SENTENZA N. 127
ANNO 1995
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
- Prof. Antonio BALDASSARRE, Presidente
- Prof. Vincenzo CAIANIELLO
- Avv. Mauro FERRI
- Prof. Luigi MENGONI
- Prof. Enzo CHELI
- Dott. Renato GRANATA
- Prof. Giuliano VASSALLI
- Prof. Francesco GUIZZI
- Prof. Cesare MIRABELLI
- Prof. Fernando SANTOSUOSSO
- Avv. Massimo VARI
- Dott. Cesare RUPERTO
- Dott. Riccardo CHIEPPA
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio promosso con ricorso della Regione Puglia notificato il 23 dicembre 1994, depositato in Cancelleria il 5 gennaio 1995, per conflitto di attribuzione sorto a seguito del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri dell'8 novembre 1994 (Dichiarazione dello stato di emergenza a norma dell'art. 5, comma 1, della legge 24 febbraio 1992, n. 225, in ordine alla situazione socio-economico-ambientale determinatasi nella Regione Puglia) e dell'ordinanza dello stesso Presidente del Consiglio dell'8 novembre 1994 (Immediati interventi per fronteggiare lo stato di emergenza socio- economico-ambientale determinatosi nella Regione Puglia), ed iscritto al n. 1 del registro conflitti 1995.
Visto l'atto di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri; udito nell'udienza pubblica del 21 febbraio 1995 il Giudice relatore Francesco Guizzi; uditi l'avv. Alessandro Pace per la Regione Puglia e l'Avvocato dello Stato Ivo M. Braguglia per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1.1. La Regione Puglia solleva conflitto di attribuzione nei confronti del Presidente del Consiglio dei ministri in relazione al decreto, emanato dallo stesso Presidente del Consiglio l'8 novembre 1994 (Dichiarazione dello stato di emergenza a norma dell'art. 5, comma 1, della legge 24 febbraio 1992, n. 225, in ordine alla situazione socio-economico-ambientale determinatasi nella Regione Puglia), con il quale il Governo dichiara lo stato di emergenza ambientale nella suddetta Regione dal 27 ottobre 1994 al 31 dicembre 1995; e in relazione all'ordinanza emessa in pari data (Immediati interventi per fronteggiare lo stato di emergenza socio-economico-ambientale determinatosi nella Regione Puglia) che delega il Prefetto di Bari a predisporre il programma degli interventi.
In subordine, la Regione richiede che la Corte sollevi innanzi a sè questione di legittimità costituzionale dell'art. 2 della legge n. 225 del 1992, con riguardo all'art. 97 della Costituzione; dell'art. 5, comma 2, della citata legge, per contrasto con gli artt. 1, 5, 11, 70, 76, 77, 117, 118 e 119 della Costituzione; e, ancora, degli artt. 3, comma 5, e 5, comma 1, della legge n. 225, in riferimento all'art. 97, agli artt. 5, 11, 117, 118 e 119 e agli artt. 1, 70, 76 e 77 della Costituzione.
La Regione presenta altresì, ai sensi dell'art. 40 della legge 11 marzo 1953, n. 87, istanza di sospensione dell'esecuzione dei provvedimenti impugnati.
1.2. La Regione Puglia denuncia, innanzitutto, l'illegittimità del decreto del Presidente del Consiglio che dichiara lo stato di emergenza, per invasione delle sue attribuzioni protette dagli artt. 117, 118 e 119 della Costituzione, e per violazione e falsa applicazione dell'art. 2, lett. c), della legge n. 225 del 1992, non essendovi i presupposti per l'adozione del provvedimento. Non ricorre, a suo avviso, la calamità naturale o catastrofe, di cui alla lettera c), dal momento che vi è stato solo un pericolo di contagio, come risulta anche dal rapporto redatto dalla direzione generale dei servizi per l'igiene pubblica del Ministero della sanità; nè ricorre l'ipotesi residuale degli < altri eventi che, per intensità ed estensione, debbono essere fronteggiati con mezzi e poteri straordinari>. Nel territorio pugliese non si è infatti sviluppata una vera e propria epidemia colerica, ma soltanto un pericolo di contagio dovuto a carenze strutturali di tipo endemico.
Il Governo avrebbe dovuto effettuare una scelta diversa: conferire alla Regione mezzi adeguati a fronteggiare la situazione di emergenza, per avviare una politica coordinata di risanamento del territorio, e non impiegare poteri straordinari. La situazione non rientrava, certo, nella fattispecie di cui alla lettera c) dell'art. 2, ma in quella prevista dalla lettera b) del medesimo articolo, in cui si parla di eventi che postulano l'intervento coordinato degli enti o amministrazioni competenti in via ordinaria. Non si sarebbe così espropriata la Regione delle attribuzioni garantite dagli artt. 117, 118 e 119 della Costituzione, secondo la prospettiva che questa Corte ha già delineato nella sent. n. 418 del 1992, chiarendo come la legge n. 225 non abbia modificato la ripartizione delle materie e delle competenze fra lo Stato e le Regioni, nè determinato l'accentramento di competenze e poteri.
