Sentenza n.305 del 1993

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SENTENZA N. 305

 

ANNO 1993

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

 

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori:

 

Presidente

 

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

 

Giudici

 

Prof. Gabriele PESCATORE

 

Avv. Ugo SPAGNOLI

 

Prof. Antonio BALDASSARRE

 

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

 

Avv. Mauro FERRI

 

Prof. Luigi MENGONI

 

Prof. Enzo CHELI

 

Dott. Renato GRANATA

 

Prof. Francesco GUIZZI

 

Prof. Cesare MIRABELLI

 

Prof. Fernando SANTOSUOSSO

 

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale del combinato disposto degli artt. 438, 439 e 440 del codice di procedura penale, promosso con ordinanza emessa il 10 maggio 1993 dal giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Teramo nel procedimento penale a carico di D'Elpidio Vincenzo, iscritta al n. 254 del registro ordinanze 1993 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 21, prima serie speciale, dell'anno 1993.

 

Visto l'atto di costituzione di D'Elpidio Vincenzo;

 

udito nell'udienza pubblica del 22 giugno 1993 il Giudice relatore Vincenzo Caianiello;

 

uditi gli avvocati Guglielmo Marconi ed Antonio Fiorella per D'Elpidio Vincenzo.

 

Ritenuto in fatto

 

1.l.- Nel corso di un procedimento penale il giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Teramo, in funzione di giudice per l'udienza preliminare, ha sollevato questione di legittimità costituzionale degli articoli 438, 439 e 440 del codice di procedura penale, in riferimento agli articoli 3, 24, secondo comma, 25 e 101, secondo comma, della Costituzione.

 

Il giudice rimettente si trova a dover decidere in ordine alla richiesta, formulata dalla difesa dell'imputato, di giudizio abbreviato; rito, quest'ultimo, che è però precluso, nel caso di specie, in ragione della contestazione all'imputato di un titolo di reato - omicidio volontario aggravato dalla circostanza dei motivi futili: artt. 575, 577 n. 4 del codice penale in relazione all'art. 61, n. 1 dello stesso codice - che comporta in via astratta l'applicabilità della pena dell'ergastolo, e dunque - a seguito della sentenza n. 176 del 1991 della Corte costituzionale - impedisce "in radice di accedere al giudizio abbreviato".

 

l.2. - Muovendo dalla ritenuta opportunità di sollecitare una ulteriore pronuncia della Corte, rispetto a quanto da questa già enunciato con l'ordinanza n. 163 del 1992 in rapporto ad analoga prospettazione, il giudice a quo sottopone a scrutinio di costituzionalità la mancata attribuzione al giudice per le indagini preliminari del potere di sindacare l'imputazione, preclusiva, come detto, del rito speciale, allorchè detta imputazione sia da ritenere palesemente erronea, come, ad avviso del remittente, avviene nel caso concreto, in cui l'imputato, sottoposto a indagini peritali, è stato riconosciuto affetto da infermità di mente tale da renderlo totalmente incapace di intendere e volere al momento del fatto.

 

Questa situazione di fatto si troverebbe - prosegue il giudice a quo - in rapporto di inconciliabilità logico- giuridica con la contestata aggravante dell'art. 61 n. 1) del codice penale; tuttavia, la correlativa delibazione è preclusa al giudice, cui non è consentito di valutare l'esattezza dell'imputazione escludendo la circostanza ritenuta non sussistente, e dunque di dichiarare ammissibile il rito abbreviato, sussistendone gli ulteriori presupposti.

