Sentenza n. 176 del 1991

 

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SENTENZA N. 176

ANNO 1991

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori:

Dott. Aldo CORASANITI                                         Presidente

Prof. Giuseppe BORZELLINO                                   Giudice

Dott. Francesco GRECO                                                 “

Avv. Ugo SPAGNOLI                                                    “

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA                               “

Prof. Antonio BALDASSARRE                                     “

Prof. Vincenzo CAIANIELLO                                       “

Avv. Mauro FERRI                                                         “

Prof. Luigi MENGONI                                                    “

Prof. Enzo CHELI                                                           “

Dott. Renato GRANATA                                                “

Prof. Giuliano VASSALLI                                              “

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 442, secondo comma, 458 secondo comma e 441 del codice di procedura penale promosso con ordinanza emessa il 31 maggio 1990 dal Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Milano nel procedimento penale a carico di Massenza Abele Sergio iscritta al n. 733 del registro ordinanze 1990 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 50, prima serie speciale, dell'anno 1990;

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

Udito nella camera di consiglio del 27 febbraio 1991 il Giudice relatore Vincenzo Caianiello;

 

Ritenuto in fatto

 

1. - Nel corso di un processo penale, dopo aver disposto il giudizio immediato, il giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Milano, ritenendo ammissibile la successiva richiesta dell'imputato di celebrare il giudizio con il rito abbreviato - richiesta sulla quale il pubblico ministero aveva espresso il proprio consenso - ha sollevato, con ordinanza in data 31 maggio 1990 (r.o. n. 733 del 1990), questione di legittimità costituzionale degli artt. 442, secondo comma, del codice di procedura penale in relazione all'art. 76 della Costituzione, 458, secondo comma, e 441, dello stesso codice, per contrasto con gli artt. 25, primo comma, e 102, terzo comma, della Costituzione, nonché dell'art. 441 del medesimo codice per violazione dell'art. 101 della Costituzione.

Ad avviso del giudice a quo, la prima delle norme impugnate, prescrivendo che, nel giudizio abbreviato, in caso di condanna, la pena dell'ergastolo possa essere sostituita con quella della reclusione ad anni trenta, si porrebbe in contrasto con l'art. 2, punto 53 della legge delega 16 febbraio 1987, n. 81, che limita l'applicabilità della diminuzione di un terzo delle pene ai soli reati puniti con pena pecuniaria o con pena detentiva temporanea, così implicitamente escludendo i delitti puniti con la pena edittale dell'ergastolo.

Inoltre, gli artt. 458, secondo comma, e 441 del codice di procedura penale, nella parte in cui prevedono che il giudizio abbreviato si svolga dinanzi al giudice per le indagini preliminari anche in relazione a procedimenti aventi ad oggetto delitti di competenza della Corte di assise, violerebbero gli artt. 25, secondo comma, e 102, terzo comma, della Costituzione. In seguito ad una scelta dell'imputato si opererebbe, difatti, una deroga alla norma generale (art. 5 lett. a) cod. proc. pen.) che attribuisce una specifica competenza per materia ad un giudice collegiale, a composizione mista e qualificato dalla diretta partecipazione popolare.

Infine, il diretto controllo della collettività sulle modalità di svolgimento del processo, che si realizza con la pubblicità dell'udienza, verrebbe compromesso dalla norma (art. 441 cod. proc. pen.) che prescrive la celebrazione del giudizio abbreviato in camera di consiglio. Risulterebbe in tal modo violata la regola generale della pubblicità dei dibattimenti giudiziari che, come questa Corte ha affermato nella sentenza n. 50 del 1989, deve ritenersi implicita nei principi costituzionali che disciplinano l'esercizio della giurisdizione, e, in particolare, nell'art. 101, primo comma, che individua il fondamento dell'amministrazione della giustizia nella sovranità popolare.

2. - Nel giudizio così promosso è intervenuta l'Avvocatura generale dello Stato eccependo, in via preliminare, l'irrilevanza della questione concernente l'art. 442, comma 2, del codice di procedura penale. Il giudice remittente, infatti, ritenuto ammissibile il giudizio abbreviato, avrebbe impugnato la predetta norma in via del tutto ipotetica, potendone fare applicazione solo dopo aver ritenuto la sussitenza del reato e la sua punibilità in concreto con la pena dell'ergastolo.

Nel merito, poi, la questione risulterebbe comunque infondata, non emergendo dai lavori preparatori della legge delega alcun elemento che possa far trasparire la volontà del legislatore delegante di circoscrivere la diminuzione di pena solo ad alcune categorie di illeciti. La norma censurata, al contrario, costituirebbe il coerente e necessario sviluppo dell'impianto processuale prefigurato nella legge delega, tendente a favorire l'adozione dei riti alternativi, in funzione di contenimento del carico dibattimentale.