In tema di protezione civile spettano allo Stato l'indirizzo e il coordinamento delle attività di programmazione, prevenzione e intervento, ferme restando le attribuzioni regionali. E infatti l'art. 5, comma 2, della legge n. 225 fa salve sia le competenze riservate dall'art. 12 della stessa legge alle Regioni, sia i principi generali dell'ordinamento giuridico, fra i quali vi è, senza dubbio, la ripartizione delle funzioni fra lo Stato e le Regioni.
1.3. La Regione impugna, conseguentemente, l'ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri 8 novembre 1994 per violazione delle attribuzioni che le sono garantite dagli artt. 117, 118, commi primo e terzo, 129, comma primo, e 133 della Costituzione, nonchè dagli artt. 3, 18, 19, 63 e 64 dello Statuto regionale; estende il riferimento all'art. 3 della legge 8 giugno 1990, n. 142, ritenendosi esposta al pericolo di non poter più regolare i rapporti con gli enti locali che operano nel suo territorio; e richiama, infine, gli artt. 11, 12, 15, 17, 19 e 20 della legge n. 142, da ultimo citata, denunciando la lesione dei poteri ad essa demandati per assolvere quel ruolo di coordinamento e programmazione che le ha riconosciuto anche la Corte costituzionale, in particolare con la sentenza n. 343 del 1991.
Qualora il Commissario delegato faccia uso dei poteri derogatori conferitigli nei confronti della legislazione regionale sulla programmazione (legge regionale 4 marzo 1975, n. 24, e successive integrazioni), questa risulterebbe vanificata; considerazioni analoghe valgono, ad avviso della ricorrente, per i poteri in deroga per l'assetto e utilizzazione del territorio, l'urbanistica, la tutela ambientale e paesaggistica, venendo la Regione esclusa anche dalle procedure sulla valutazione di compatibilità ambientale, di cui all'art. 6 della legge 8 luglio 1986, n. 349.
Circa lo smaltimento dei rifiuti, l'art. 2 dell'ordinanza richiama nominatim, quale suscettibile di deroga, tutta la normativa regionale in questa materia, che rientra in quelle contemplate dall'art. 117 della Costituzione, in riferimento a quanto stabilito dall'art. 101 del d.P.R. n. 616 del 1977 (sentt. nn. 324 del 1989 e 192 del 1987). Sono altresì compromesse le attribuzioni regionali sull'inquinamento delle acque e la gestione delle risorse idriche (art. 90 d.P.R. n. 616 del 1977), sui lavori pubblici e l'espropriazione, sull'assistenza sanitaria e ospedaliera, l'avviamento al lavoro, l'autonomia finanziaria e la contabilità regionale. E infine, nell'assegnare al Commissario delegato le risorse finanziarie per l'attuazione degli interventi previsti, l'art. 5 dell'ordinanza limita in modo grave l'autonomia finanziaria regionale.
Il Governo sembra aver sottoposto a totale regime commissariale la Regione Puglia, privandola dei poteri che le spettano quale ente esponenziale della collettività territoriale: un obiettivo per realizzare il quale non sarebbe utilizzabile neanche la decretazione d'urgenza ex art. 77 della Costituzione, dovendosi ricorrere alle procedure, ben più garantistiche, di cui all'art. 126 della Costituzione.
Sulla base di tutti i rilievi precedentemente svolti, la ricorrente conclude per l'illegittimità dell'ordinanza per falsa applicazione della legge n. 225 del 1992.
1.4. In via subordinata, essa chiede che la Corte sollevi innanzi a sè questione di legittimità dell'art. 5, comma 2, di detta legge, per contrasto con gli artt. 1, 5, 11, 70, 76, 77, 117 e 118 della Costituzione: e, invero, anche a voler considerare legittima, in ipotesi, l'ordinanza di necessità e di urgenza, questa non potrebbe comunque vulnerare le situazioni giuridiche soggettive e i poteri aventi immediata copertura costituzionale (sentt. nn. 26 del 1961, 4 del 1977, 307 del 1983, 201 del 1987), giacchè le competenze regionali possono essere esercitate anche nell'emergenza.
1.5. In ulteriore subordine, la ricorrente denuncia l'illegittimità sopravvenuta del d.P.C.m. 8 novembre 1994 e, quindi, dell'ordinanza presidenziale.
