SENTENZA N. 486
ANNO 1992
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori: Presidente: prof. Francesco Paolo CASAVOLA;
Giudici: dott. Francesco GRECO, prof. Gabriele PESCATORE, avv. Ugo SPAGNOLI, prof. Antonio BALDASSARRE, prof. Vincenzo CAIANIELLO, avv. Mauro FERRI, prof. Luigi MENGONI, prof. Enzo CHELI, dott. Renato GRANATA, prof. Giuliano VASSALLI, prof. Francesco GUIZZI, prof. Cesare MIRABELLI;
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio promosso con ricorsi delle Regioni Liguria, Toscana ed Emilia Romagna notificati, il primo il 31 marzo 1992, e gli altri due il 15 aprile 1992, depositati in Cancelleria rispettivamente il 13, 21 e 27 aprile 1992, per conflitto di attribuzione sorto a seguito della emanazione del decreto del Presidente della Repubblica 14 febbraio 1992, avente ad oggetto: "Atto di indirizzo e coordinamento alle regioni recante i piani di cessione degli alloggi di edilizia residenziale pubblica", ed iscritti ai nn. 11, 12 e 16 del registro conflitti 1992;
Visti gli atti di costituzione del Presidente del Consiglio dei Ministri;
Udito nell'udienza pubblica del 18 novembre 1992 il Giudice relatore Antonio Baldassarre;
Uditi gli avvocati Gian Paolo Zanchini per la Regione Liguria e Alberto Predieri per la Regione Toscana e l'avvocato dello Stato Franco Favara per il Presidente del Consiglio dei Ministri.
Ritenuto in fatto
- - Le Regioni Liguria, Toscana ed Emilia-Romagna hanno presentato distinti ricorsi per conflitto di attribuzione nei confronti dello Stato, in relazione al d.P.R. 14 febbraio 1992, dal titolo "Atto di indirizzo e coordinamento alle regioni recante i piani di cessione degli alloggi di edilizia residenziale pubblica".
Secondo tutte le ricorrenti, l'atto impugnato lederebbe i principi che presiedono all'esercizio della funzione governativa di indirizzo e coordinamento essendo stato adottato senza il supporto di alcuna disposizione di legge. Un'ulteriore lesione delle competenze regionali deriverebbe, secondo la Regione Liguria, dal fatto che l'atto impugnato è stato emanato senza il parere della Conferenza permanente per i rapporti tra Stato e regioni. Infine, il carattere eccessivamente analitico e dettagliato delle statuizioni contenute nell'atto impugnato manifesterebbe, a giudizio della Regione Toscana, uno sconfinamento dal legittimo esercizio della funzione governativa di indirizzo e coordinamento, in violazione degli artt. 3, primo comma, e 97 della Costituzione.
Le stesse ricorrenti prospettano, poi, profili di lesività delle proprie competenze concernenti singoli articoli dell'atto impugnato.
Gli articoli 1, 3 e 4 sono censurati dalla Regione Liguria sotto il profilo che conterrebbero una lesione delle proprie competenze legislative e amministrative in materia di edilizia residenziale pubblica, essendo in contrasto con i limiti posti agli interventi statali dall'art. 28 della legge n. 412 del 1991.
L'art. 5 dell'atto impugnato è, invece, oggetto di censure da parte delle Regioni Liguria ed Emilia-Romagna. Secondo la prima, detto articolo, nel porre vari termini agli adempimenti regionali previsti dal ricordato art. 28 della legge n. 412 del 1991, lederebbe l'autonomia organizzativa assicurata alle regioni. Secondo la Regione Emilia-Romagna, la previsione di un temine di 90 giorni per l'approvazione regionale dei piani di cessione violerebbe, invece, il principio della leale cooperazione, per il fatto che in base a quest'ultimo dovrebbe esser necessario un confronto dello Stato con le singole regioni al fine di poter valutare la congruità di tale termine rispetto alle diverse situazioni locali.
