Sentenza n. 79 del 1994

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SENTENZA N. 79

 

ANNO 1994

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

 

In nome del Popolo Italiano

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

 

composta dai signori:

 

Presidente

 

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

 

Giudici

 

Prof. Gabriele PESCATORE

 

Avv. Ugo SPAGNOLI

 

Prof. Antonio BALDASSARRE

 

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

 

Avv. Mauro FERRI

 

Prof. Luigi MENGONI

 

Prof. Enzo CHELI

 

Dott. Renato GRANATA

 

Prof. Francesco GUIZZI

 

Prof. Cesare MIRABELLI

 

Prof. Fernando SANTOSUOSSO

 

Avv. Massimo VARI

 

Dott. Cesare RUPERTO

 

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 24, terzo comma, della legge della Regione Veneto 27 giugno 1985, n. 61 (Norme per l'assetto e l'uso del territorio), promosso con ordinanza emessa il 18 marzo 1993 dal Tribunale amministrativo regionale per il Veneto sul ricorso proposto da Benetti Arnaldo contro la Regione Veneto ed altro, iscritta al n. 443 del registro ordinanze 1993 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 36, prima serie speciale, dell'anno 1993.

 

Visti gli atti di costituzione di Benetti Arnaldo e del Comune di S.Vito di Leguzzano nonchè l'atto di intervento della Regione Veneto;

 

udito nell'udienza pubblica del 14 dicembre 1993 il Giudice relatore Vincenzo Caianiello;

 

uditi l'Avv. Mario Alù per il Comune di S.Vito di Leguzzano, l'Avv.Luigi Manzi per Benetti Arnaldo e l'Avv.Guido Viola per la Regione Veneto.

 

Ritenuto in fatto

 

l.- Nel corso di un giudizio promosso per l'annullamento parziale di uno strumento urbanistico, il Tribunale amministrativo regionale per il Veneto, con ordinanza del 18 marzo 1993, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 24, terzo comma, della legge della Regione Veneto 27 giugno 1985, n. 61 che, disponendo che "nelle zone di tipo D vanno comprese anche le parti del territorio già destinate, totalmente o parzialmente, a insediamenti per impianti industriali o ad essi assimilati", non lascerebbe alcun margine di discrezionalità al comune, titolare della funzione di pianificazione urbanistica, così ledendo il principio di autonomia riconosciuto dagli artt. 5 e 128 della Costituzione; l'esigenza di programmazione dell'uso del territorio da parte del comune verrebbe, infatti, frustrata dalla norma impugnata che imporrebbe di dare una determinata destinazione a certe aree a prescindere dalle valutazioni dell'ente locale, le cui attribuzioni, tra le quali quella di redigere i piani regolatori generali, sono fissate da norme statali che si pongono come limite all'esercizio delle funzioni legislative e amministrative della regione in materia urbanistica.

 

La norma impugnata violerebbe, altresì, l'art. 97 della Costituzione, perchè inciderebbe sui canoni di condotta dell'ente locale, condizionandone il concreto agire ed impedendogli di determinarsi sulla base di considerazioni ponderate ed obiettive di tutti gli interessi della comunità locale.

 

Infine, si profilerebbe un contrasto con l'art. 32 della Costituzione, che tutela anche la salubrità dell'ambiente;

 

questa sarebbe nella specie compromessa dalla sottrazione al comune di poteri programmatori in ordine a preesistenti insediamenti produttivi, che possono presentare pericoli anche a causa della loro ubicazione.

 

2.- É intervenuto nel presente giudizio il Presidente della Giunta regionale del Veneto, il quale ha eccepito la irrilevanza della questione.

 

All'uopo ricorda che, secondo il piano regolatore generale, l'area del ricorrente nel giudizio principale risulta vincolata a verde pubblico, nonostante che vi insista un insediamento produttivo, e che detto vincolo, secondo il giudice a quo, sarebbe stato reiterato rispetto alla previsione del precedente programma di fabbricazione;

 

rileva, quindi, che il TAR, dopo aver respinto la prima e la terza censura del ricorso, che si appuntavano sulla conferma e reiterazione di preesistenti vincoli, non si è nello stesso modo pronunciato sul secondo motivo di ricorso che si fonda sulle medesime ragioni di illegittimità di un vincolo reiterato; ipotizza, pertanto, che la questione di illegittimità costituzionale sia sollevata in modo artificioso e comunque senza una dimostrata rilevanza per la decisione da assumere nel giudizio principale.