La Corte ha osservato come l'emergenza consista in una condizione anomala e grave, ma anche temporanea (sent. n. 15 del 1982) sostenendo che i provvedimenti extra ordinem consequenziali, emanati da autorità amministrative, debbono essere attuati in riferimento alla concreta situazione di fatto, con adeguamento alla dimensione spaziale e temporale di quest'ultima (sent. n. 201 del 1987). Nel caso in esame, l'emergenza è cessata da tempo, onde l'illegittimità del comportamento tenuto dal Governo nel mantenere in vita sia il d.P.C.m. 8 novembre 1994 sia l'ordinanza, una volta cessati i presupposti che ne avrebbero legittimato l'emanazione.
In estremo subordine, qualora si volesse affermare che l'unica ipotesi di superamento dell'emergenza sta nell'attuazione delle iniziative necessarie e indilazionabili e non, invece, nel venir meno dei presupposti di fatto che hanno determinato la deliberazione impugnata, la ricorrente chiede alla Corte di sollevare dinanzi a sè questione di legittimità dell'art. 3, comma 5, e dell'art. 5, comma 1, ultima parte, della legge n. 225 del 1992, nella parte in cui - non condizionando il mantenimento dei poteri d'emergenza al permanere dei presupposti giustificativi - conferiscono eccessiva discrezionalità al Governo, ponendosi in contrasto con l'art. 97 della Costituzione, con riferimento agli artt. 5, 11, 117, 118 e 119, e agli artt. 1, 70, 76, 77 della Costituzione.
1.6. La Regione chiede, infine, che la Corte sospenda l'esecuzione dei provvedimenti impugnati ai sensi dell'art. 40 della legge 11 marzo 1953, n. 87.
2.1. Si è costituito il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, concludendo per l'infondatezza del ricorso e ricordando, in memoria, come sia stata la Giunta regionale (deliberazione del 18 ottobre 1994, n. 6957) a proporre al Presidente del Consiglio la dichiarazione dello stato di emergenza per la Puglia. Risultanze analoghe emergono dalla nota del Prefetto di Bari del 23 settembre 1994.
Ora, con il ricorso in esame la Regione Puglia - secondo l'Avvocatura - muta radicalmente la propria valutazione, e cerca di restringere l'emergenza al pericolo di contagio colerico; ma sulla base delle risultanze provenienti dalla stessa Regione e dell'esplicita richiesta da essa rivolta allo Stato, non può dubitarsi che la situazione integri la fattispecie di cui all'art. 2, comma 1, lett. c), della legge n. 225 del 1992. Nè può dirsi che la norma dia eccessiva discrezionalità al Governo, proprio alla luce della distinzione, operata dalla Corte nella sentenza n. 418 del 1992, tra < gravi emergenze> e situazioni che giustificano soltanto un intervento coordinato. È dunque manifestamente infondata la questione di legittimità prospettata con riguardo all'art. 2 della legge n. 225.
L'Avvocatura eccepisce, poi, l'inammissibilità del secondo motivo del ricorso, rivolto contro l'ordinanza 8 novembre 1994. La pretesa invasione delle attribuzioni regionali potrebbe avvenire soltanto in seguito all'adozione di singoli atti da parte del commissario delegato, e non in base al mero conferimento di poteri. In ogni caso, le censure sarebbero infondate: se il commissario delegato dovesse arrestarsi di fronte a tutte le competenze regionali, la deliberazione dello stato di emergenza sarebbe inutile, e l'esercizio di poteri straordinari - pur ritenuto indispensabile dalla Giunta regionale - impossibile.
La giurisprudenza costituzionale ha precisato i limiti delle cosiddette ordinanze di necessità e urgenza, che sono rispettati, tutti, dall'art. 5 della legge n. 225, ove si prevede che gli interventi adottati dovranno osservare i principi generali dell'ordinamento giuridico; che lo stato di emergenza è di durata predeterminata; che le ordinanze devono indicare le norme cui intendono derogare. Appare dunque infondata la questione di legittimità dell'art. 5, comma 2, prospettata in subordine dalla ricorrente.
L'emergenza, d'altronde, non va riferita al contagio colerico, ma deriva da fattori strutturali: i suoi presupposti, rappresentati dal gruppo di lavoro regionale, dalla Giunta e dal Prefetto di Bari, sono infatti tuttora presenti. Non vi è, quindi, l'illegittimità sopravvenuta dell'ordinanza, per pretesa violazione dell'art. 5, comma 1, ultima parte, della legge n. 225; nè è fondata la questione di legittimità dell'art. 5, comma 1, dedotta in estremo subordine dalla Regione. Quanto all'istanza di sospensione, si obietta la mancanza di fumus e si aggiunge che dall'ordinanza impugnata non deriva alcun concreto pregiudizio.
