbe la valutazione della capacità a delinquere dell’imputato.

Premesso che l’art. 441, comma 1, cod. proc. pen., mediante l’espressa esclusione dell’applicabilità dell’art. 423 dello stesso codice, non consente che si possa procedere a contestazioni suppletive anche nel giudizio abbreviato "tipico" (quello, cioé, richiesto prima o nel corso dell’udienza preliminare), ad avviso del giudice rimettente la censura di illegittimità costituzionale riguarderebbe solo l’ipotesi in cui la richiesta di giudizio abbreviato venga presentata, a norma dell’art. 458, comma 1, cod. proc. pen., a seguito della notificazione del decreto di giudizio immediato. Solo in questo caso, infatti, il giudice si troverebbe costretto a respingere definitivamente la richiesta di giudizio abbreviato a causa dell’omessa contestazione del reato concorrente o della circostanza aggravante, mentre se la medesima situazione si verifica nel corso dell’udienza preliminare non sarebbe esclusa la possibilità, una volta respinta la richiesta di giudizio abbreviato, che il pubblico ministero proceda, a norma dell’art. 423 cod. proc. pen., alle contestazioni suppletive, dando così al giudice l’opportunità di accogliere una eventuale nuova richiesta di giudizio abbreviato, proponibile, ex art. 439, comma 2, cod. proc. pen., sino a che non siano state formulate le conclusioni delle parti.

Sulla base di questa ricostruzione dei rapporti tra giudizio abbreviato e contestazioni suppletive, il giudice rimettente ritiene che, nel caso di giudizio abbreviato richiesto dopo che é stato emesso il decreto di giudizio immediato, l’impossibilità di ritenere il processo definibile allo stato degli atti si traduca in una violazione dell’art. 3 Cost. All’imputato che venga a trovarsi in tale situazione verrebbe infatti riservata un’ingiustificata e irragionevole disparità di trattamento, in quanto gli sarebbe precluso l’accesso al giudizio abbreviato, disciplinato da disposizioni comunque più favorevoli, sulla base della scelta meramente discrezionale del pubblico ministero di contestare tutti i reati, ovvero di omettere, anche per mera dimenticanza, la contestazione di un reato concorrente o di una circostanza aggravante.

2.— La questione é infondata.

3.— L’azione penale é un potere-dovere attribuito esclusivamente al pubblico ministero, e va esercitata secondo le modalità descritte dall’art. 405 cod. proc. pen. Al giudice per le indagini preliminari é peraltro riservato un potere di controllo giurisdizionale sulla richiesta di archiviazione del pubblico ministero, imposto dall’esigenza di rendere effettivamente operante il principio costituzionale di obbligatorietà dell’azione penale (v. sentenza di questa Corte n. 88 del 1991); potere che, in caso di disaccordo sulla richiesta di archiviazione, si estrinseca, a norma degli articoli 409, comma 5, e 554, comma 2, cod. proc. pen., nella facoltà di ordinare al pubblico ministero di formulare l’imputazione.

Al di fuori di questa situazione eccezionale, in cui, in attuazione del principio dettato dall’art. 112 Cost., al giudice vengono espressamente attribuiti poteri diretti a rimuovere l’inerzia del pubblico ministero, quest’ultimo rimane titolare esclusivo dell’azione penale anche ove emerga l’esigenza di procedere a contestazioni suppletive nel successivo corso del processo, dopo che l’azione stessa é già stata esercitata. La disciplina delle contestazioni suppletive, sia all’udienza preliminare che in dibattimento, é infatti coerente con l’impostazione di fondo dei rapporti tra pubblico ministero e giudice ora delineati: a norma dell’art. 423, commi 1 e 2, cod. proc. pen., nel corso dell’udienza preliminare l’iniziativa di modificare l’imputazione e la relativa contestazione all’imputato sono attribuite direttamente al pubblico ministero, e anche la contestazione del fatto nuovo, pur dovendo essere autorizzata dal giudice, é sempre subordinata alla richiesta del pubblico ministero. Disciplina sostanzialmente analoga vale per la contestazione in dibattimento del reato concorrente, del fatto diverso, delle circostanze aggravanti e del fatto nuovo (articoli 516, 517 e 518 cod. proc. pen.). Conformemente ai princìpi generali in materia di titolarità dell’azione penale, anche in tema di contestazioni suppletive l’iniziativa spetta esclusivamente al pubblico ministero e al giudice non é riservato alcun potere sostitutivo o concorrente in caso di inerzia dell’organo dell’accusa.

