Sentenza n. 59

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SENTENZA N. 59

ANNO 1997

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Dott. Renato GRANATA, Presidente

- Prof. Giuliano VASSALLI

- Prof. Francesco GUIZZI

- Prof. Cesare MIRABELLI

- Prof. Fernando SANTOSUOSSO

- Avv. Massimo VARI

- Dott. Cesare RUPERTO

- Dott. Riccardo CHIEPPA

- Prof. Gustavo ZAGREBELSKY

- Prof. Valerio ONIDA

- Prof. Carlo MEZZANOTTE

- Avv. Fernanda CONTRI

- Prof. Guido NEPPI MODONA

- Prof. Piero Alberto CAPOTOSTI

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale della legge approvata dall'Assemblea regionale siciliana il 24 marzo 1996 (Provvedimenti per il personale della catalogazione del patrimonio artistico siciliano e per la custodia e fruizione dei beni culturali ed ambientali), promosso con ricorso del Commissario dello Stato per la Regione Siciliana notificato il 1° aprile 1996, depositato in Cancelleria il 10 successivo ed iscritto al n. 16 del registro ricorsi 1996.

  Visto l'atto di costituzione della Regione Siciliana;

  udito nell'udienza pubblica del 12 novembre 1996 il Giudice relatore Gustavo Zagrebelsky;

  uditi l'Avvocato dello Stato Luigi Mazzella per il ricorrente, e gli avvocati Giovanni Lo Bue e Laura Ingargiola per la Regione Siciliana.

Ritenuto in fatto

  1. -- Con ricorso notificato il 1° aprile 1996 il Commissario dello Stato per la Regione Siciliana ha impugnato la legge approvata dall'Assemblea regionale siciliana nella seduta del 24 marzo 1996, recante "Provvedimenti per il personale della catalogazione del patrimonio artistico siciliano e per la custodia e fruizione dei beni culturali ed ambientali" (disegno di legge n. 1181-1205-1209-1227), per violazione degli artt. 3, 51 e 97 della Costituzione nonché degli artt. 2, comma 1, lettera r), della legge 23 ottobre 1992, n. 421 e 22, comma 6, della legge 23 dicembre 1994, n. 724.

  Con l'art. 1 di tale provvedimento legislativo si dispone la trasformazione automatica a tempo indeterminato dei contratti di lavoro a termine, stipulati dall'amministrazione regionale con il personale già utilizzato - ai sensi dell'art. 111 della legge regionale 1° settembre 1993, n. 25, come modificato dall'art. 13 della legge regionale 29 settembre 1994, n. 34 - per la catalogazione del patrimonio culturale ed ambientale siciliano, con contratti di lavoro subordinato di diritto privato di durata triennale.

  2. -- Dopo aver affermato che la Regione Siciliana non ha ancora avviato le procedure di verifica dei carichi di lavoro dei propri dipendenti, né rideterminato la propria pianta organica, come chiesto dalla legislazione statale, il Commissario dello Stato ricorrente osserva che i contratti a termine, che si intendono trasformare ope legis a tempo indeterminato, sono stati stipulati soltanto nel secondo semestre del 1994 e pertanto non si comprende la necessità di una loro proroga legale, senza che la Regione proceda alla previa verifica dei risultati fino ad ora conseguiti. La misura non sarebbe, inoltre, giustificata da esigenze funzionali della pubblica amministrazione né da idonea motivazione, dal momento che verrebbero mantenuti i rapporti di lavoro di un rilevante numero di soggetti (700 unità) per una finalità, la catalogazione, che per sua natura è limitata nella materia e nel tempo. Unico scopo del legislatore regionale (art. 1) sembrerebbe essere quello di assicurare "stabilità occupazionale" a lavoratori che non hanno sostenuto nessuna prova di idoneità professionale al momento della stipula dei contratti e per i quali non si prevede alcuna selezione nemmeno al momento della conversione, disposta dal provvedimento legislativo impugnato, degli originari contratti a termine.

  L'illegittimità sarebbe confermata dagli artt. 2 e 3 della medesima legge regionale, perché tali norme prevedono la possibilità per la Regione di stipulare nuovi contratti di lavoro con il personale utilizzato per attività di catalogazione di altri progetti (barocco siciliano e edifici ecclesiastici siciliani), prima escluso dall'applicazione dell'art. 111 della legge regionale n. 25 del 1993 ed ora invece ricompresovi. Inoltre, la mancata fissazione di un termine per il completamento delle operazioni di catalogazione e di inventario sarebbe in contrasto con il principio dell'art. 97 Cost., perché verrebbero deresponsabilizzati i funzionari preposti alla verifica dei risultati conseguiti in relazione agli obiettivi prefissati.