Considerato in diritto
1. La Regione Puglia, con il presente conflitto di attribuzione promosso nei confronti dello Stato, chiede che sia annullato il d.P.C.m. 8 novembre 1994 (Dichiarazione dello stato di emergenza a norma dell'art. 5, comma 1, della legge 24 febbraio 1992, n. 225, in ordine alla situazione socio- economico-ambientale determinatasi nella Regione Puglia), per invasività delle sue attribuzioni e per violazione e falsa applicazione dell'art. 2, lett. c), della legge 24 febbraio 1992, n. 225, e sia altresì annullata l'ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri 8 novembre 1994 (Immediati interventi per fronteggiare lo stato d'emergenza socio- economico-ambientale determinatosi nella Regione Puglia), per violazione degli artt. 117, 118, 119, 133 della Costituzione, e degli artt. 3, 18, 19, 63, 64 dello Statuto regionale.
In subordine, la Regione chiede che la Corte sollevi innanzi a sè questione di legittimità dell'art. 2, dell'art. 5, comma 2, e, infine, degli artt. 3, comma 5, e 5, comma 1, della legge n. 225 del 1992.
2. Prima di esaminare i singoli motivi di ricorso, occorre soffermarsi sull'ammissibilità dei poteri di ordinanza, in deroga a normativa primaria, e analizzare la citata legge n. 225, istitutiva del servizio nazionale della protezione civile.
Questa Corte ha già sottolineato il carattere eccezionale del potere di deroga della normativa primaria, conferito ad autorità amministrative munite di poteri di ordinanza, sulla base di specifica autorizzazione legislativa; e ha precisato trattarsi di deroghe temporalmente delimitate, non anche di abrogazione o modifica di norme vigenti (sentt. 201 del 1987, 4 del 1977, 26 del 1961 e 8 del 1956). Proprio il carattere eccezionale dell'autorizzazione legislativa implica, invero, che i poteri degli organi amministrativi siano ben definiti nel contenuto, nei tempi, nelle modalità di esercizio (sent. n. 418 del 1992): il potere di ordinanza non può dunque incidere su settori dell'ordinamento menzionati con approssimatività, senza che sia specificato il nesso di strumentalità tra lo stato di emergenza e le norme di cui si consente la temporanea sospensione.
L'< emergenza> non legittima il sacrificio illimitato dell'autonomia regionale, e il richiamo a una finalità di interesse generale - < pur di precipuo e stringente rilievo> - non dà fondamento, di per sè, a misure che vulnerino tale sfera di interessi, garantita a livello costituzionale (sent. n. 307 del 1983, considerato in diritto, n. 3). L'esercizio del potere di ordinanza deve quindi risultare circoscritto per non compromettere il nucleo essenziale delle attribuzioni regionali.
La legge n. 225 si fa carico di siffatte esigenze, delimitando lo stato d'emergenza con riguardo alla < qualità e natura degli eventi> (art. 5, comma 1): in ciò segue l'insegnamento di questa Corte sulla necessaria proporzione tra < evento> e < misure> (sentt. nn. 201 e 100 del 1987, 4 del 1977). La legge stabilisce la partecipazione della Regione all'organizzazione e all'attuazione delle attività di protezione civile (art. 12, richiamato dall'art. 5, sullo stato di emergenza e il potere di ordinanza); e si preoccupa, poi, di fissare precisi limiti, di tempo e di contenuto, all'attività dei commissari delegati (come questa Corte ha affermato, vagliando la legittimità costituzionale della legge n. 225, nella sentenza n. 418 del 1992, considerato in diritto, n. 5). Nell'ipotesi di dubbi applicativi, la legge sulla protezione civile deve essere comunque interpretata secundum ordinem in modo da scongiurare qualsiasi pericolo di alterazione del sistema delle fonti, riconducendo l'attività del commissario delegato e il potere di ordinanza ai principi già richiamati.
3. Passando ai singoli motivi di ricorso, vanno esaminati per primi quelli rivolti al d.P.C.m. 8 novembre 1994, che dichiara lo stato di emergenza in Puglia, a norma dell'art. 5, comma 1, della legge n. 225 del 1992.
La ricorrente sostiene che mancano i presupposti per tale dichiarazione: il Governo avrebbe dovuto, a suo avviso, muoversi in un'ottica diversa, evitando di assumere poteri straordinari assegnando invece alla Regione congrui mezzi finanziari da impiegare per una politica coordinata di risanamento del territorio. Essa censura, inoltre, la durata dello stato di emergenza ambientale (dal 27 ottobre 1994 fino al 31 dicembre 1995), e rileva trattarsi di una condizione temporanea, per cui i provvedimenti extra ordinem emanati da autorità amministrative debbono adeguarsi alla dimensione spaziale e temporale dell'evento, che ora è cessato, con conseguente illegittimità, anche sotto tale profilo, del decreto.
L'art. 2 della legge n. 225 prevede, invero, tre classi di "eventi" rilevanti ai fini dell'attività di protezione civile: - eventi che possono essere fronteggiati mediante interventi degli enti e amministrazioni competenti in via ordinaria (art. 2, lett. a); - eventi i quali comportano l'intervento coordinato degli enti competenti in via ordinaria (lett. b); - calamità naturali, catastrofi o altri eventi che, per intensità ed estensione, richiedono mezzi e poteri straordinari (lett. c).