4.— D’altro canto, la scelta del legislatore di precludere le contestazioni suppletive, sia che venga collegata agli effetti premiali volti ad incentivare il ricorso al giudizio abbreviato (l’imputato potrebbe appunto essere indotto a richiedere tale rito anche in base alla certezza di non essere esposto al rischio di contestazioni suppletive), sia che venga inquadrata nella peculiare natura di giudizio allo stato degli atti e nella conseguente impossibilità di assumere eventualmente nuove prove in ordine al reato concorrente o alle circostanze aggravanti, appare coerente con la struttura e le finalità del rito ed é immune da vizi rilevanti in sede costituzionale. Anzi, la natura pattizia del rito rende del tutto plausibile che l’oggetto del giudizio rimanga limitato ai fatti in relazione ai quali é intervenuto l’incontro di volontà tra le parti.

In particolare, il divieto di procedere a contestazioni suppletive non influisce sui presupposti di ammissibilità del giudizio abbreviato e sulle relative valutazioni del giudice in ordine alla possibilità di definire il processo allo stato degli atti; valutazioni che, alla luce delle decisioni di questa Corte (v., con diverse accentuazioni, sentenze n. 81 del 1991, n. 23 e 92 del 1992, n. 305 del 1993, nonchè ordinanze n. 482 del 1992 e n. 276 del 1995) e della giurisprudenza di legittimità, debbono essere riferite alla completezza del quadro probatorio e alla previsione della sua non modificabilità anche ai fini della individuazione delle circostanze del reato e della commisurazione della pena.

Ne deriva che l’eventuale incompletezza delle contestazioni del pubblico ministero non rientra tra i presupposti della valutazione del giudice sulla decidibilità del processo allo stato degli atti: in tale giudizio il giudice deve esprimersi con riferimento ai reati per i quali é stata esercitata l’azione penale e solo su di essi é abilitato, sulla base del quadro probatorio risultante dalle indagini preliminari, a decidere se il processo può essere definito allo stato degli atti. Ove dagli atti emerga un reato concorrente o una circostanza aggravante, il giudice, se ritiene che in ordine al reato contestato il processo sarebbe definibile allo stato degli atti, non può respingere per questa ragione la richiesta di giudizio abbreviato. Potrà eventualmente, nella sentenza emessa in esito al giudizio abbreviato, disporre la trasmissione degli atti al pubblico ministero perchè eserciti l’azione penale per il reato concorrente.

Solo ove il fatto risulti diverso rispetto a quello contestato, il giudice é abilitato, in applicazione del principio generale della correlazione tra accusa e sentenza, a restituire gli atti al pubblico ministero (v. in tale senso, con riferimento al caso in cui la diversità del fatto emerga in esito all’udienza preliminare, sentenza n. 88 del 1994, ove si fa riferimento alla disciplina apprestata dall’art. 521, comma 2, cod. proc. pen.): diversamente, il giudice si troverebbe nell’impossibilità di decidere sia sul fatto diverso, sia su quello descritto nell’imputazione.

I poteri esclusivi del pubblico ministero in tema di contestazioni suppletive rendono pertanto irrilevante che l’omessa contestazione del reato concorrente o della circostanza aggravante si verifichi nel giudizio abbreviato richiesto prima o nel corso dell’udienza preliminare, ovvero a seguito del decreto di giudizio immediato: in entrambi i casi il divieto per il giudice di procedere a contestazioni suppletive posto dall’art. 423 cod. proc. pen. va esente, per le ragioni sino ad ora esposte, da censure di illegittimità costituzionale.

5.— Dall’erroneità del presupposto su cui si é basato il giudice rimettente - impossibilità di accogliere la richiesta di giudizio abbreviato in caso di omessa contestazione di un reato concorrente o di una circostanza aggravante per non essere il processo definibile allo stato degli atti - deriva l’infondatezza della proposta questione di legittimità costituzionale, non essendo ravvisabile la disparità di trattamento tra imputati in ordine alla possibilità di usufruire del giudizio abbreviato. La diversa soluzione si tradurrebbe in una impropria sovrapposizione e confusione tra i ruoli del pubblico ministero e del giudice, mediante il riconoscimento in capo al secondo di poteri in tema di esercizio dell’azione penale che l’ordinamento processuale riserva in via esclusiva all’organo dell’accusa.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale degli articoli 458, comma 2, e 441, comma 1, del codice di procedura penale sollevata, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, dal Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Milano, con l’ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 26 novembre 1997.

Presidente: Renato GRANATA

Redattore: Guido NEPPI MODONA

Depositata in cancelleria il 5 dicembre 1997.