  Le previsioni normative sarebbero, altresì, in contrasto con i principi posti dal legislatore nazionale in tema di razionalizzazione dell'impiego di risorse umane nelle pubbliche amministrazioni (leggi nn. 421 del 1992, 724 del 1994 e 549 del 1995) con il minimo esborso di danaro pubblico.

  3. -- Si è costituita in giudizio la Regione Siciliana per chiedere il rigetto di tutte le questioni.

  In primo luogo le norme impugnate non sarebbero né arbitrarie né irragionevoli anche alla luce di precedenti, analoghi interventi regionali in specifici settori (legge regionale 6 luglio 1990, n. 11, modificata dalla legge regionale 12 gennaio 1993, n. 9, e legge regionale 18 aprile 1981, n. 66, che hanno riguardato assunzioni a tempo indeterminato, rispettivamente, di personale tecnico del genio civile e di lavoratori forestali).

  Viene, poi, contestata l'affermazione che il legislatore regionale avrebbe così assicurato "stabilità occupazionale" ai soggetti in questione, poiché invece si è inteso dare applicazione alla normativa statale (legge 18 aprile 1962, n. 230), applicabile anche alle pubbliche amministrazioni, la quale impone per l'assunzione di lavoratori il contratto di lavoro a tempo indeterminato, salve talune eccezioni, ivi indicate, tra le quali non rientrano le categorie di personale regionale interessato dalle nuove normative.

  Sostiene la Regione che il rapporto di lavoro "a contratto", ai sensi della citata legge n. 230, "non perde i connotati di precarietà che lo distinguono, sol perché stipulato senza la fissazione di un termine; perché il limite apposto al tempo del contratto attiene alla durata (preventivamente non determinabile) del rapporto di lavoro e non alla sua stabilità"; ... tale stabilità sarebbe esclusa "dal fatto che l'assunzione avviene fuori ruolo (fuori dei posti della pianta organica), cioè in una posizione di avventiziato che, per sua stessa natura e funzione, è destinata a cessare con la cessazione del bisogno di personale che l'ha determinata".

  Il rapporto di lavoro dei catalogatori regionali non avrebbe quindi natura di pubblico impiego, bensì di impiego privato disciplinato dal contratto collettivo nazionale dei lavoratori dell'industria privata - settore metalmeccanici.

  Quanto alla pretesa violazione dell'art. 3 della Costituzione, e degli artt. 2, comma 1, lettera r), della legge n. 421 del 1992 e 22, comma 6, della legge n. 724 del 1994, la Regione osserva che le assunzioni, operate dai precedenti enti o società di provenienza con rapporti di lavoro privato, avvennero sulla base di bandi pubblicati sui maggiori quotidiani, di selezione per titoli, di tests attitudinali e di esame-colloquio, nonché nel rispetto delle norme sul collocamento.

  Non sarebbe violato il principio di uguaglianza nemmeno nei confronti dei dipendenti dell'Assessorato regionale dei beni culturali ed ambientali, in relazione a eventuali limitazioni di carriera per gli stessi, poiché le assunzioni disposte dalle norme impugnate avverrebbero "fuori ruolo", in una condizione di avventiziato che non può interferire con quella degli impiegati regionali.

  Le disposizioni statali, richiamate dal Commissario dello Stato per avvalorare le censure, non sarebbero poi conferenti perché esse si riferiscono a rapporti di pubblico impiego nei ruoli delle pubbliche amministrazioni, e tali non sono i rapporti di lavoro cui fanno riferimento le norme regionali denunciate.

  In via del tutto subordinata, la Regione - dopo aver ricordato che nei propri confronti costituiscono norme fondamentali di riforma economico-sociale soltanto i principi desumibili dall'art. 2 della legge di delega n. 421 del 1992 (sentenza n. 383 del 1994) - precisa che non risponde al vero quanto sostenuto nel ricorso e cioè che "la Regione siciliana non ha ancora avviato le procedure di verifica dei carichi di lavoro dei propri dipendenti, né tantomeno rideterminato la dotazione organica degli uffici", perché al contrario la pianta organica è stata rideterminata con delibera n. 6364 del 12 maggio 1995 e da essa si evince la carenza di 1578 figure professionali, su un totale di 3850 previste in organico. E la scelta di ricorrere a personale avventizio e a rapporti di lavoro privato, in attesa di meglio organizzare gli uffici regionali (e, specificatamente, quelli del catalogo), è mirata ad evitare assunzioni di personale non rispondente ad effettive necessità operative della pubblica amministrazione e consente alla Regione di avvalersi intanto di soggetti dotati di esperienze e professionalità acquisite nel tempo, la cui dispersione non risponderebbe ad alcun principio di ragionevolezza e di buon andamento.