 

l.3. - Senza soffermarsi a fondo sulla questione di merito della compatibilità dell'aggravante con le risultanze dell'incidente probatorio e delle consulenze tecniche con riguardo allo stato mentale dell'imputato - giacchè è proprio l'inibizione di questa possibile delibazione l'oggetto della censura di incostituzionalità - il giudice rimettente osserva in primo luogo che nell'ordinamento processuale penale esistono alcune ipotesi in cui al giudice per le indagini preliminari, o dell'udienza preliminare, è accordata la possibilità di valutare l'imputazione e, in caso di discordanza tra questa e le emergenze materiali, correggere e modificare la prima: così avviene ai fini della declaratoria di incompetenza "per qualsiasi causa" ai sensi dell'art. 22 del codice di procedura penale, o nel caso di diversa qualificazione del reato che implichi la sussistenza di una causa estintiva o di improcedibilità a norma dell'art. 425 del codice di procedura penale ovvero ancora nel caso in cui il giudice imponga al pubblico ministero, a norma dell'art. 409 del codice di procedura penale, la formulazione di altra imputazione rispetto a quella per la quale l'organo di accusa abbia formulato richiesta di archiviazione.

 

Di fronte a tali evenienze, risulta irragionevole - in rapporto al parametro di eguaglianza - lo "sbarramento" posto al giudice per le indagini preliminari in rapporto all'ammissione al rito alternativo; nè la legittimità di questa preclusione potrebbe essere basata sulla più generale e sistematica impossibilità di esclusione delle circostanze da parte di detto giudice, giacchè allora sarebbe proprio l'intero sistema a proporre fondati dubbi di razionalità, tanto più alla luce della nuova disciplina della imputazione delle circostanze aggravanti (art. 59 del codice penale), per le quali è richiesto un coefficiente soggettivo di colpevolezza che riduce, se non elide, la differenza tra elementi essenziali ed elementi accidentali del reato: se può pervenirsi ad una verifica della correttezza dell'imputazione in caso di imputazioni alternative sotto il profilo del concorso formale, in cui il giudice per le indagini preliminari deve optare per una delle due ipotesi di reato contestate (il giudice a quo propone l'esempio della diffamazione e della calunnia addebitate per i medesimi fatti), non v'è ragione di non consentire analogo potere quando l'imputazione del fatto-reato risulta esatta ma appare erronea la descrizione e contestazione di elementi accidentali.

 

l.4. - Un ulteriore profilo di illegittimità è ravvisato dal giudice a quo nel fatto che la ricordata preclusione del sindacato sull'imputazione consente in definitiva al pubblico ministero di determinare, senza alcuna possibilità di rimedio, la sottrazione dell'imputato al proprio giudice naturale, tale essendo il giudice per le indagini preliminari in rapporto alla peculiare figura di rito speciale che trova la propria sede, almeno in via tipica e ordinaria, all'interno dell'udienza preliminare, alla cui celebrazione è competente, funzionalmente ed in via esclusiva, il medesimo giudice; con ulteriore raccordo, oltre che al parametro dell'art. 25 della Costituzione, a quello di cui all'art. 3 della Costituzione, attesa l'assenza di meccanismi processuali idonei a garantire il rispetto delle regole, meccanismi viceversa previsti per altre e diverse situazioni di sottrazione del processo al proprio giudice naturale.

 

Per questo aspetto, poi, il giudice a quo sottolinea l'inadeguatezza di una eventuale applicazione della riduzione di pena all'esito del dibattimento - "rimedio" operante nelle ipotesi di dissenso o di valutazione di non definibilità allo stato degli atti ritenuti successivamente erronei - giacchè nel caso prospettato non è neppure consentito pervenire alla valutazione di tali ultimi presupposti, pregiudizialmente preclusi dalla contestazione radicalmente ostativa del rito.

 

l.5.- Ancora, la situazione descritta appare in contrasto con le garanzie stabilite dall'art. 24 della Costituzione, posto che il pubblico ministero può impedire l'accesso al rito abbreviato, senza possibilità di rimedio, solo formulando una imputazione anche palesemente erronea; il che confligge con la più ampia tutela del diritto di difesa, che non si risolve unicamente nella fruizione dello "sconto" di pena di un terzo, ma involge valutazioni e profili diversi, quali l'interesse ad evitare la pubblicità dell'udienza, l'"interesse strategico a giocarsi le proprie carte" in base agli atti acquisiti evitando l'ingresso di nuovi elementi, la limitazione delle possibilità di appello da parte del pubblico ministero.