Tutte le ricorrenti, infine, muovono censure all'art. 6 dell'atto impugnato. La Regione Liguria ritiene, in particolare, che quest'ultimo si ponga in contrasto con l'art. 28 della legge n. 412 del 1991 laddove ricomprende fra gli alloggi sottoposti a cessione anche quelli realizzati con risorse proprie degli enti gestori, dal momento che il ricordato art. 28, primo comma, si riferisce soltanto agli alloggi realizzati a totale carico o con il concorso dello Stato o della regione. Sempre secondo la stessa ricorrente, il medesimo art. 6, nella parte in cui prevede il versamento degli introiti derivanti dalle cessioni nella contabilità speciale tenuta presso la tesoreria dello Stato, violerebbe il citato art. 28, sesto comma, della legge n. 412 del 1991, il quale stabilisce una gestione diretta dei fondi prima ricordati da parte degli enti titolari.
Le censure della Regione Toscana all'art. 6 del decreto impugnato attengono, invece, alla asserita violazione della riserva di legge prevista dall'art. 119 della Costituzione, dal momento che il programma di reinvestimento in nuove costruzioni o in ristrutturazioni, da inserire nel piano di cessione previsto dall'articolo in questione, risulterebbe estraneo all'art. 28 della legge n. 412 del 1991. Lo stesso art. 6 sarebbe, poi, illegittimo per il fatto che priverebbe la Regione ricorrente della facoltà, prevista dal ricordato art. 28, di scegliere tra i possibili impieghi delle somme ricavate dalla cessione degli alloggi.
Infine, a giudizio della Regione Emilia-Romagna, lo stesso art. 6, nel prevedere un dovere di vigilanza delle regioni sui fondi ricavati dalle alienazioni, lederebbe le competenze regionali in materia di enti strumentali delle regioni, quali sono gli Istituti autonomi per le case popolari (IACP), e violerebbe, inoltre, per la medesima ragione, l'autonomia finanziaria regionale.
- - Il Presidente del Consiglio dei Ministri si è costituito in tutti i giudizi per chiedere che i ricorsi siano dichiarati inammissibili o, comunque, infondati.
L'eccezione di inammissibilità, sollevata con riferimento a tutti i ricorsi, poggia sul fatto che le ricorrenti hanno chiesto l'annullamento, totale o parziale, dell'atto impugnato, ma non una pronuncia sulla spettanza del potere.
In via generale, l'Avvocatura generale dello Stato nega che l'atto impugnato, al di là della sua autoqualificazione, possa configurarsi come un atto di indirizzo e coordinamento, giacché la materia disciplinata non rientrerebbe tra quelle trasferite alle regioni. Secondo il resistente, infatti, le competenze regionali in materia di edilizia residenziale pubblica sarebbero limitate alla costruzione e alla gestione ordinaria dell'edilizia residenziale abitativa pubblica, mentre l'atto impugnato conterrebbe una disciplina dei diritti di proprietà e, in genere, dei rapporti giuridici tra enti gestori e inquilini relativiamente ad alloggi già edificati. Quello impugnato, pertanto, non sarebbe un atto di indirizzo e coordinamento, che presupporrebbe una materia di competenza regionale, ma sarebbe un atto di direttiva verso l'esercizio di funzioni delegate alle regioni ovvero un atto di programmazione nazionale diretto a sviluppare e a specificare una indicazione già contenuta nell'art. 28 della legge n. 412 del 1991. Sicché, mentre l'approvazione regionale degli atti di cessione sarebbe un atto di controllo di merito su un'attività (la vendita) propria degli enti gestori, l'adozione di misure per la mobilità, invece, sarebbe una funzione attinente all'assegnazione degli alloggi, materia, quest'ultima, di competenza dei comuni.
Infine, il resistente, dopo aver rilevato che l'art. 12 della legge n. 400 del 1988 non prescrive il parere della Conferenza fra lo Stato e le regioni sui singoli atti di indirizzo e coordinamento, chiede che sia dichiarata la inammissibilità della censura mossa dalla Regione Liguria all'art. 6 dell'atto impugnato in relazione alla gestione dei fondi ricavati dalla cessione degli alloggi, poiché quest'ultima riguarderebbe un rapporto tra ente gestore e tesoreria dello Stato. Nello stesso tempo, l'Avvocatura dello Stato nega che l'art. 6 escluda la destinazione dei fondi alle finalità previste dall'art. 28 della legge n. 412 del 1991, come lamentato dalla Regione Toscana.