  Infine la stessa Regione, dopo aver ricordato che il personale in questione è quello già utilizzato con oneri posti a carico dello Stato (art. 15 della legge 28 febbraio 1986, n. 41 sui c.d. giacimenti culturali) e poi dalla Regione (leggi regionali nn. 25 del 1993 e 34 del 1994), precisa, quanto alle censure rivolte all'art. 2 del disegno di legge, che detta norma intende porre rimedio a una dimenticanza nella quale è incorso il legislatore regionale in occasione dell'approvazione dell'art. 13 della legge n. 34 del 1994; difatti, in quella sede, per errore, il progetto del "barocco siciliano" non fu incluso insieme agli altri due omologhi, espressamente previsti (progetti relativi ai musei archeologici di Lipari e di Palermo), tutti derivati dalla legge n. 449 del 1987 sui giacimenti culturali.

  4. -- In prossimità dell'udienza la Regione Siciliana ha depositato una memoria, nella quale illustra l'importanza che riveste l'attività di catalogazione del patrimonio culturale ed ambientale, secondo la normativa comunitaria (art. 36 del Trattato di Maastricht; direttiva del Consiglio 93/7/CEE del 15 marzo 1993) e quella nazionale (art. 15 della legge 28 febbraio 1986, n. 41, sui c.d. "giacimenti culturali") che ha introdotto l'informatizzazione delle schede di catalogo anche attraverso l'intermediazione del settore privato e ha previsto un piano triennale 1997-1999 per la revisione critica dei progetti da attuare; accanto a queste normative, la legislazione regionale (legge regionale n. 80 del 1977) ha provveduto all'affidamento dei compiti prima direttamente alle Soprintendenze e poi anche al settore privato, così come in passato è avvenuto quando il Ministero dei beni culturali si è avvalso di catalogatori esterni all'amministrazione pubblica, proprio per l'attività informatica affidata a quattro consorzi (Agorà, Lexon, Quilici e Pinacos), una volta disposto dalla legge n. 41 del 1986 il finanziamento di quattro progetti da attuare in Sicilia.

  L'utilizzazione di tali soggetti ha consentito di formare, nell'arco di tempo di tre anni, un personale altamente qualificato e specializzato nell'uso delle nuove tecnologie, anche se si sono dovuti riscontrare taluni aspetti negativi a cagione della non uniformità dei sistemi operativi e della disomogenea localizzazione degli interventi sul territorio, oltreché della onerosità finanziaria dei progetti e della mancanza di un mercato del lavoro, tipico per la valorizzazione dei beni culturali.

  Nel frattempo, da parte delle Soprintendenze è proseguita, sempre con personale estraneo all'amministrazione, l'attività di catalogazione cartacea non collegata con quella informatizzata che intanto si stava avviando.

  In seguito, con la legge 20 maggio 1988, n. 160 si sarebbe aggravata la situazione della Sicilia, perché è stata affidata dallo stesso Ministero dei beni culturali a un soggetto privato concessionario la realizzazione di un progetto di catalogazione del patrimonio storico artistico degli edifici ecclesiastici siciliani, con 100 unità di personale attualmente in attività con i contratti a termine di cui all'art. 3 del disegno di legge regionale ora impugnato dal Commissario dello Stato; ciò con palese sovrapposizione al piano regionale triennale di cui all'art. 111 della legge regionale n. 25 del 1993.

  Allo scopo, quindi, di superare le riscontrate difficoltà, la legge regionale impugnata si propone interventi mirati ed omogenei utilizzando le professionalità, già formate con i giacimenti culturali in Sicilia, attraverso la gestione diretta di quel personale, in un primo momento (art. 13 legge regionale n. 34 del 1994) con la stipula di contratti di lavoro di diritto privato triennale, ed ora con la trasformazione di quei rapporti in contratti di diritto privato a tempo indeterminato; tutto ciò per conseguire la necessaria economicità e l'efficienza dell'azione amministrativa.

  Quanto alle censure formulate dal Commissario dello Stato, la Regione ne rileva la genericità e comunque l'infondatezza.

  In particolare, a suo avviso non potrebbe sostenersi la violazione dell'art. 3 della Costituzione, perché, con bando pubblicato nella Gazzetta ufficiale della Regione Siciliana del 15 ottobre 1994, era stata data comunicazione a tutti gli interessati che, chiunque si fosse trovato in possesso di determinati requisiti, avrebbero potuto stipulare i contratti di lavoro di diritto privato a tempo determinato che ora si vogliono trasformare in contratti a tempo indeterminato, senza però mutarne la natura privatistica.

  Nemmeno potrebbe dirsi violato il principio di eguaglianza con riferimento alle assunzioni originariamente effettuate dai Consorzi privati, concessionari prima del Ministero dei beni culturali e poi della Regione stessa, perché anche in quella sede furono seguiti per la selezione del personale criteri di pubblicità ed obiettività (circolare 21 maggio 1987 pubblicata nella Gazzetta ufficiale della Regione Siciliana del 1° agosto 1987).