 

Così, osserva il remittente, le possibilità di "recupero" dibattimentale della riduzione di pena, cui pure fa accenno l'ordinanza n. 163 del 1992 della Corte, non risolvono il problema. Nè, in generale, detta possibilità può dirsi scontata, posto che, mentre nelle altre ipotesi di dissenso non giustificato del pubblico ministero il ricordato recupero sanzionatorio al dibattimento controbilancia la perdita del rito, nella vicenda in esame - in cui non si scorge alcun valido interesse dell'accusa ad imporre il passaggio alla fase dibattimentale - la riduzione di pena non è del tutto pacifica, essendo derivata in quelle altre ipotesi da pronunce di incostituzionalità della Corte che hanno ridisegnato il sistema, mentre nel caso in esame al pubblico ministero non è neppure dato, a rigore, di manifestare il proprio assenso o meno sul presupposto sostanziale della definibilità allo stato degli atti, che logicamente è preceduto dalla mera inammissibilità del rito speciale; ond'è che in fase dibattimentale manca uno degli elementi necessari per applicare il beneficio sul piano sanzionatorio.

 

l.6.- L'ultimo profilo dedotto dal giudice a quo riguarda il contrasto della normativa impugnata con l'art. 101, secondo comma, della Costituzione, poichè in quanto rilevato si deve scorgere una lesione del principio di esclusiva soggezione alla legge: il giudice è, in sostanza, assoggettato a scelte del pubblico ministero - magari capziose, o comunque evidentemente errate - del tutto insindacabili.

 

l.7.- I profili dedotti risultano del resto ben colti - aggiunge il remittente - nel recente disegno di legge governativo di riordino del rito abbreviato, che si fa carico del problema qui sollevato.

 

Quanto alla rilevanza della questione, il giudice conclude osservando che essa è "nelle cose", stante la richiesta di giudizio abbreviato, preclusa allo stato, e che non altera detta rilevanza il fatto che il pubblico ministero abbia espresso nel corso del procedimento una valutazione di dissenso anche in merito al presupposto della definibilità allo stato degli atti, poichè questa formulazione è stata successivamente puntualizzata nel rilievo della riferibilità pregiudiziale del dissenso alla questione di inammissibilità del rito speciale.

 

2.l. - Non ha spiegato intervento il Presidente del Consiglio dei Ministri, mentre si è costituita la parte privata, a mezzo dei propri difensori, depositando deduzioni con le quali, dopo aver richiamato per relationem una memoria difensiva già depositata nel procedimento a quo, si sviluppano le argomentazioni proposte dal giudice remittente, a sostegno della richiesta declaratoria di illegittimità costituzionale delle norme denunciate.

 

Considerato in diritto

 

1.- É stata sollevata dal giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Teramo, in funzione di giudice per l'udienza preliminare, questione di legittimità costituzionale degli artt. 438,439 e 440 del codice di procedura penale, nella parte in cui non consentono al giudice dell'udienza preliminare di sindacare l'imputazione formulata dal pubblico ministero, escludendo circostanze aggravanti insussistenti e comunque diversamente qualificando il fatto- reato ai fini dell'ammissione del giudizio abbreviato richiesto dall'imputato, cui sia stato contestato un reato che - secondo la stessa imputazione - sia punibile con la pena dell'ergastolo. Nell'ordinanza di rinvio - che, in rapporto alla situazione dedotta nel giudizio a quo, ha riguardo all'ipotesi della verifica del controllo sulla sussistenza di un'aggravante che comporta la pena edittale dell'ergastolo, senza riferimento alla ipotesi del controllo sul titolo del reato-base, perchè estranea al giudizio a quo - si sostiene il contrasto delle norme denunciate con gli articoli: a) 3, primo comma, della Costituzione, nel raffronto con le disposizioni che, ad altri fini (dichiarazione di incompetenza; proscioglimento ex art. 425 c.p.p.; ordine di formulare l'imputazione ex art. 409 c.p.p.) abilitano lo stesso giudice per le indagini preliminari a valutare l'esattezza della contestazione; b) 3, 24, secondo comma, e 25 della Costituzione, per la preclusione che ne deriva all'imputato di accedere, oltre che alla riduzione di pena eventualmente disposta all'esito del giudizio, alle più ampie possibilità difensive sottese alla scelta del rito (mancanza di pubblicità; definizione allo stato degli atti; limiti all'appellabilità della decisione da parte del P.M.), e ciò in ragione di una scelta arbitraria del pubblico ministero, non sorretta da un interesse rilevante al passaggio alla fase dibattimentale e non assoggettabile ad alcun meccanismo di controllo; c) 25, primo comma, della Costituzione, per la sottrazione dell'imputato al giudice naturale dell'udienza preliminare, sempre in conseguenza di una determinazione insindacabile e non rimediabile del pubblico ministero; d) 101, secondo comma, della Costituzione per la sottoposizione del giudice alla scelta dell'organo di accusa.