- - In prossimità dell'udienza, rinviata due volte, la Regione Toscana ha depositato due memorie nelle quali, oltre a contestare la richiesta avversaria di inammissibilità del conflitto per mancata richiesta di pronuncia sulla spettanza del potere, replica alla tesi dell'Avvocatura generale dello Stato, secondo la quale la materia disciplinata dall'atto impugnato sarebbe estranea alle competenze trasferite alle regioni, richiamando, in proposito, gli artt. 88 e 93 del d.P.R. n. 616 del 1977 e la legge n. 457 del 1978, nonché la giurisprudenza di questa Corte che ha incluso nella competenza regionale la disciplina attinente alle assegnazioni degli alloggi e alle vicende dei rapporti a queste conseguenti.
Considerato in diritto
- - Con distinti ricorsi le Regioni a statuto ordinario Liguria, Toscana ed Emilia-Romagna hanno sollevato conflitto di attribuzione nei confronti dello Stato, in relazione al decreto del Presidente della Repubblica 14 febbraio 1992, dal titolo "Atto di indirizzo e coordinamento alle regioni recante i piani di cessione degli alloggi di edilizia residenziale pubblica".
Numerosi sono i profili per i quali le ricorrenti prospettano la violazione delle attribuzioni ad esse garantite dagli artt. 117 e 118 della Costituzione. Tutte le indicate regioni lamentano, innanzitutto, la lesione delle competenze loro trasferite dagli artt. 88 e 93 del d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616, e dall'art. 4 della legge 5 agosto 1978, n. 457, per il fatto che l'atto impugnato conterrebbe disposizioni di indirizzo e coordinamento in materia di edilizia residenziale pubblica senza che il relativo potere sia previsto e disciplinato da previe norme di legge, come invece richiede il corretto esercizio di tale funzione secondo la costante giurisprudenza di questa Corte.
Accanto a siffatta censura di carattere generale, le ricorrenti prospettano profili di lesione delle proprie competenze di natura più particolare. Segnatamente, la Regione Liguria, oltre a lamentare la lesione delle proprie attribuzioni in materia di ordinamento degli enti amministrativi da essa dipendenti, si duole del fatto che lo Stato, nell'adottare il decreto impugnato, non abbia richiesto il parere della Conferenza permanente per i rapporti tra Stato e regioni, ai sensi dell'art. 12 della legge 23 agosto 1988, n. 400. La Regione Toscana, poi, prospetta l'ulteriore violazione degli artt. 3 e 97 della Costituzione. Infine, la Regione Emilia-Romagna lamenta tanto la lesione del principio di leale cooperazione, quanto l'illegittima invasione delle proprie competenze in materia di disciplina degli enti strumentali dell'amministrazione regionale.
Poiché i ricorsi concernono il medesimo atto, i relativi giudizi vanno riuniti per essere decisi con un'unica sentenza.
- - I ricorsi delle sopraindicate regioni vanno accolti, dal momento che l'atto impugnato lede le attribuzioni costituzionalmente assegnate alle ricorrenti in materia di edilizia residenziale pubblica, trattandosi di un atto di indirizzo e coordinamento che, nel suo complesso, non rispetta il principio di legalità posto a tutela dell'integrità delle competenze regionali.
È appena il caso di osservare, in via preliminare, che, contrariamente a quanto suppone l'Avvocatura generale dello Stato, nessun rilievo può accordarsi, ai fini della ammissibilità dei conflitti, al fatto che in tutti i ricorsi manchi una formale richiesta relativamente alla spettanza del potere contestato. In primo luogo, infatti, occorre sottolineare che l'art. 39, quarto comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, considera come elementi essenziali del ricorso per conflitto di attribuzione soltanto l'indicazione delle attribuzioni costituzionali ritenute lese e quella del modo in cui è sorto il conflitto, oltre alla specificazione dell'atto che il ricorrente reputa come invasivo della sfera delle competenze costituzionali invocate. In secondo luogo, non va trascurato che nel caso in esame le regioni ricorrenti fanno valere, non già un'invasione delle proprie attribuzioni, bensì l'illegittimo esercizio di un potere, quale la funzione governativa di indirizzo e coordinamento, indiscutibilmente spettante, a giudizio delle stesse ricorrenti, allo Stato.