  Inconferente sarebbe poi il richiamo agli artt. 51 e 97 della Costituzione, i cui principi possono riguardare soltanto i rapporti di pubblico impiego e non invece quelli di natura privatistica.

Considerato in diritto

  1.1.-- Il Commissario dello Stato per la Regione Siciliana ricorre contro la legge approvata dall'Assemblea regionale siciliana il 24 marzo 1996, recante "Provvedimenti per il personale della catalogazione del patrimonio artistico siciliano e per la custodia e fruizione dei beni culturali ed ambientali" (disegno di legge n. 1181-1205-1209-1227), per violazione degli articoli 3, 51, e 97 della Costituzione, nonché degli articoli 2, comma 1, lettera r), della legge n. 421 del 1992 e 22, comma 6, della legge n. 724 del 1994.

  La legge regionale è impugnata relativamente all'art. 1 e agli artt. 2 e 3, rispetto ai quali ultimi vengono fatte valere le medesime ragioni d'incostituzionalità prospettate in relazione al primo.

  L'art. 1, nell'autorizzare l'amministrazione ad avvalersi senza soluzione di continuità del personale di cui all'art. 111 della legge regionale 1° settembre 1993, n. 25 (modificato dall'art. 13 della legge regionale 29 settembre 1994, n. 34), "Al fine di consentire l'attuazione immediata di un programma regionale di inventariazione e catalogazione computerizzata dei beni culturali, archeologici, monumentali, storici, artistici, archivistici, librari, etnoantropologici, naturali e naturalistici esistenti in Sicilia", "consentendo altresì la massima conoscenza e fruibilità dell'intero patrimonio culturale ed ambientale siciliano" (comma 1), prevede la trasformazione a tempo indeterminato dei contratti già stipulati tra l'amministrazione regionale e tale personale (comma 2).

  Gli articoli 2 e 3 estendono il predetto articolo 111 della legge regionale 1° settembre 1993, n. 25 (a) al personale utilizzato nell'ambito del progetto denominato "rilevazione per il recupero del barocco siciliano", di cui all'articolo 1, lettera e), del decreto-legge 7 settembre 1987, n. 371, convertito con modificazioni nella legge 29 ottobre 1987, n. 449; (b) al personale utilizzato per il progetto denominato "patrimonio storico-artistico negli edifici ecclesiastici siciliani", di cui alla legge 20 maggio 1988, n. 160, nonché (c) al personale utilizzato per le catalogazioni esterne delle sovrintendenze siciliane con regolari contratti, che abbia consegnato i lavori, oggetto dei singoli incarichi, entro il 31 dicembre 1995. Con tale personale, l'amministrazione regionale viene autorizzata a stipulare contratti di lavoro a tempo determinato.

  1.2.-- Le disposizioni impugnate sono inserite in una vicenda risalente negli anni.

  La legge regionale impugnata si riferisce al personale previsto dall'art. 111 della legge regionale n. 25 del 1993 (Interventi straordinari per l'occupazione produttiva in Sicilia), modificato in senso estensivo dall'art. 13 della legge regionale n. 34 del 1994, al quale gli artt. 2 e 3 della medesima legge operano un'ulteriore aggiunta di personale, già impiegato in attività di rilevamento, ma non preso in considerazione dall'art. 111.

  "Al fine di pervenire alla costruzione e alla gestione del catalogo regionale dei beni culturali e ambientali, previsto dalla lettera b), dell'art. 9 della legge regionale 7 novembre 1980, n. 116", tale disposizione autorizzava l'Assessore regionale per i beni culturali e ambientali e per la pubblica istruzione ad approvare un piano triennale di interventi contenente, tra il resto, la previsione della "stipula da parte di tutti gli uffici periferici dell'Assessore regionale dei beni culturali ed ambientali e della pubblica istruzione di convenzioni triennali con contratto di diritto privato, ai sensi dell'art. 12, ultimo comma, della legge regionale 7 novembre 1980, n. 116 [il quale, a sua volta, prevede la stipula di convenzioni e contratti di collaborazione con istituti universitari ed esperti in materia di beni culturali], con il personale già utilizzato nelle campagne di catalogazione del patrimonio culturale siciliano effettuate in Sicilia oltre che con i fondi del proprio bilancio .... anche in attuazione dell'art. 15 della legge 28 febbraio 1986, n. 41, e della legge regionale 9 agosto 1988, n. 26". E con l'art. 13 lettera f) della legge 29 settembre 1994, n. 34, la disposizione anzidetta veniva modificata e ampliata, prevedendosi "contratti di lavoro subordinato di diritto privato di durata triennale non rinnovabile, sulla base degli schemi formulati dall'Assessorato stesso" a favore del "personale già utilizzato nelle campagne di catalogazione del patrimonio culturale siciliano effettuate in Sicilia oltre che con i fondi del proprio bilancio ... anche in attuazione dell'art. 15 della legge 28 febbraio 1986, n. 41, dell'art. 1, lettera e) del decreto-legge 7 settembre 1987, n. 371, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 ottobre 1987, n. 449 (Progetto di adeguamento tecnologico dei musei archeologici regionali di Lipari e di Palermo) e della legge regionale 9 agosto 1988, n. 26 e che, per quanto attiene i collaboratori esterni delle Soprintendenze, alla data del 21 settembre 1993 abbia consegnato i lavori oggetto dei singoli incarichi".

