ORDINANZA N. 276
ANNO 1995
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
- Prof. Vincenzo CAIANIELLO, Presidente
- Avv. Mauro FERRI
- Prof. Luigi MENGONI
- Prof. Enzo CHELI
- Dott. Renato GRANATA
- Prof. Giuliano VASSALLI
- Prof. Francesco GUIZZI
- Prof. Cesare MIRABELLI
- Prof. Fernando SANTOSUOSSO
- Avv. Massimo VARI
- Dott. Cesare RUPERTO
- Dott. Riccardo CHIEPPA
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 458, commi 1 e 2, del codice di procedura penale promosso con ordinanza emessa l'11 novembre 1994 dal giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Rimini nel procedimento penale a carico di D.S.G. iscritta al n. 5 del registro ordinanze 1995 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 4 prima serie speciale dell'anno 1995.
Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 31 maggio 1995 il Giudice relatore Enzo Cheli.
RITENUTO che nel corso del procedimento penale nei confronti di D.S.G., imputato per detenzione e spaccio di sostanze stupefacenti, il giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Rimini, con ordinanza dell'11 novembre 1994 (R.O. n. 5 del 1995), ha sollevato, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale nei confronti dell'art. 458, commi 1 e 2, del codice di procedura penale, nella parte in cui "prevede la necessità del consenso del pubblico ministero per l'ammissione del giudizio abbreviato su richiesta dell'imputato, dopo che sia stato chiesto dal pubblico ministero e ammesso dal giudice il giudizio immediato"; che risulta dall'ordinanza che nei confronti dell'imputato era stato disposto dallo stesso giudice, su richiesta del pubblico ministero, il giudizio immediato e che l'imputato aveva successivamente presentato rituale richiesta di giudizio abbreviato, sulla quale il pubblico ministero non aveva espresso il proprio consenso; che, secondo la prospettazione del giudice remittente, una volta richiesto e ammesso il giudizio immediato, il consenso del pubblico ministero e la valutazione del giudice per le indagini preliminari sull'ammissibilità del giudizio abbreviato chiesto dall'imputato sarebbero "pleonastiche" e "contraddittorie" in quanto "l'evidenza della prova", richiesta dall'art. 453 cod. proc. pen. per il giudizio immediato, sarebbe nozione "logicamente comprensiva" di quella di "definibilità allo stato degli atti" richiesta per il giudizio abbreviato; che, in particolare, la possibilità che il pubblico ministero neghi il consenso al giudizio abbreviato dopo l'assenso al giudizio immediato, determinerebbe un'irrazionale disparità di trattamento nei confronti di chi abbia ottenuto il consenso del pubblico ministero direttamente per il giudizio abbreviato, dovendosi basare la seconda valutazione di diniego su "ragioni necessariamente diverse dalla valutazione della definibilità allo stato degli atti e, pertanto, estranee al sistema e arbitrarie"; che nel giudizio dinanzi alla Corte è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata infondata.
CONSIDERATO che le argomentazioni del giudice remittente si fondano su un presupposto interpretativo errato, dal momento che, come già affermato da questa Corte (ord. n. 482 del 1992) e univocamente dalla Corte di cassazione, il requisito probatorio necessario per l'instaurazione del giudizio immediato e quello richiesto per il giudizio abbreviato sono tra loro distinti, atteso che la prova evidente, idonea all'accoglimento da parte del giudice della richiesta di giudizio immediato, è quella che, per la sua sufficienza ai fini del rinvio a giudizio, rende superflua l'effettuazione dell'udienza preliminare, mentre la definibilità del processo allo stato degli atti richiesta per disporre il giudizio abbreviato si fonda sulla completezza dell'intero quadro probatorio e sulla previsione della sua non modificabilità anche ai fini della individuazione delle circostanze del reato e della commisurazione della pena; che, pertanto, la questione deve essere dichiarata manifestamente infondata. Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87 e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 458, commi 1 e 2, del codice di procedura penale, sollevata, con riferimento all'art. 3 della Costituzione, dal giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Rimini, con l'ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 14/06/95.
Vincenzo CAIANIELLO, Presidente
Enzo CHELI, Redattore
Depositata in cancelleria il 22/06/95.