 

Nel merito sostiene la infondatezza della questione, contestando che la norma regionale denunciata riduca i poteri del comune in ordine alla zonizzazione del proprio territorio.

 

Infatti la disposizione, che definisce i contenuti delle zone urbanistiche di tipo D, deve essere correlata all'art. 30 successivo che, nel dettare la disciplina di tali zone territoriali, non impone al comune la ricezione automatica degli impianti produttivi o industriali esistenti, ma al contrario gli riconosce il potere di individuare gli impianti che siano da confermare nella loro ubicazione e quelli che non lo siano e per i quali la relativa area sia inclusa, come nella specie, in una zona a diversa destinazione.

 

Le norme regionali ricordate, pertanto, lungi dal comprimere i poteri del comune, ne ampliano l'area delle valutazioni e delle ponderazioni in vista dell'esercizio dei poteri programmatori in materia urbanistica; nessun pregiudizio è quindi ravvisabile rispetto al buon andamento di cui all'art. 97 della Costituzione, e nemmeno in relazione all'invocato art. 32 della Costituzione, dal momento che al comune non è precluso, come sembra invece ritenere il giudice a quo, di far allontanare dall'abitato le industrie insalubri.

 

3.- Si è costituito il Comune di San Vito di Leguzzano, condividendo i rilievi di illegittimità costituzionale sollevati con l'ordinanza di rimessione.

 

Si è costituita, altresì, la parte privata, la quale viceversa sostiene la manifesta infondatezza della questione.

 

Quest'ultima all'uopo rileva che l'art. 7 della legge urbanistica (legge n. 1150 del 1942) dispone che il comune, nel suddividere con il piano regolatore il territorio in zone caratterizzate da diverse destinazioni, deve tener conto della realtà effettuale degli immobili siti nelle varie zone; e ciò risulterebbe confermato proprio dalla durata quinquennale delle previsioni urbanistiche che, appunto per non essere irreali, devono tener conto il più possibile della effettiva situazione dei luoghi.

 

4.- In prossimità dell'udienza hanno presentato memorie, sia la parte privata costituita che la Regione Veneto ribadendo le rispettive tesi difensive.

 

Considerato in diritto

 

l.- É stata sollevata questione di legittimità costituzionale dell'art. 24, terzo comma, della legge della Regione Veneto 27 giugno 1985, n. 61 che, in relazione alla suddivisione, da parte del piano regolatore generale, del territorio comunale in zone territoriali omogenee, prevede che "nelle zone di tipo D vanno comprese anche le parti del territorio già destinate, totalmente o parzialmente, a insediamenti per impianti industriali o ad essi assimilati".

 

Ad avviso del giudice a quo detta previsione, comportando necessariamente che lo strumento urbanistico debba dare atto della preesistente destinazione produttiva delle singole parti del territorio comunale, violerebbe: a) gli artt. 5 e 128 della Costituzione, ledendo l'autonomia dei comuni cui non sarebbe lasciata alcuna discrezionalità nell'esplicazione dei loro poteri di programmazione e governo del territorio; b) l'art. 128 della Costituzione, perchè la competenza legislativa regionale in materia urbanistica trova comunque un limite nei principi dettati dalle leggi generali in tema di autonomie locali ed in particolare da quella che affida al comune di determinare il contenuto dei piani regolatori generali; c) l'art. 97 della Costituzione, perchè la limitazione dei poteri del comune pregiudicherebbe il buon andamento della pubblica amministrazione che presuppone sempre scelte ben ponderate; d) l'art. 32 della Costituzione, perchè l'obbligo per il comune di destinare a zone industriali le aree in cui preesistano impianti produttivi, inciderebbe sulla salubrità dell'ambiente, che potrebbe essere compromessa dalla localizzazione di industrie pericolose, della cui esistenza il comune dovrebbe prendere atto senza alcuna autonoma valutazione.