 

2.- La questione non è fondata.

 

Ai fini del suo inquadramento va precisato che il petitum tende sostanzialmente ad una pronuncia che attribuisca al giudice dell'udienza preliminare, ai fini dell'applicazione del giudizio abbreviato, il potere di dare una diversa qualificazione del fatto-reato contestato, nell'ipotesi in cui ritenga erronea quella operata dal pubblico ministero in relazione alla avvenuta contestazione di una aggravante che, comportando la pena dell'ergastolo, esclude l'applicabilità di tale rito alternativo.

 

Detto potere è, allo stato, escluso dalla configurazione del giudice per le indagini preliminari, preposto - salvo qualche eccezione rispondente, come si dirà ancora, a ben individuate finalità - al controllo della "legittimità della domanda di giudizio avanzata dal pubblico ministero" (sent. n.64 del 1991) nonchè alla verifica della regolarità delle fasi anteriori al dibattimento, onde evitare che questo possa essere ostacolato, ritardato, impedito o vanificato dal mancato rispetto delle re gole processuali nelle fasi che lo hanno preceduto.

 

É perciò muovendo da tale configurazione, risultante dalla disciplina vigente, che la giurisprudenza della Corte ha chiarito (sentt. n. 23 del 1992 e n. 81 del 1991) che il codice circoscrive i poteri di quel giudice in ordine alla richiesta di giudizio abbreviato solo agli aspetti formali, precisando in particolare (ord. n. 163 del 1992) che è suo compito soltanto di verificare la decidibilità allo stato degli atti e la sussistenza dei presupposti: "vale a dire che non si tratti di reato punibile in astratto con l'ergastolo, che vi sia la richiesta dell'imputato e il consenso del pubblico ministero".

 

In tal modo, essendosi individuata nel dibattimento la sede processuale del controllo di ogni altra determinazione che comporti valutazioni di merito, come appunto la diversa qualificazione del fatto contestato, è rimasto chiarito che la delimitazione dei poteri del giudice per le indagini preliminari non preclude all'imputato di recuperare, in prosieguo, il beneficio della riduzione della pena connessa al giudizio abbreviato. Si è difatti precisato che "attese le conseguenze che sul piano sostanziale possono derivare dalla rituale richiesta di giudizio abbreviato, la valutazione definitiva in ordine ad essa spetta al giudice del dibattimento, il che comporta, ovviamente, anche il potere di controllo su tutti i presupposti che condizionano il beneficio della riduzione della pena" e, fra questi, ovviamente quello della punibilità o meno del fatto con la pena dell'ergastolo.

 

3.l. - In relazione alle indicazioni della giurisprudenza testè richiamate, sembra opportuno, prima di ogni altro, farsi carico dei rilievi che, rispetto ad esse, ha prospettato il giudice a quo a sostegno di censure formulate specie in riferimento agli artt. 3, 24 e 25 della Costituzione.