Quanto al merito dei conflitti di attribuzione sollevati, nessun dubbio può sussistere, contrariamente a quel che opina l'Avvocatura dello Stato, in relazione al fatto che le competenze contestate abbiano ad oggetto la materia della edilizia residenziale pubblica, trasferita alle regioni dagli artt. 88 e 93 del d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616, e dall'art. 4 della legge 5 agosto 1978, n. 457. Premesso che tale materia, come ha già avuto modo di affermare questa Corte (v. sent. n. 217 del 1988), ha un ampio oggetto, ricomprendente la predisposizione di interventi pubblici di varia natura comunque diretti al fine di provvedere al servizio sociale della provvista degli alloggi a favore dei lavoratori e delle famiglie meno abbienti, non si può negare che la cessione degli alloggi, oggetto di disciplina dell'atto impugnato, costituisca parte integrante dell'assegnazione degli alloggi di edilizia residenziale pubblica, assegnazione che è sicuramente iscritta nell'ambito della materia in considerazione (v. sentt. nn. 493 del 1970, 16 del 1972, 727 e 1115 del 1988). La cessione degli alloggi, infatti, è indissolubilmente connessa con l'assegnazione degli stessi, posto che la qualifica di assegnatario rappresenta una condizione necessaria per poter partecipare alla cessione di un alloggio di edilizia residenziale pubblica.
Più in generale, comunque, ai fini della dimostrazione dell'inerenza della cessione degli alloggi alla materia della edilizia residenziale pubblica, non va trascurato il rilievo che la predetta cessione è finalizzata, fra l'altro, al reinvestimento dei ricavi sia in direzione della acquisizione delle aree edificabili e della costruzione di edifici per l'incremento del patrimonio abitativo pubblico, sia in direzione di urbanizzazioni socialmente rilevanti per il medesimo patrimonio (v. art. 28, comma 6, lettere b) e c), della legge 30 dicembre 1991, n. 412). Né, del resto, può negarsi valore al fatto che la cessione degli alloggi, la quale deve essere effettuata secondo piani approvati dalla regione, rientra fra i compiti degli istituti autonomi per le case popolari (IACP), comunque denominati o ridisciplinati dalle leggi regionali, istituti che vanno ricompresi tra gli enti operanti all'esclusivo servizio di funzioni attribuite alle regioni (tanto che è nel potere di queste ultime adottare provvedimenti relativi a una loro eventuale soppressione: v. art. 93, secondo comma, e 13 del d.P.R. n. 616 del 1977).
Posto, dunque, che la materia disciplinata rientra fra quelle trasferite alla competenza delle regioni, l'atto di indirizzo e coordinamento oggetto di impugnazione, per essere conforme ai parametri di legittimità costituzionale precisati da questa Corte con una giurisprudenza da tempo costante (v., ad esempio, sentt. nn. 150 del 1982, 338 del 1988, 139 del 1990, 37 e 359 del 1991, 30 e 384 del 1992), deve avere un apposito supporto nella legislazione statale, diretto a prevedere l'esercizio del potere stesso così come il contenuto sostanziale dell'atto da adottare, attraverso la predisposizione di principi e di criteri idonei a vincolare e ad orientare la discrezionalità governativa. Ma, poiché nell'art. 28 della legge n. 412 del 1991 o in qualsiasi altra disposizione di legge non si riscontra il minimo cenno a un eventuale atto di indirizzo e coordinamento del Governo in materia, il decreto del Presidente della Repubblica 14 febbraio 1992 oggetto di impugnazione costituisce un esercizio illegittimo della funzione in considerazione, avente l'effetto di menomare una competenza regionale costituzionalmente garantita. Il predetto atto, pertanto, va consequenzialmente annullato.
Resta assorbito l'esame degli ulteriori profili di asserita lesione delle proprie attribuzioni sollevati dalle ricorrenti.
Per Questi Motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
Dichiara che non spetta allo Stato adottare un atto di indirizzo e coordinamento in mancanza di un'apposita base in una norma di legge ordinaria e, conseguentemente, annulla il decreto del Presidente della Repubblica 14 febbraio 1992 (Atto di indirizzo e coordinamento alle regioni recante i piani di cessione degli alloggi di edilizia residenziale pubblica).
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 16 dicembre 1992.
Il Presidente: CASAVOLA
Il redattore: BALDASSARRE
Il cancelliere: DI PAOLA
Depositata in cancelleria il 29 dicembre 1992.
Il direttore della cancelleria: DI PAOLA