ORDINANZA N. 163
ANNO 1992
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
Dott. Aldo CORASANITI, Presidente
Prof. Giuseppe BORZELLINO
Dott. Francesco GRECO
Prof. Gabriele PESCATORE
Avv. Ugo SPAGNOLI
Prof. Francesco Paolo CASAVOLA
Prof. Antonio BALDASSARRE
Prof. Vincenzo CAIANIELLO
Avv. Mauro FERRI
Prof. Luigi MENGONI
Prof. Enzo CHELI
Dott. Renato GRANATA
Prof. Cesare MIRABELLI
Prof. Francesco GUIZZI
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nei giudizi di legittimità costituzionale dell'art. 2, punto 53, della legge 16 febbraio 1987, n. 81 (Delega legislativa al Governo della Repubblica per l'emanazione del nuovo codice di procedura penale) e degli artt. 438, 439, 440 e 442 del codice di procedura penale promossi con le seguenti ordinanze:
1) ordinanza emessa il 22 novembre 1991 dal Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Torino nel procedimento penale a carico di Ghilleri Maria Loreta ed altro iscritta al n. 53 del registro ordinanze 1992 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 7, prima serie speciale, dell'anno 1992;
2) ordinanza emessa il 29 novembre 1991 dal Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Torino nel procedimento penale a carico di Pontillo Gioacchino iscritta al n. 60 del registro ordinanze 1992 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 8, prima serie speciale, dell'anno 1992.
Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 1° aprile 1992 il Giudice relatore Vincenzo Caianiello.
Ritenuto che, nel corso di due distinti procedimenti penali, entrambi concernenti reati di omicidio aggravato, il Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Torino ha sollevato - con ordinanza in data 22 novembre 1991, (r.o. n. 53 del 1992), in riferimento al solo art. 3 della Costituzione, e con ordinanza in data 29 novembre 1991 (r.o. n. 60 del 1992), anche agli artt. 24, 25, primo comma e 101 - questione di legittimità costituzionale dell'art. 2, punto 53, della legge delega 16 febbraio 1987, n. 81, nonchè degli artt. 438, 439, 440 e 442 del codice di procedura penale;
che, in entrambi gli atti di rimessione, le norme impugnate vengono censurate, nella parte in cui non prevedendo che - a seguito della sentenza di questa Corte n. 176 del 1991 - possano essere definiti con giudizio abbreviato anche i processi per reati punibili con la pena dell'ergastolo, si porrebbero in contrasto con l'art. 3 della Costituzione, sia perchè l'ammissibilità del rito verrebbe irragionevolmente a dipendere dalla possibilità di applicare la relativa riduzione di pena che non ne costituisce connotato essenziale, sia per l'ingiustificata disparità di trattamento che si determinerebbe rispetto a reati di pari gravità e di altrettanto allarme sociale per i quali il giudizio abbreviato è invece ammissibile;
che le predette norme, peraltro, nella parte in cui non ammettono al giudizio abbreviato gli imputati di reati punibili con la pena edittale dell'ergastolo, ma che in concreto (per una diversa qualificazione giuridica del fatto, per esclusione di un'aggravante, o per concessione di un'attenuante) potrebbero essere condannati ad una pena detentiva temporanea, violerebbero:
a) l'art. 3 della Costituzione:
- per la disparità di trattamento che si verrebbe ingiustificatamente a creare rispetto a quei reati non punibili con l'ergastolo e quindi ammessi al rito abbreviato e alla riduzione della pena, ma che, di fatto, potrebbero risultare puniti con una pena anche superiore a quella concretamente irrogata per i primi;
- in quanto l'ammissibilità del rito verrebbe esclusivamente ed insindacabilmente a dipendere dalla configurazione del reato fornita dal pubblico ministero all'atto della formulazione dell'imputazione, con evidente sperequazione rispetto a quegli imputati che, pur avendo commesso lo stesso tipo di reato, sono tratti a giudizio senza contestazione dell'aggravante che ha effetti preclusivi del rito speciale;
- ancora, per l'ingiustificata disparità di trattamento che si determinerebbe tra accusa e difesa, dal momento che, mentre le ragioni di quest'ultima sarebbero sempre e comunque sottoposte al vaglio del giudice, quelle del pubblico ministero non consentirebbero, nella specie, alcuna verifica;
b) l'art. 24 della Costituzione, in quanto, rappresentando la richiesta di giudizio abbreviato un vero e proprio diritto soggettivo, l'impossibilità di ricorrere a tale rito finirebbe per privare l'imputato di un'importante opzione difensiva;
c) l'art. 25, primo comma, della Costituzione, giacchè i predetti imputati verrebbero sottratti al giudice dell'udienza preliminare e, cioè, al loro giudice naturale, qualora il pubblico ministero decida, mediante la contestazione del reato, di evitare che il processo sia definito con il giudizio abbreviato;
d)l'art. 101 secondo comma, della Costituzione, in quanto consentirebbero al pubblico ministero - attraverso la contestazione del reato - di imporre un preciso rito processuale ed una determinazione sanzionatoria (che impedisce la riduzione di pena), così sconfinando nell'attività decisoria esclusivamente riservata al giudice;
che nel giudizio promosso con l'ordinanza di rinvio in data 29 novembre 1991 è intervenuta l'Avvocatura generale dello Stato chiedendo che la questione venga dichiarata infondata.