 

Nell'ordinanza di rinvio si contesta che tali indicazioni siano idonee a far superare i dubbi di costituzionalità relativamente alla impossibilità, in sede di udienza preliminare, del controllo sulla qualificazione del fatto- reato come operata dal pubblico ministero, specie in relazione all'"irrimediabile" impedimento che, in base ad una contestazione che nel dibattimento dovesse risultare errata, deriverebbe all'imputato nel potersi avvalere degli altri vantaggi che egli si ripromette di conseguire con la richiesta di giudizio abbreviato, un impedimento che verrebbe perciò a dipendere esclusivamente da un errore del pubblico ministero.

 

3.2. - Per quel che riguarda in primo luogo il rilievo secondo cui nel caso di "contestazione ostativa il P.M. si limita a rigore a far rilevare l'inammissibilità del rito e neppure può esprimersi sulla definibilità allo stato degli atti, così che manca un indispensabile elemento per poter addivenire alla riduzione dibattimentale", si deve osservare che, a fronte di una richiesta di giudizio abbreviato, il pubblico ministero, indipendentemente dalla qualificazione del fatto, è tenuto pur sempre ad esprimere il proprio punto di vista anche sulla decidibilità allo stato degli atti per consentire al giudice del dibattimento il necessario controllo in vista del possibile recupero in quella sede della richiesta ai fini della riduzione della pena. Questo non esclude che, qualora a ciò il pubblico ministero non abbia esplicitamente provveduto, il giudice del dibattimento, indipendentemente da quella che sia stata la posizione del primo nella fase predibattimentale, debba egli in ogni caso compiere, ora per allora, sempre che l'imputato ne abbia fatto richiesta all'epoca, la verifica circa la decidibilità allo stato degli atti al momento dell'udienza preliminare. Ciò per darsi ingresso a quella richiesta in funzione della riduzione della pena qualora si dovesse ritenere, con un giudizio ex ante, che la contestazione fosse ab origine errata e tale quindi da consentire, allora, il rito abbreviato.

 

3.3. - Relativamente all'altro rilievo, secondo cui il diritto alla difesa verrebbe ad essere irragionevolmente violato da una contestazione anche volutamente errata, derivandone la perdita da parte dell'imputato degli altri vantaggi che potrebbero conseguire sul piano processuale dall'accoglimento della richiesta, si deve osservare che al suo "interesse ad evitare l'udienza pubblica" non può, per intuitive ragioni, diversamente da quello che si sostiene nell'ordinanza, riconoscersi copertura costituzionale nel diritto di difesa e nel principio di eguaglianza. La possibilità per l'imputato di esaurire il giudizio nell'udienza preliminare, senza affrontare l'udienza pubblica, costituisce se mai uno dei motivi sui quali fa leva il legislatore per indurre l'imputato alla richiesta del rito alternativo previsto a deflazione dei dibattimenti, ma non può ritenersi connaturata al diritto di difesa, mentre sul piano endoprocessuale, nel quale tale possibilità esaurisce i suoi effetti, essa può essere configurata come pretesa invocabile in quanto prevista per la generalità degli imputati (art. 3 Cost.), solo se ricorrano i presupposti cui, in base alla disciplina concreta, il suo accoglimento è subordinato e, fra questi, la contestazione di un fatto-reato non punibile in astratto con l'ergastolo. Questo presupposto, d'altronde, ancorato dal codice alla contestazione, come risulta in modo chiaro dalla richiamata giurisprudenza della Corte, non può considerarsi ingiustificatamente discriminatorio, in ragione della mancata possibilità di controllo della sua esattezza da parte del giudice per le indagini preliminari, essendo questa limitazione coerente con la natura delle funzioni che il codice ha attribuito a quell'organo nella struttura del processo.

 

Che poi in concreto tale impedimento possa derivare dalla posizione assunta dal pubblico ministero è un aspetto che non rileva sul piano della legittimità costituzionale, rientrando nella normale dialettica processuale far dipendere certe conseguenze dalla condotta processuale di una delle parti, sempre che siano salvaguardati, sul piano sostanziale, il diritto di difesa e la parità di trattamento processuale a tutti i soggetti che si trovino nelle stesse situazioni.