Per quanto attiene alla pretesa violazione, per i reati di competenza della Corte di assise, del precetto sancito dagli artt. 25, comma 1, e 102, comma 3, della Costituzione, l'interveniente osserva che, nell'ordinamento, deve ritenersi giudice naturale precostituito anche quello che, in funzione di giudice per le indagini preliminari, è chiamato a celebrare il giudizio abbreviato. Né potrebbe sostenersi che la Corte di assise riceva una configurazione di rango costituzionale atta ad escludere l'ammissibilità di soluzioni anticipate del procedimento, rimesse ad altri organi giurisdizionali funzionalmente competenti per la fase antecedente il dibattimento.

Infine, in relazione alla lamentata violazione del principio della pubblicità dei giudizi - direttamente riconducibile al disposto dell'art. 101, comma 1, della Costituzione - l'interveniente osserva che tale principio, inteso come momento di controllo della funzione giurisdizionale, non può che riferirsi alla fase dibattimentale, pertanto, la denunciata deroga troverebbe un obiettivo e razionale fondamento nell'esigenza di evitare il dibattimento attraverso un giudizio allo stato degli atti che, proprio perché tale, non richiede quell'attività di dialettica probatoria per la quale soltanto si pone la necessità di assicurare il controllo dell'opinione pubblica.

 

Considerato in diritto

 

1. - Il giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Milano dubita, in riferimento all'art. 76 della Costituzione, della legittimità costituzionale dell'art. 442, comma 2, del codice di procedura penale, nella parte in cui "prevede che, in caso di condanna, alla pena dell'ergastolo venga sostituita la pena della reclusione di trenta anni", così estendendo agli imputati di "delitti puniti con la pena edittale dell'ergastolo" la possibilità - che si assume non prevista dall'art. 2, n. 53, della legge di delega 16 febbraio 1987, n. 81, in quanto questa la circoscriverebbe "ai reati sanzionati con pena pecuniaria ovvero con pena detentiva a termine" - di avvalersi del giudizio abbreviato, disciplinato dagli artt. 438 e seguenti del codice di procedura penale.

Altro dubbio di incostituzionalità investe, in riferimento agli artt. 25, primo comma, e 102, terzo comma, della Costituzione, gli artt. 458, comma 2, e 441 del codice di procedura penale, "nella parte in cui prevedono che il giudizio abbreviato si svolga innanzi al giudice per le indagini preliminari anche in relazione a procedimenti aventi ad oggetto delitti di competenza della Corte d'assise".

L'art. 441 del codice di procedura penale è sottoposto, altresì, a scrutinio di costituzionalità, in riferimento all'art. 101 della Costituzione, "nella parte in cui non prevede che il giudizio abbreviato debba svolgersi in pubblica udienza".

2. - Va preliminarmente disattesa l'eccezione di inammissibilità, formulata dall'Avvocatura generale dello Stato, relativamente alla prima questione, in base all'assunto che il giudice a quo l'ha sollevata in un momento in cui l'applicazione della norma denunciata si presentava come una mera eventualità, non essendo ancora stati accertati gli elementi idonei a verificare se, in concreto, fosse applicabile la pena dell'ergastolo. Difetterebbe, pertanto, il requisito dell'attualità per potersi ritenere la rilevanza della questione.

Osserva la Corte che l'ordinanza di rimessione, pur ponendo l'accento sul profilo della pena, mette in discussione la stessa possibilità, alla luce della delega, di sottoporre a giudizio abbreviato i processi relativi a delitti punibili con la pena dell'ergastolo. Il fatto che la censura sia formulata con specifico riferimento al comma 2 dell'art. 442, riguardante la pena, dipende dalla circostanza che è per effetto di quanto previsto nel secondo periodo di detto comma - cioè, la sostituzione della reclusione di anni trenta alla pena dell'ergastolo - che questa figura di giudizio, alternativo a quello ordinario, diventa applicabile anche ai processi concernenti tali delitti. Difatti, la caratteristica del giudizio abbreviato risiede proprio nell'incentivo, offerto all'imputato, di una riduzione della pena, in funzione di un più rapido svolgimento del processo, a deflazione del dibattimento. Con il mettere in discussione la possibilità di operare tale riduzione per una certa categoria di delitti, viene necessariamente messa in discussione anche la possibilità di avvalersi di quel procedimento speciale. Non è, quindi, consentito scindere i due aspetti, come, nel formulare l'eccezione, propone l'Avvocatura generale dello Stato. Né in proposito è superfluo ricordare che tale inscindibilità fu ben presente nel dibattito che precedette l'emanazione del codice e che mise appunto in evidenza come "l'assenza dell'incentivo renderebbe l'istituto pressoché inutile" (Relazione al progetto preliminare, Libro VI, Procedimenti speciali, sub Titolo I, Giudizio abbreviato, "Premessa".