Considerato che i giudizi vanno riuniti per la identità e analogia delle questioni sollevate;
che l'inapplicabilità del giudizio abbreviato ai reati punibili con la pena dell'ergastolo, non è in sè irragionevole, nè l'esclusione di alcune categorie di reati, come attualmente quelli punibili con l'ergastolo, in ragione della maggiore gravità di essi, determina una ingiustificata disparità di trattamento rispetto agli altri reati, trattandosi di situazioni non omogenee;
che, peraltro, l'ammissibilità del giudizio abbreviato, risultando inscindibilmente collegata alla possibilità di ottenere la riduzione della pena (sentt. nn. 277 del 1990, 176 del 1991 e 92 del 1992), non appare irragionevolmente esclusa per quei reati per i quali tale riduzione non sia possibile; che, pertanto, la questione sotto tali profili, va dichiarata manifestamente infondata;
che, per quanto attiene alle censure rivolte alle norme impugnate nella parte in cui farebbero dipendere l'ammissibilità del rito e la conseguente riduzione di pena dall'applicabilità in "astratto", e non in "concreto", della pena dell'ergastolo - e, quindi, dalla configurazione del reato fornita dal pubblico ministero all'atto della formulazione dell'imputazione, piuttosto che dalla successiva qualificazione giuridica del fatto ritenuta dal giudice, che potrebbe, in ipotesi, risultare diversa e quindi non preclusiva del rito - va rilevato che la questione è sollevata ritenendosi possibile l'attribuzione al giudice per le indagini preliminari, in sede di verifica dell'ammissibilità di detto rito, di un potere di apprezzamento dei fatti materiali dai quali può emergere una diversa qualificazione giuridica della fattispecie criminosa;
che l'attribuzione di siffatto potere non è configurabile in quanto, nella predetta sede, il potere proprio del giudice per le indagini preliminari è solo quello di verificare - sempre che ne sussistano i presupposti, vale a dire che non si tratti di reato punibile in astratto con l'ergastolo, che vi sia la richiesta dell'imputato e il consenso del pubblico ministero - la decidibilità allo stato degli atti, mentre, avendo questa Corte ritenuto (sentt. nn. 23 del 1992 e 81 del 1991) che, attese le conseguenze che sul piano sostanziale possono derivare dalla rituale richiesta di giudizio abbreviato, la valutazione definitiva in ordine ad essa spetta al giudice del dibattimento, il che comporta, ovviamente, anche il potere di controllo su tutti i presupposti che condizionano il beneficio della riduzione della pena;
che questa possibilità esclude le lamentate violazioni degli artt. 3, 24, 25 e 101 della Costituzione, in quanto il beneficio della riduzione di pena non dipende dalla valutazione del pubblico ministero, come sostenuto dai giudici remittenti, bensì dalla successiva verifica del giudice del dibattimento;
che pertanto la questione, anche sotto tale profilo, va dichiarata manifestamente infondata.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87 e 9, secondo comma, delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
Riuniti i giudizi.
dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 2, punto 53, della legge 16 febbraio 1987, n. 81 (Delega legislativa al Governo della repubblica per l'emanazione del nuovo codice di procedura penale) e degli artt. 438, 439, 440 e 442 del codice di procedura penale, sollevata, in relazione agli artt. 3, 24, 25 primo comma, e 101 della Costituzione dal Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Torino, con le ordinanze indicate in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, palazzo della Consulta, il 02/04/92.
Aldo CORASANITI, Presidente
Vincenzo CAIANIELLO, Redattore
Depositata in cancelleria il 3 aprile del 1992-