 

3.4. - Per le medesime considerazioni va disatteso il rilievo secondo cui l'errata contestazione, impedendo la possibilità di accesso al giudizio abbreviato, comprometterebbe altri vantaggi per l'imputato quali l'"interesse strategico a giocarsi le proprie carte sulla base degli atti acquisiti che consentono la definizione del giudizio evitando l'ingresso di ulteriori elementi; la valutazione della limitazione delle possibilità di appello offerte al P.M.".

 

Una volta che si muova dalla considerazione che il recupero dibattimentale della richiesta di giudizio abbreviato ne salva gli effetti sostanziali, mentre le conseguenze che agiscono nel mero ambito processuale sono nella specie legittimamente subordinate all'esistenza di certi presupposti, voluti dal legislatore in coerenza con la struttura generale del processo e dei ruoli attribuiti a ciascuno dei suoi soggetti, l'impossibilità per l'imputato di potersi avvalere di alcune strategie processuali e di avvantaggiarsi di alcune limitazioni quanto alla possibilità di appello da parte del pubblico ministero non rilevano dal punto di vista della legittimità costituzionale. Nè sul diritto di difesa dell'imputato, nè sul suo diritto alla parità di trattamento con la generalità degli imputati. Si è difatti in presenza di diversità di situazioni processuali connesse alla articolazione della disciplina codicistica di questo particolare tipo di giudizio alternativo, disciplina che, per tutte le ragioni anzidette, appare, sotto i profili esaminati, coerente e tale quindi da giustificare la diversità delle conseguenze previste in relazione alla diversità delle situazioni considerate.

 

3.5.- Le conclusioni cui si è ora pervenuti trovano d'altronde ulteriore conferma nella considerazione per cui, ad ammettere un potere generale del giudice per le indagini preliminari di mutamento della qualificazione giuridica del fatto-reato si oppone, oltre al dato letterale (v. anche l'art. 2, direttiva n. 52) della legge-delega n. 81 del 1987, secondo cui il giudice enuncia l'imputazione formulata dal pubblico ministero),il fatto che in tale ipotesi si perverrebbe alla conseguenza di una possibile modifica peggiorativa rispetto alla posizione dell'imputato: con il risultato di produrre distorsioni nel quadro sistematico, che vede riservate al giudice dibattimentale dette valutazioni e conseguenze, talchè solo il legislatore può valuta re se consentire o meno anche tale potere.

 

Nè, infine, la prospettazione del giudice a quo risulta in armonia con le previsioni del codice che regolano il rito alternativo in parola al di fuori dell'udienza preliminare, come avviene nei casi di trasformazione del giudizio direttissimo, o del giudizio immediato, o del giudizio conseguente all'opposizione al decreto penale nel rito abbreviato, nonchè, in generale, nella disciplina del procedimento dinanzi al pretore. In tali ipotesi, difetta in radice una possibilità di sindacato "anticipato" sull'imputazione, e tuttavia non vi è ragione di prospettare alcuna lesione dei parametri costituzionali invocati; ciò che conferma l'estraneità a quest'ultimo profilo dei problemi di relazione tra le fasi del medesimo grado del processo quanto all'individuazione del giudice abilitato a sindacare l'imputazione, che allo stato il legislatore individua, in modo non irragionevole, nel giudice deputato a conoscere integralmente del fatto.

 

4.- Passando all'esame dell'altro profilo della questione, riferito anch'esso all'art. 3, primo comma, della Costituzione, esso è formulato dal giudice a quo nel rilievo per cui "non sia vero in assoluto che al giudice per le indagini preliminari non sia in alcun modo consentita una valutazione dell'imputazione che conduce ad un diverso apprezzamento dei fatti materiali da cui possa emergere una diversa qualificazione giuridica della fattispecie criminosa"; ciò, secondo il rimettente, si verifica nei seguenti casi: ai fini della dichiarazione di incompetenza (art. 22 c.p.p.); ai fini del proscioglimento immediato, in presenza di certi presupposti (art. 425 c.p.p.); in relazione all'ordine rivolto al pubblico ministero di formulare l'imputazione (art. 409 c.p.p.).