 

2.- Va preliminarmente disattesa l'eccezione di inammissibilità per irrilevanza, dedotta dalla Regione intervenuta, la quale sostiene che la questione sarebbe stata "artificiosamente" proposta, dal momento che il giudice, una volta ritenuti infondati il primo ed il terzo motivo di ricorso, relativi alla illegittimità della reiterazione del vincolo a verde pubblico, avrebbe dovuto adottare "uguale o analoga decisione anche per il secondo motivo" perchè "anche di fronte al problema dell'insediamento industriale non poteva non valere la preclusione rappresentata dall'essere il vincolo a verde pubblico null'altro che una conferma e reiterazione di vincolo già operante ed accettato".

 

Osserva la Corte che l'anzidetto profilo investe un ambito estraneo al giudizio di costituzionalità, implicando valutazioni che attengono al merito della controversia e non risultando che quest'ultima possa essere risolta indipendentemente dalla questione di costituzionalità (sent.n. 112 del 1993, ord. n. 139 del 1988; nonchè, a contrario, sentt. nn.154 e 8 del 1993 e ordd. nn. 96 del 1993  e 424 del 1992) dato che il giudice a quo ha prospettato in maniera plausibile (sentt. nn. 344, 238, 163, 103 del 1993, 436 del 1992 e 396 del 1988) che deve fare applicazione della norma impugnata ai fini della decisione.

 

3. - Nel merito la questione non è fondata.

 

Come si è già ricordato, nell'ordinanza di rimessione si sostiene che la norma impugnata (art. 24, terzo comma, della legge della Regione Veneto n.61 del 1985),nello stabilire che le parti del territorio comunale, anche parzialmente già destinate ad insediamenti produttivi, debbano essere classificate in zona territoriale omogenea di tipo D, limiterebbe, in violazione dei parametri costituzionali in precedenza indicati, il potere del comune di determinare in modo autonomo il contenuto del piano regolatore generale.

 

Osserva la Corte che, nel sollevare la questione, il giudice a quo muove da un'inesatta premessa interpretativa attribuendo alla disposizione di cui all'art. 24, terzo comma, della legge in parola una portata diversa da quella che le è propria, ove si consideri la norma nel contesto in cui si colloca. Difatti l'art. 24 si limita a descrivere le caratteristiche delle zone territoriali omogenee in cui il piano regolatore generale deve suddividere il territorio ed, in particolare, il terzo comma, cioé la parte dell'articolo oggetto dell'incidente di costituzionalità, prevede che nelle zone di tipo D "vanno comprese anche le parti del territorio già destinate, totalmente o parzialmente, a insediamenti per impianti industriali o ad essi assimilati", senza per questo obbligare il comune a rendere immodificabili aree comprese nelle stesse zone sulle quali preesistano insediamenti produttivi. Ciò è confermato dall'art. 30 della legge, il quale stabilisce che il piano regolatore generale individua le zone territoriali omogenee di tipo D, indicando fra le altre componenti, al punto 3), gli impianti esistenti "che si confermano nella loro ubicazione". Risulta così di tutta evidenza che resta pur sempre nella disponibilità del comune, in sede di redazione del piano, di confermare o meno nella loro ubicazione gli impianti industriali esistenti, per cui solo dopo tale conferma assume rilievo la previsione dell'art.24, terzo comma, circa l'inclusione nelle zone di tipo D delle parti del territorio già destinate ad insediamenti industriali.

 

Non sussiste pertanto la lamentata limitazione delle competenze comunali in materia di pianificazione urbanistica, il cui contenuto rimane, anche per gli aspetti considerati, affidato alle discrezionali determinazioni degli organi cui spetta di provvedere.

 

PER QUESTI MOTIVI

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

Dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 24, terzo comma, della legge della Regione Veneto 27 giugno 1985 n. 61 (Norme per l'assetto e l'uso del territorio), sollevata, in riferimento agli artt.5, 32, 97 e 128 della Costituzione, dal Tribunale amministrativo regionale per il Veneto con l'ordinanza indicata in epigrafe.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 23/02/94.

 

Francesco Paolo CASAVOLA, Presidente

 

Vincenzo CAIANIELLO, Redattore

 

Depositata in cancelleria il 10/03/94.