Nel dichiarare lo stato di emergenza, il Governo ha considerato i dati trasmessi dal Prefetto di Bari (con particolare riguardo ai rischi igienico-sanitari derivanti dalle carenti infrastrutture ambientali) e ha valutato le conclusioni del gruppo di lavoro insediato dalla Regione Puglia, che ha ritenuto necessarie "misure straordinarie di accelerazione degli interventi... anche tramite l'uso di poteri speciali, che appartengono esclusivamente alla competenza funzionale e finanziaria dello Stato" (riunione del 10 ottobre 1994). Il decreto impugnato richiama altresì la delibera della Giunta regionale n. 6957 del 18 ottobre 1994, che fa proprie le indicazioni del menzionato gruppo di lavoro e denuncia la gravità della situazione determinatasi, proponendo al Presidente del Consiglio "la dichiarazione dello stato di emergenza per la Puglia e la conseguente adozione di provvedimenti straordinari ed indifferibili".
Alla luce di tali dati, univoci e concordanti nel delineare una situazione ambientale potenzialmente pericolosa anche sul piano sanitario (come rivelato dai casi di patologia colerica registrati in quel periodo), è evidente che il Governo non ha assunto un'iniziativa arbitraria nell'adottare il decreto impugnato: che ha carattere ricognitivo di elementi messi in evidenza dalla stessa Regione, non tanto con riguardo alla specifica emergenza sanitaria (rapidamente superata), quanto ai problemi ambientali, sulla cui gravità non vi è dissenso alcuno. È, dunque, il sussistere di una siffatta emergenza che giustifica il termine, così esteso, posto dal d.P.C.m. 8 novembre 1994, a nulla rilevando che i casi di colera registrati non abbiano dato luogo a una vera e propria epidemia nel territorio regionale.
4. Una volta dichiarato lo stato di emergenza, a norma dell'art. 5, comma 1, della legge n. 225, il Presidente del Consiglio ha emanato l'ordinanza per gli < interventi immediati>, dando un'interpretazione della clausola prevista dall'art. 2, lett. c), già richiamata, che va qui verificata al fine di accertare se vi sia proporzione tra i presupposti dell'emergenza e le misure autorizzate dalla contestuale ordinanza presidenziale.
5. Va disattesa l'eccezione mossa dall'Avvocatura generale, secondo cui l'ipotizzata invasione delle attribuzioni regionali potrebbe avvenire soltanto in seguito all'adozione di singoli atti da parte del Commissario delegato, con conseguente inammissibilità di questo motivo del ricorso.
Anche un esame sommario dell'ordinanza palesa la sua attitudine invasiva dell'autonomia regionale: il Prefetto di Bari è delegato ad attivare, e realizzare, gli interventi necessari per fronteggiare la situazione di emergenza, e può adottare - come meglio si vedrà in prosieguo - provvedimenti in deroga a norme sia di legge statale, che specificano il riparto di attribuzioni con le Regioni, sia di leggi regionali. Il contenuto è dunque tale da poter determinare una lesione delle attribuzioni e, comunque, una menomazione del regolare esercizio delle medesime (fra le varie, v. sent. n. 771 del 1988); ragion per cui si deve passare alle censure mosse dalla ricorrente avverso detta ordinanza.
La lettera c) dell'art. 2 della legge n. 225 fa riferimento, come si è accennato, alle calamità naturali, alle catastrofi o ad altri eventi da fronteggiare con mezzi e poteri straordinari. Il fatto che la norma accomuni tali fattispecie in vista della dichiarazione dello stato di emergenza e del conferimento del potere di ordinanza, non toglie che debba sussistere un nesso di congruità e proporzione fra le misure adottate e la "qualità e natura degli eventi", secondo quanto precisato dall'art. 5, comma 1; ciò che questa Corte ha sottolineato, richiedendo che le misure siano proporzionate alla concreta situazione da fronteggiare (v. ancora le sentenze nn. 201 e 100 del 1987, 4 del 1977).
Quanto accaduto in Puglia non realizza nè la previsione della calamità naturale, nè quella della catastrofe; e, allora, viene in rilievo la parte finale della citata lettera c): gli "altri eventi". Si tratta di gravi carenze strutturali, da tempo segnalate, che riguardano il ciclo idrico e lo smaltimento dei rifiuti, e che presentano un alto rischio per un bene fondamentale come la salute. Va considerato che la stessa Regione - con valutazione dei suoi organi tecnici, e con delibera della Giunta - ha segnalato l'urgenza di < provvedimenti straordinari> ben al di là dei pochi casi di colera registrati dagli uffici sanitari: tale situazione giustifica l'esercizio di poteri straordinari per un arco di tempo ragionevolmente esteso, nel rispetto di quel nesso di congruità e proporzione, che vale qui a garantire l'autonomia regionale.