3. - La questione di legittimità costituzionale del giudizio abbreviato per i processi aventi ad oggetto un delitto punibile con la pena dell'ergastolo, sollevata ex art. 76 della Costituzione sotto il profilo dell'eccesso di delega, è fondata.

L'art. 2, punto 53, della legge di delega legislativa al Governo per l'emanazione del codice di procedura penale prevede il potere del giudice di pronunciare sentenza di merito nell'udienza preliminare, decidendo allo stato degli atti su richiesta dell'imputato e consenso del pubblico ministero, ed indica contestualmente "che, nel caso di condanna, le pene previste per il reato ritenuto in sentenza siano diminuite di un terzo".

La direttiva, nella sua chiara formulazione, è tale da far ritenere che la previsione del giudizio abbreviato riguardi solo i reati punibili con pene detentive temporanee o pecuniarie, essendo la diminuzione di un terzo concepibile solo se riferita ai reati punibili con una pena quantitativamente determinata e non, quindi, ai reati punibili con l'ergastolo.

Della difficoltà di comprendere nella previsione della delega anche quest'ultima categoria di reati dovette rendersi conto la stessa Commissione redigente che, come risulta dalla relazione al progetto preliminare del codice (loc. cit., "Illustrazione degli articoli"), si pose "il problema di rendere possibile la riduzione del terzo rispetto ai reati per i quali il giudice debba infliggere l'ergastolo" (rectius, possa infliggere l'ergastolo), riconoscendo che "l'applicabilità del criterio di diminuzione previsto dall'art. 65 n. 2 c.p. (reclusione da venti a ventiquattro anni) è stata scartata anche per la considerazione che la delega prevede una diminuzione secca (di un terzo), onde è sembrato preferibile determinare in modo fisso la pena da sostituire all'ergastolo. L'entità della pena.. .. .. (trenta anni) è motivata da esigenze di prevenzione generale, che giustificano il richiamo al limite massimo della pena della reclusione consentito nel nostro ordinamento penale (art. 66 c.p.)". Questa difficoltà di determinare il criterio in base al quale attuare la delega nasceva proprio dalla carenza, nella menzionata direttiva di cui al punto 53 dell'art. 2, di un'espressa previsione: se il legislatore delegante avesse inteso estendere il giudizio abbreviato anche ai delitti punibili con l'ergastolo, avrebbe dovuto espressamente indicare il criterio sulla base del quale operare la sostituzione della pena.

La sostituzione invece operata, con la pena di trent'anni di reclusione, è stata quindi il frutto di una scelta alternativa ad altra (reclusione da venti a ventiquattro anni), che pur era stata presa in considerazione, senza però che entrambe trovassero riscontro in altri principi o criteri dettati, anche se ad altri fini, dal delegante. Scelta quindi, arbitraria rispetto alla legge di delega, non bastando a giustificarla il riferimento ad altre ipotesi di sostituzione della pena dell'ergastolo, quali previste nel codice penale in relazione a profili in nessun modo collegabili alla diminuzione di un terzo indicata dalla delega per il giudizio abbreviato.

Una volta riconosciuta (v.punto 2) la connessione tra giudizio abbreviato e diminuzione della pena e, quindi, l'impraticabilità del primo in mancanza della possibilità di operare la seconda, il venir meno di quest'ultima, per effetto della dichiarazione di illegittimità costituzionale, rende di per sé inapplicabile il giudizio abbreviato, quale disciplinato dagli artt. da 438 a 443 del codice di procedura penale, ai processi concernenti delitti punibili con l'ergastolo.

Perdono conseguentemente rilievo le questioni relative alle altre norme denunciate.

 

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

Dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 442, comma 2, ultimo periodo ("Alla pena dell'ergastolo è sostituita quella della reclusione di anni trenta"), del codice di procedura penale.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 22 aprile 1991.

 

Aldo CORASANITI - Giuseppe BORZELLINO - Francesco GRECO - Ugo SPAGNOLI - Francesco Paolo CASAVOLA - Antonio BALDASSARRE - Vincenzo CAIANIELLO - Mauro FERRI - Luigi MENGONI - Enzo CHELI - Renato GRANATA - Giuliano VASSALLI.

 

Depositata in cancelleria il 23 aprile 1991.