  Si stabiliva inoltre che il rapporto di lavoro così costituito sarebbe stato "regolato dalle norme del contratto collettivo nazionale dei lavoratori dell'industria privata - settore metalmeccanici - anche per quanto attiene ai criteri di inquadramento ed in quanto compatibili" e che il medesimo contratto sarebbe stato "incompatibile con qualsiasi rapporto di lavoro subordinato privato o pubblico e con l'esercizio di arti e professioni". L'Assessorato, sentite le organizzazioni sindacali, avrebbe disposto "l'assegnazione dei lavoratori assunti ai sensi del presente articolo sulla base delle necessità manifestate dagli uffici periferici o in considerazione delle esigenze di una equilibrata attuazione delle predette linee operative e tecniche".

  1.3.-- Per la messa in opera della normativa regionale ora richiamata, in vista del "reclutamento degli aventi diritto nell'ambito della catalogazione dei beni culturali e ambientali", l'Assessorato dei beni culturali ed ambientali e della pubblica istruzione ha provveduto all'emanazione di un "Bando di assunzione" (G.U.R.S. 15 ottobre 1994) nel quale si stabilivano i requisiti delle domande (l'indicazione del titolo di studio e di eventuali specializzazioni, della mansione espletata e della prestazione effettuata in precedenza, dell'eventuale qualifica di riferimento, dell'ambito tipologico, del precedente soggetto utilizzatore, dell'eventuale data di consegna dei lavori e della durata della prestazione, dei titoli di precedenza quali medaglie al valore, mutilazioni e invalidità, ecc.) e, in mancanza di prove selettive e in assenza di regole di valutazione, si stabiliva che, a parità di titoli, la preferenza fosse determinata dallo stato di coniugato con riguardo al numero dei figli, dall'aver prestato lodevole servizio nella amministrazione dello Stato, dall'età. Sulla base di ciò, il decreto assessorile del 27 settembre 1996 (G.U.R.S. 12 ottobre 1996) approvava una graduatoria di "aventi diritto", inclusi in una graduatoria comprendente 552 nominativi.

  I suddetti "aventi diritto" provengono da una selezione già operata per dare attuazione ai precedenti provvedimenti, statali e regionali, oggetto di richiamo da parte dell'art. 111 citato.

  In particolare, la legge 28 febbraio 1986, n. 41 [Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 1986)], all'art. 15, autorizzava una spesa "da destinarsi alla realizzazione di iniziative volte alla valorizzazione di beni culturali, anche collegate al loro recupero ... e alla creazione di occupazione aggiuntiva di giovani disoccupati da lungo periodo". A tal fine, si prevedeva l'elaborazione di "progetti finalizzati" da parte del Ministero per i beni culturali e ambientali, indicanti, tra il resto, "il numero e la qualificazione professionale di addetti specificamente assunti per l'attuazione dell'iniziativa" (art. 15, secondo comma, lettera c). Con l'approvazione dei progetti, il CIPE indicava altresì i "soggetti concessionari" cui ne veniva affidata la realizzazione. Gli atti di concessione, approvati con decreto del Ministro per i beni culturali e ambientali, dovevano indicare "il numero nonché la qualificazione professionale degli addetti che [sarebbero stati] specificamente assunti con contratto a termine e con chiamata nominativa tra soggetti di età non superiore a 29 anni che [risultassero] inseriti nelle liste di collocamento da oltre 12 mesi o che comunque non [avessero] avuto alcuna occupazione da oltre 12 mesi secondo quanto attestato dal libretto di lavoro". Era altresì "fatta salva la possibilità di assumere, con le medesime modalità, tecnici o laureati i quali, ancorché [avessero] superato il ventinovesimo anno di età, [avessero] già svolto, con contratto a tempo, attività di intervento sui beni culturali presso le sovrintendenze" (art. 15, commi 4, 5 e 6, lettera b).

   Per la selezione del personale suddetto da assumere con contratto a termine e da impiegare in attuazione di progetti relativi alla Sicilia assegnati a "imprese concessionarie" siciliane, la circolare 21 maggio 1987, n. 69 dell'Assessorato del lavoro, della previdenza sociale, della formazione professionale e dell'emigrazione della regione Sicilia (G.U.R.S. 1° agosto 1987), premesso che la normativa in questione afferiva "precipuamente alla adozione di interventi intesi a incrementare i livelli di occupazione giovanile", stabiliva che sarebbe stata "cura delle imprese concessionarie trasmettere a questo Assessorato copia della documentazione concernente lo svolgimento delle procedure di selezione del personale (bandi, tests, graduatorie, etc.), che [avrebbero dovuto], comunque, rispondere a criteri di pubblicità ed obiettività, oltre ad assicurare, ovviamente, l'accertamento dei requisiti di professionalità richiesti in rapporto alle mansioni da svolgere".