Passando quindi ad analizzare i vari punti dell'ordinanza con riguardo all'ipotizzata lesione delle competenze regionali, ci si accorge che alcune prescrizioni portano alla loro (seppur temporanea) menomazione, per il fatto di non circoscrivere adeguatamente i poteri del commissario delegato, in vista di un equilibrato rapporto con la Regione.
6. L'art. 1 relega la Regione in un ruolo secondario: si richiede un mero parere, mentre ben diverso è quello assicurato ai ministeri dell'ambiente e del bilancio, di cui si prescrive l'intesa con il Commissario delegato.
La stessa ordinanza subordina l'azione commissariale all'accordo con le due amministrazioni dello Stato prima menzionate: contempera la rapidità degli interventi con la ponderazione di interessi particolarmente meritevoli di tutela (nella specie, quelli ambientali), e introduce un aggravamento procedurale che si giustifica per la durata dello stato di emergenza. Non è dunque concepibile, anche alla luce di tali elementi, che la Regione sia ridotta a mero organo consultato; è vero che la prescrizione dell'intesa con la Regione sulla realizzazione dei singoli interventi potrebbe avere effetti di complicazione procedurale e, al limite, di paralisi; ma diverse sono le conclusioni per il programma generale degli interventi. Proprio perchè sono in gioco importanti competenze regionali (come risulta dall'art. 2 dell'ordinanza), il principio di leale cooperazione fra Stato e Regione postula un maggiore coinvolgimento di quest'ultima nella fase programmatoria, nei modi consentiti dalle esigenze di immediato intervento che sono a fondamento dello stato di emergenza.
Il conflitto va quindi accolto in riferimento all'art. 1, nella parte in cui statuisce solo il parere, e non l'intesa con la Regione, per quanto attiene alla programmazione degli interventi, fermo restando che in caso di mancato accordo entro un congruo lasso di tempo vi potrà essere - assistita da adeguata motivazione - un'iniziativa risolutiva dell'organo statuale, per evitare rischi di paralisi decisionale (sentt. nn. 116 del 1994 e 355 del 1993).
7. Ulteriori profili di invasività sorgono con riguardo all'art. 2 dell'ordinanza, che conferisce al Commissario delegato il potere di adottare provvedimenti in deroga a una pluralità di atti normativi che toccano svariate materie e che sono individuati, spesso, in modo generico.
Si enuclea, così, un triplice ordine di questioni: a) se alcuni di detti atti normativi abbiano effettiva idoneità a vulnerare attribuzioni regionali; b) se fra le leggi richiamate non ve ne siano alcune essenziali alla posizione della Regione, in rapporto, da un canto, con le amministrazioni statali e, dall'altro, con le autonomie locali che operano nel territorio regionale; c) se la tecnica redazionale dell'art. 2, con i frequenti richiami a interi settori normativi, non contrasti con l'esigenza che il potere d'ordinanza sia circoscritto a quanto strettamente indispensabile all'esecuzione degli interventi di emergenza.
8. L'esame degli atti normativi elencati dall'art. 2 porta a conclusioni differenziate, secondo quanto si preciserà fra breve.
Per taluni di essi va escluso che dalla deroga possa derivare lesione delle attribuzioni della Regione. Si vedano, in particolare, il regio decreto 18 novembre 1923, n. 2440, e successive modificazioni e integrazioni (Nuove disposizioni sull'amministrazione del patrimonio e sulla contabilità generale dello Stato); il regio decreto 23 maggio 1924, n. 827 (Regolamento per l'amministrazione del patrimonio e per la contabilità generale dello Stato); la legge 18 dicembre 1973, n. 836 (Trattamento economico di missione e di trasferimento dei dipendenti statali); il regio decreto 27 luglio 1934, n. 1265 (Approvazione del testo unico delle leggi sanitarie); il decreto-legge 2 marzo 1989, n. 65, convertito, con modificazioni, nella legge 26 aprile 1989, n. 155 (Disposizioni in materia di finanza pubblica); l'art. 20 della legge 30 dicembre 1991, n. 412 (Disposizioni in materia di finanza pubblica), che detta norme sull'esecuzione delle opere pubbliche e sull'utilizzazione di eventuali economie di spesa; il decreto-legge 5 ottobre 1993, n. 398, convertito nella legge 4 dicembre 1993, n. 493 (Disposizioni per l'accelerazione degli investimenti a sostegno dell'occupazione e per la semplificazione dei procedimenti in materia edilizia); l'art. 6 della legge 24 dicembre 1993, n. 537 (Interventi correttivi di finanza pubblica), sui contratti pubblici e il divieto di rinnovo tacito degli stessi. Per tali atti, anche se in qualche caso sarebbe stata consigliabile una indicazione più precisa delle norme da derogare, non si può dunque ravvisare un vulnus all'autonomia regionale.