 

In proposito è sufficiente ripetere, anche alla luce della sentenza n. 64 del 1991, che l'attuale configurazione, a norma del codice, del giudice per le indagini preliminari, relativamente alle sue funzioni di giudice per l'udienza preliminare, è quella di organo preposto, in via ordinaria, alla verifica della regolarità del procedimento nonchè della sufficienza degli elementi di fatto addotti ai fini della contestazione.

 

Le ipotesi normative richiamate nell'ordinanza di rinvio (artt. 22, 409, 425 c.p.p.) rappresentano deroghe a tale configurazione, previste dal legislatore per il raggiungimento di determinate finalità proprie del processo. Deroghe, dunque, in sè non irragionevoli e comunque non idonee a poter essere invocate come tertium comparationis, per inferirne l'illegittimità costituzionale della disciplina generale (sentt. nn. 335 del 1992; 283 del 1992; 286 del 1990;769 del 1988; 46 del 1983) riguardante l'organo in parola, ed attribuirgli funzioni di natura diversa da quelle che sono proprie alla sua configurazione nel sistema processuale.

 

Un'attribuzione che, implicando anche altre conseguenze e quindi scelte legislative articolate, solo il legislatore potrebbe effettuare in un quadro di revisione della disciplina del giudizio abbreviato, ove ritenesse in tal modo di soddisfare altre esigenze connesse al suo esperimento che ritenesse meritevoli di considerazione. Ma la loro mancata soddisfazione, per le ragioni esposte in precedenza, non rileva sotto il profilo della legittimità costituzionale delle norme relative a quel giudizio che non potrebbe neppure essere messa in discussione sol perchè, nonostante la salvaguardia delle posizioni sostanziali dell'imputato, all'organo chiamato a verificare anche in quel caso solo gli aspetti che concernono la regolarità formale, non siano attribuiti poteri implicanti valutazioni di merito, analogamente a quelli previsti in casi particolari dal codice in relazione a specifiche finalità non comparabili con la situazione in esame ed in coerenza con la disciplina processuale complessiva.

 

5.l. - Neppure può essere condivisa la censura riferita all'art. 25, primo comma, della Costituzione sollevata nell'assunto che l'errata contestazione di "una aggravante palesemente insussistente, come lamentato nel caso a quo, per errore o al limite capziosamente, verrebbe a distogliere l'imputato dal giudice naturale precostituito per legge senza alcun sindacato".

 

Al riguardo si osserva che il principio della precostituzione del giudice naturale nella materia penale, come configurato dalla giurisprudenza di questa Corte, tende ad evitare che l'imputato possa essere sottratto al giudice che sarebbe stato ordinariamente competente in relazione alla fattispecie e in rapporto al momento di commissione del fatto- reato, privandolo così delle garanzie di imparzialità che egli avrebbe dinanzi a detto giudice (ex plurimis, sent. n.446 del 1990).

 

Nel caso in esame, le fattispecie sono obiettivamente rilevabili, ancorchè dipendenti dalla configurazione datane dal pubblico ministero, cui spetta in via esclusiva di formulare l'imputazione, presupposto per poter concludere il processo al di fuori della sua sede naturale, che è quella dibattimentale; ciò nelle ipotesi in cui quest'ultima sede, ricorrendone i ricordati presupposti legati anche al titolo dell'imputazione contestata, risulti superflua, offrendo all'imputato un beneficio sostanziale che - per le ragioni svolte nei punti precedenti - gli viene comunque conservato, una volta effettuata la richiesta e allorchè questa risulti, con un giudizio ex ante svolto in sede dibattimentale, accoglibile.