  Questo, nell'essenziale, è lo sviluppo normativo e applicativo al quale la legge impugnata apporta ora un nuovo tassello: dal contratto a termine con le imprese private concessionarie, nel 1987, al contratto a termine con l'amministrazione regionale dei beni culturali e ambientali nel 1994, per approdare infine al contratto a tempo indeterminato con la medesima amministrazione, disposto dalla normativa del 1996, qui impugnata.

  1.4. -- In sintesi, ad avviso del ricorrente, le norme impugnate, di per sé e nella ricordata sequenza temporale dei provvedimenti legislativi e attuativi di cui sono parte, si configurano come misure di assunzione aventi natura assistenziale, contrastanti con l'imparzialità e il buon andamento dell'amministrazione pubblica nonché con i principi di uguaglianza e di parità nell'accesso agli uffici pubblici (articoli 97, 3 e 51 della Costituzione) e costituiscono, altresì, violazione dei principi delle riforme economico-sociali della legislazione statale, dettati per razionalizzare la disciplina delle assunzioni di personale nella pubblica amministrazione e per contenere la spesa relativa (articoli 2, comma 1, lettera r), della legge n. 421 del 1992 e 22, comma 6, della legge n. 724 del 1994).

  2. -- Il ricorso è fondato.

  3.1. -- In generale, nelle scelte relative alla creazione e all'organizzazione dei pubblici uffici spetta al legislatore, sia statale che regionale, un vasto ambito di discrezionalità che non si sottrae, tuttavia, al sindacato sotto il profilo del buon andamento e dell'imparzialità proclamati dall'art. 97, primo comma, della Costituzione, secondo i canoni della non arbitrarietà e della ragionevolezza (tra le molte, sentenze nn. 1 del 1989, 10 del 1980 e 123 del 1968).

  L'art. 97, inoltre, è applicabile anche alla disciplina dei rapporti d'impiego in tutti i loro momenti, dalla costituzione all'estinzione, in quanto idonei a condizionare il funzionamento dell'amministrazione pubblica (ad es., sentenza n. 52 del 1981).

  Infine, quanto al necessario rispetto dei principi posti dallo stesso art. 97, nessun rilievo può assumere né la natura (di diritto pubblico o privato: distinzione, del resto, oggi recessiva di fronte alla disciplina in parte assimilatrice, contenuta nella legislazione più recente) né la stabilità di tale rapporto d'impiego (a tempo determinato, indeterminato o di ruolo) tra l'amministrazione e i suoi dipendenti. L'applicabilità di tali principi - pena l'elusione della norma della Costituzione - dipende infatti dalla natura pubblica del soggetto cui il rapporto di impiego fa capo e non dalle caratteristiche dello strumento giuridico utilizzato per allacciarlo.

  3.2. -- In particolare, poi, dai suddetti principi posti dall'art. 97 della Costituzione, e specialmente da quello di buon andamento, deriva che l'espansione dell'impiego presso le amministrazioni pubbliche - fuori dei casi in cui si tratti della protezione, in base a previsioni normative, di situazioni giuridiche acquisite, le quali giustifichino la creazione di posti in soprannumero - non può rendersi indipendente dalla preventiva e condizionante valutazione dell'oggettiva necessità di personale per l'esercizio di pubbliche funzioni (sentenza n. 205 del 1996): una valutazione che, nel rispetto del principio di legalità (sentenza n. 728 del 1988), si esprime di norma, in relazione alle esigenze permanenti, connesse alle funzioni istituzionali dell'ente, attraverso le procedure previste per la definizione dell'organico e l'eventuale determinazione di nuovi posti da coprire con dipendenti di ruolo. Ma tale valutazione non può mancare neppure al di fuori di tali esigenze, quando si tratti di compiti di natura temporanea (di durata definita o non definita), per lo svolgimento dei quali il personale di ruolo debba essere affiancato da altro personale, reclutato attraverso diverse, meno stabili e più flessibili forme di assunzione.