9. Appare congrua - in ragione della particolare emergenza ambientale registrata - la deroga di quelle leggi regionali che disciplinano profili particolari nei settori della tutela e del risanamento delle acque, dello smaltimento dei rifiuti, dei liquami e fanghi, dell'utilizzazione delle acque reflue (leggi regionali 19 dicembre 1983, n. 24, 23 marzo 1993, n. 5, 13 agosto 1993, n. 17, etc.). Valutazione analoga va fatta per gli atti normativi statali sull'inquinamento e la qualità delle acque destinate al consumo umano e la concessione delle acque pubbliche (in particolare, legge 10 maggio 1976, n. 319, d.P.R. 3 luglio 1982, n. 515, d.P.R. 24 maggio 1988, n. 236, decreto-legge 5 febbraio 1990, n. 16, convertito, con modificazioni, nella legge 5 aprile 1990, n. 71, decreto legislativo 12 luglio 1993, n. 275), sulla difesa del mare (leggi 31 dicembre 1982, n. 979 e 28 febbraio 1992, n. 220), e per le norme, statali e regionali, sui piani acquedottistici. I particolari tratti dell'emergenza pugliese giustificano l'ampio spazio che, in questo settore, è concesso all'azione commissariale e fanno superare i dubbi che anche qui possono sorgere a causa dell'indicazione, non sempre sufficientemente dettagliata, delle norme passibili di deroga.
10. Conclusioni diverse valgono per le leggi che verranno ora indicate, per le quali va censurata la parte dell'art. 2 che ne ammette la deroga.
Tanto è da dirsi per l'art. 6 della legge 8 luglio 1986, n. 349, che disciplina la procedura per la valutazione dell'impatto ambientale: è significativo che la temporanea sospensione di tale disposizione faccia salve le attribuzioni del Ministero per i beni culturali ed ambientali, pretermettendo la Regione. In tal modo si altera l'equilibrio procedurale delineato dall'art. 6 della citata legge n. 349, sulla quale questa Corte si è soffermata nella sentenza n. 210 del 1987, sottolineando l'importanza dell'intesa tra lo Stato e i soggetti di autonomia, per l'intreccio che si rea lizza tra interessi nazionali e regionali.
Discorso analogo vale per il nuovo ordinamento delle autonomie locali (legge n. 142 del 1990), nella parte in cui specifica il disegno costituzionale sui rapporti tra gli enti locali e la Regione, la cui posizione questa Corte ha ritenuto < centrale> (sent. n. 343 del 1991) e che l'ordinanza impugnata finisce obiettivamente per svuotare di contenuto, con lesione del principio autonomistico riconosciuto dagli artt. 5, 117, 118 e 119 della Costituzione.
Va censurata la deroga, per intero, della legge 5 gennaio 1994, n. 36, che introduce, ai sensi dell'art. 117 della Costituzione, principi fondamentali sull'uso delle risorse idriche. Legge già sottoposta allo scrutinio di legittimità costituzionale di questa Corte, con riconoscimento dell'importanza degli strumenti programmatori da essa introdotti, sulla scia della legge 18 maggio 1989, n. 183 (sent. n. 412 del 1994).
Passando alla legislazione regionale, la deroga tocca le stesse procedure della programmazione regionale (legge regionale 4 marzo 1975, n. 24, e successive modificazioni), senza che si cerchi di enucleare quelle norme che, in ipotesi, potrebbe essere opportuno sospendere per il periodo in cui vale lo stato di emergenza ambientale.
11. In altri casi, ancora, si prefigura un potere del Commissario delegato talmente ampio da compromettere principi fondamentali cui, invece, quest'ultimo deve essere vincolato, secondo quanto stabilito dalla legge n. 225 del 1992, e, in astratto, dalla stessa ordinanza (art. 2, comma 1), che appare dunque, su questo punto, intrinsecamente contraddittoria.
Leggi fondamentali in materia urbanistica e sull'edificabilità dei suoli (leggi 17 agosto 1942, n. 1150, e successive modificazioni; 28 gennaio 1977, n. 10, e successive modificazioni), la legge quadro in materia di lavori pubblici (11 febbraio 1994, n. 109), la riforma della finanza degli enti territoriali operata dal decreto- legislativo 30 dicembre 1992, n. 504 (dove pure vi sono disposizioni sui tributi regionali), possono essere derogate nella loro interezza, senza che si compia il benchè minimo tentativo di indicare le parti la cui efficacia va sospesa per il tempo necessario ad affrontare l'emergenza.