 

Dunque, il giudice per le indagini preliminari è, sotto il profilo funzionale, il giudice "naturale" dell'udienza preliminare se ne sussistano i presupposti di legge, ma il giudice naturale del processo penale è quello del dibattimento, che come si è già detto il nuovo codice di procedura penale individua come la sede propria per la cognizione della regiudicanda nella sua globalità e in tutti i suoi aspetti. Per questo profilo, se da un lato non vi è dubbio che la sede dibattimentale offra garanzie perlomeno non inferiori a quelle dell'udienza preliminare (v. sent. n. 64 del 1991 cit., e da ultimo, proprio in tema di giudizio del non imputabile per vizio di mente, sent. n. 41 del 1993), dall'altro si deve rimarcare che non è consentito trasporre meccanicamente, sia pure indirettamente, gli enunciati di questa Corte relativi al giudice istruttore del vecchio codice di procedura penale come giudice anch'esso "naturale" ai sensi dell'art. 25 della Costituzione, poichè profondamente diverso è il rapporto tra sede dibattimentale e sede dell'udienza preliminare nel nuovo assetto processuale rispetto al rapporto tra dibattimento e istruttoria del precedente codice.

 

Se in quest'ultimo la fluidità dell'imputazione trovava un limite solo nel principio di correlazione tra fatti contestati ed imputazione medesima all'esito della fase istruttoria, muovendosi il giudice (istruttore) all'interno di una indagine non circoscritta dall'accusa se non per la materialità dei fatti, nella vigente disciplina il giudice dell'udienza preliminare è sfornito di poteri istruttori, e deve piuttosto limitarsi a controllare la configurabilità come accusa, valida ad instaurare un processo, di una imputazione formulata da parte del pubblico ministero.

 

É pertanto conseguente al nuovo assetto e non in contrasto con il principio costituzionale sul giudice naturale il fatto che al giudice dell'udienza preliminare non sia accordato in via generale un potere di mutamento dell'imputazione, come è invece stabilito per il giudice del dibattimento (art. 521 , comma 1, c.p.p.).

 

5.2. - Conclusivamente, per quel che riguarda il giudizio abbreviato, il giudice naturale precostituito per legge è quello per l'udienza preliminare, cioé un organo, anzichè un altro, dello stesso ufficio giudiziario, solo in presenza di certi presupposti, previsti in via astratta e generale dalla stessa legge per il suo esperimento.

 

Di conseguenza quando manchino quei presupposti non si versa in una ipotesi di violazione del principio del giudice naturale perchè lo spostamento al giudice del dibattimento del controllo sul rigetto della richiesta di rito abbreviato avviene in virtù di una previsione legislativa di carattere generale, non dettata da fini discriminatori per certe categorie di imputati, ma in vista dell'assetto complessivo della disciplina processuale e fatta comunque salva la possibilità di recupero degli effetti sostanziali.

 

6.- Non fondata è infine, anche per le medesime ragioni, la censura formulata in riferimento all'art. 101 della Costituzione, che si assume violato perchè il giudice risulterebbe "così soggetto non già solo alla legge, bensì ad una scelta del P.M. che potrebbe essere erronea, paradossalmente anche capziosa, senza alcuna possibilità di sindacato giurisdizionale".

 

In proposito il riferimento al principio costituzionale della sottoposizione del giudice alla legge non è giustificato, perchè è proprio di ogni disciplina processuale subordinare la condotta del giudice all'impulso delle parti ed alle posizioni assunte da esse in concreto.

 

L'esigenza costituzionale può dirsi assolta con la previsione del controllo da parte del giudice circa la rispondenza di tali posizioni alle condizioni previste dalla legge ai fini del loro riconoscimento.

 

Lo spostamento nella specie al giudice del dibattimento di tale verifica, in dipendenza della posizione assunta dal pubblico ministero, non mette così in gioco il principio della sottoposizione del giudice alla legge, perchè è la legge che prevede tale spostamento quando ricorrano certe condizioni.

 

PER QUESTI MOTIVI

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale degli articoli 438, 439 e 440 del codice di procedura penale, sollevata, in riferimento agli articoli 3,24, secondo comma, 25 e 101, secondo comma, della Costituzione, dal giudice per le indagini preliminari presso il tribunale di Teramo con l'ordinanza indicata in epigrafe.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 05/07/93.

 

Francesco Paolo CASAVOLA, Presidente

 

Vincenzo CAIANIELLO, Redattore

 

Depositata in cancelleria il 07/07/93.