  La carenza di una previa valutazione delle esigenze funzionali, infatti, finirebbe per incrementare inutilmente e quindi irragionevolmente il numero dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni e per subordinare l'interesse pubblico a quello del personale, con ciò venendosi a determinare quell'inversione di priorità che questa Corte, in diverse circostanze, ha già ritenuta lesiva dell'art. 97 della Costituzione (ad es., sentenze nn. 205 del 1996, 484 del 1991, 1 del 1989 e 123 del 1968, nonché, a contrario, 477 del 1995 e 250 del 1993), anche indipendentemente dalla recente legislazione statale di principio sull'impiego pubblico, la quale dei sopra indicati principi costituzionali costituisce una puntualizzazione (da ultimo, gli artt. 2, comma 1, lettera r), e comma 2 della legge 23 ottobre 1992, n. 421 e 22, commi 6 e 8, della legge 23 dicembre 1994, n. 724, invocati dal ricorrente, in quanto norme fondamentali di riforma economico-sociale, vincolanti anche la legislazione delle regioni ad autonomia speciale).

  Queste proposizioni, tratte dall'art. 97 della Costituzione, non negano che l'impiego presso le pubbliche amministrazioni, come del resto qualsiasi rapporto d'impiego, possa essere finalizzato a interessi pubblici ulteriori, rispetto a quelli propri delle amministrazioni stesse (principalmente, l'interesse all'occupazione) e possa per questo essere oggetto di speciali normative incentivanti (sentenza n. 63 del 1995). Tuttavia, per non confliggere con l'art. 97 della Costituzione, tali eventuali interessi possono essere soltanto aggiuntivi e non sostitutivi, rispetto a quelli che qualificano principalmente l'impiego presso l'amministrazione pubblica. Il loro riconoscimento legislativo non può pertanto prescindere dal rispetto dei principi costituzionali di buon andamento e di imparzialità della pubblica amministrazione.

  4.1. -- Con questo quadro di vincoli costituzionali le norme impugnate - indipendentemente dal loro carattere provvedimentale e personale, non dedotto nel presente giudizio - non risultano compatibili.

  L'esposizione che precede, relativa alla sequenza normativa e applicativa in cui esse si inseriscono, mostra innanzitutto con chiarezza che le norme denunciate operano per l'appunto quell'inversione d'ordine di priorità, che l'art. 97 della Costituzione non consente, tra l'interesse del personale all'impiego e le esigenze dell'amministrazione pubblica.

  Come più sopra riferito, tanto secondo la legge n. 41 del 1986 quanto secondo la legge regionale n. 25 del 1993, i contratti di lavoro stipulati dai soggetti beneficiari delle norme denunciate, prima con i soggetti concessionari previsti dall'art. 15, comma 5, della legge n. 41 e poi con l'amministrazione regionale, a norma dell'art. 111 della legge regionale n. 25, erano contratti a termine. Si trattava infatti di realizzare programmi finalizzati, aventi una durata prestabilita. Coerentemente, a ciò seguiva, nei contratti stipulati a quello scopo, la fissazione di una durata corrispondente.

  Con la normativa ora impugnata, invece, si rompe tale rapporto di congruenza tra la temporaneità dei compiti e la temporaneità del rapporto d'impiego. Il fine del legislatore è ancora la realizzazione di un programma per sua natura destinato a esaurirsi con la sua realizzazione - secondo l'art. 1: un programma di inventariazione e catalogazione del patrimonio artistico siciliano - ma, contraddittoriamente, il personale chiamato a realizzarlo viene a fruire di un contratto a tempo indeterminato.

  4.2. -- La difesa della Regione, nella memoria del 28 ottobre 1996 menzionata nella narrativa del fatto, si sofferma ad argomentare, oltre che l'importanza, alla stregua della normativa regionale, statale e comunitaria sulla protezione dei beni culturali, dell'attività di catalogazione che è oggetto della legge in questione, anche il carattere permanente di tale attività, rientrante nei compiti istituzionali della Regione. Ciò non vale tuttavia a superare il rilievo che la normativa impugnata ha di mira un programma straordinario - al quale non si potrebbe far fronte per mezzo delle strutture amministrative ordinarie - per la prima inventariazione e catalogazione dei beni culturali, distinta dall'ordinaria gestione successiva. Le considerazioni della difesa della Regione cadono fuori della portata della normativa impugnata. Esse, se possono valere a giustificare la necessità per l'amministrazione regionale di disporre di personale, legato da uno stabile rapporto d'impiego (e quindi, in linea di principio, un personale di ruolo), per l'espletamento delle normali attività connesse alla gestione del catalogo, successive alla sua predisposizione, non valgono certo a dimostrare il carattere permanente delle funzioni dei catalogatori, così come previste dalla normativa impugnata.

  Tutto ciò costituisce sintomo insuperabile dell'irragionevolezza delle determinazioni del legislatore regionale che, deviando dall'intento dichiarato, ha posto una disciplina di stabilizzazione nell'impiego irrazionale ed eccedente rispetto alla natura dei compiti assunti dall'amministrazione regionale e assegnati per la loro realizzazione al personale originariamente assunto con contratto a tempo determinato: una disciplina che, per la parte concernente la trasformazione dell'originario rapporto a tempo determinato in rapporto a tempo indeterminato, può spiegarsi - ma non giustificarsi - soltanto come strumento di garanzia occupazionale.