Lo stesso dicasi per le norme, statali e regionali, in materia di avviamento al lavoro, per le quali non sono neppure menzionati i relativi atti normativi; nonchè per quelle, statali e regionali, sull'espropriazione, ove ci si preoccupa solo di salvaguardare il diritto di indennizzo dei soggetti espropriandi.
Non vale obiettare - al fine di sanare tali anomalie - che la clausola di salvaguardia del rispetto dei principi generali dell'ordinamento giuridico, secondo quanto richiesto dall'art. 5, comma 2, della legge n. 225, impone un limite oggettivo ai poteri commissariali: resterebbe comunque un margine inaccettabile di incertezza circa l'efficacia, nell'arco di tempo considerato, di interi atti normativi, i quali introducono principi che potrebbero essere compromessi, sia pure per un periodo limitato di tempo. Nè rassicura che contro specifici atti del Commissario delegato sono esperibili gli ordinari rimedi giurisdizionali: è l'art. 2 dell'ordinanza che prefigura, come possibile, un vulnus, nelle parti prima indicate.
12. La ricorrente si duole che l'art. 5 dell'ordinanza assegni al Commissario delegato risorse finanziarie per l'attuazione degli interventi di emergenza, utilizzando finanziamenti già destinati all'attuazione di altri interventi nella Regione. La censura è priva di fondamento, perchè dalla dichiarazione dello stato d'emergenza discende l'evidente necessità di modificare precedenti stanziamenti di bilancio; mentre va ribadita anche qui l'esigenza di un raccordo procedurale fra lo Stato e la Regione nella fase di programmazione degli interventi, secondo quanto già si è rilevato trattando dell'art. 1 dell'ordinanza.
13. La Corte dichiara quindi che non spetta allo Stato, e per esso al Presidente del Consiglio dei ministri, introdurre prescrizioni per fronteggiare lo stato d'emergenza che conferiscano ad organi amministrativi poteri d'ordinanza non adeguatamente circoscritti nell'oggetto, tali da derogare a settori di normazione primaria richiamati in termini assolutamente generici, e a leggi fondamentali per la salvaguardia dell'autonomia regionale, senza che sia richiesta l'intesa con la Regione per la programmazione degli interventi, secondo le modalità che si sono già precisate.
Conseguentemente, annulla l'art. 1 della citata ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri, nella parte in cui prevede soltanto il parere della Regione, anzichè l'intesa, per quanto attiene alla programmazione generale degli interventi; e l'art. 2 della stessa ordinanza, nella parte in cui ammette, al di fuori di quel nesso di congruità e proporzione che deve sussistere con l'evento che giustifica la dichiarazione dello stato d'emergenza ambientale, la deroga degli atti normativi primari indicati nei punti 10 e 11 della motivazione, per violazione dei limiti costituzionali del potere di ordinanza, che valgono qui a garanzia delle attribuzioni regionali.
È assorbita l'istanza di sospensione dell'esecuzione dei provvedimenti impugnati.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
a) dichiara che spetta allo Stato, e per esso al Presidente del Consiglio dei ministri, ricorrere allo stato di emergenza a norma dell'art. 5, comma 1, della legge 24 febbraio 1992, n. 225, in ordine alla situazione socio- economico-ambientale determinatasi nella Regione Puglia, sulla base degli elementi evidenziati dai competenti organi statali e regionali;
b) dichiara che non spetta allo Stato, e per esso al Presidente del Consiglio dei ministri, introdurre prescrizioni per fronteggiare detto stato di emergenza che conferiscano ad organi amministrativi poteri d'ordinanza non adeguatamente circoscritti nell'oggetto, tali da derogare a settori di normazione primaria richiamati in termini assolutamente generici, e a leggi fondamentali per la salvaguardia dell'autonomia regionale, senza prevedere, inoltre, l'intesa per la programmazione generale degli interventi; conseguentemente, annulla l'art. 1 dell'ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri 8 novembre 1994, nella parte in cui non prevede l'intesa con la Regione per quanto attiene alla predisposizione, da parte del Commissario delegato, del programma degli interventi, nei termini precisati in motivazione; e l'art. 2 della stessa ordinanza, nella parte in cui si prevede la deroga, per intero, dei seguenti atti normativi: legge 8 luglio 1986, n. 349, art. 6; legge 8 giugno 1990, n. 142; legge 5 gennaio 1994, n. 36; legge Regione Puglia 4 marzo 1975, n. 24, e successive modificazioni; legge 17 agosto 1942, n. 1150, e successive modificazioni; legge 28 gennaio 1977, n. 10, e successive modificazioni; legge 11 febbraio 1994, n. 109; decreto legislativo 30 dicembre 1992 n. 504; norme, statali e regionali, in materia di avviamento al lavoro; norme, statali e regionali, sull'espropriazione.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 05/04/95.
Antonio BALDASSARRE, Presidente
Francesco GUIZZI, Redattore
Depositata in cancelleria il 14/04/95.