  Questa constatazione non è certo contrastabile col riferimento che la difesa regionale fa, come argomento di giustificazione della normativa impugnata, alla legge 18 aprile 1962, n. 230 (Disciplina del contratto di lavoro a tempo determinato) e, in particolare, alla "conversione" del contratto a tempo determinato in contratto a tempo indeterminato disposta a tutela del lavoratore dall'art. 2, comma 2, nel caso di rapporto che continua dopo la scadenza del termine. Tale disciplina statale di "conversione", che la giurisprudenza considera applicabile anche ai rapporti d'impiego con le pubbliche amministrazioni, riguarda la tutela concreta dei singoli lavoratori e non ha nulla a che fare con le ragioni giustificative di un provvedimento legislativo che non può non essere dettato da motivi connessi all'interesse dell'amministrazione e che deve rispettare le regole che la Costituzione prevede in proposito. I piani dunque non si incontrano. Ma il richiamo alla legge n. 230 del 1962 è comunque significativo della prospettiva costituzionalmente impropria in cui la normativa regionale viene a collocarsi: la protezione di interessi degli impiegati, piuttosto che il soddisfacimento di un pubblico interesse dell'amministrazione.

  La conclusione circa l'illegittimità costituzionale della normativa impugnata viene rafforzata dalla constatazione dell'inesistenza di qualsiasi valutazione di congruità tra le dimensioni del programma stesso e le conseguenti attuali necessità di personale. La legge si riferisce a tutto il personale già assunto con contratto a termine (termine tuttora in corso) per la realizzazione di anteriori progetti nello stesso campo e, rispetto a questo ambito di "aventi diritto" così individuati, dispone in blocco la "conversione" del contratto. Il che, insieme all'assenza di qualunque verifica circa lo stato di avanzamento dell'esecuzione di tali progetti, per la parte già messa in opera, conferma ulteriormente il difetto della disciplina denunciata, rispetto al fine del buon andamento della pubblica amministrazione.

  4.3. -- Non varrebbe osservare, con la difesa della Regione, che al rapporto è estraneo il carattere della stabilità, ciò che, per le pubbliche amministrazioni, si realizza propriamente solo nell'ambito dell'assunzione in ruolo. L'assunzione anche con contratto a tempo determinato, sotto questo punto di vista, darebbe origine a una forma di "avventiziato", destinato a cessare, per la sua stessa natura e la sua funzione, con l'esaurirsi delle necessità che l'abbiano giustificato.

  Questa considerazione che, se esatta, varrebbe a ristabilire il rapporto di congruenza tra durata temporanea del compito di catalogazione e natura dei rapporti di lavoro costituiti a tal fine, trascura di considerare che nulla la normativa impugnata dispone circa l'eventuale cessazione di rapporti di lavoro, trasformati a tempo indeterminato, in connessione con l'esaurimento dei compiti per i quali sono stati stipulati. La circostanza che tale silenzio sia mantenuto anche rispetto alla verificazione sullo stato di attuazione del programma e sul suo eventuale esaurimento induce a ritenere che le norme impugnate perseguano per l'appunto un fine di stabilizzazione: un fine che, eludendo le forme del pubblico impiego, si mira a raggiungere sotto lo schermo di formule privatistiche, aggirando tuttavia i principi dell'articolo 97 della Costituzione. Il che non è consentito in quanto essi valgono a protezione di esigenze proprie della pubblica amministrazione, indipendentemente dalle forme prescelte dal legislatore per stringere rapporti d'impiego che facciano capo a essa.

  4.4. -- In analoghe censure di incostituzionalità incorrono, infine, gli articoli 2 e 3 della legge impugnata. L'autorizzazione alla stipula di contratti di lavoro a tempo determinato con il personale ivi indicato, già impegnato in precedenti programmi di catalogazione, prescinde totalmente - sia per la mancanza di un termine, sia per l'indeterminatezza temporale dei programmi medesimi - da qualunque valutazione di congruenza tra la durata del rapporto e la natura dei compiti da svolgere. Tale carenza costituisce di per sé lesione dell'articolo 97 della Costituzione.

  5. -- L'accertata violazione dell'art. 97 della Costituzione, con riguardo al principio del buon andamento della pubblica amministrazione, assorbe ogni altro profilo di illegittimità prospettato dal ricorrente.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

  dichiara l'illegittimità costituzionale degli articoli 1, 2 e 3 della legge approvata dall'Assemblea regionale siciliana il 24 marzo 1996 (Provvedimenti per il personale della catalogazione del patrimonio artistico siciliano e per la custodia e fruizione dei beni culturali ed ambientali).

  Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 26 febbraio 1997.

  Renato GRANATA, Presidente

Gustavo ZAGREBELSKY, Redattore

Depositata in cancelleria il 4 marzo 1997.