SENTENZA N. 194
ANNO 1991
REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo Italiano
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Prof. Ettore GALLO Presidente
Dott. Aldo CORASANITI Giudice
Prof. Giuseppe BORZELLINO “
Dott. Francesco GRECO “
Prof. Gabriele PESCATORE “
Avv. Ugo SPAGNOLI “
Prof. Francesco Paolo CASAVOLA “
Prof. Antonio BALDASSARRE “
Prof. Vincenzo CAIANIELLO “
Avv. Mauro FERRI “
Prof. Luigi MENGONI “
Prof. Enzo CHELI “
Dott. Renato GRANATA “
Prof. Giuliano VASSALLI “
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 22 della legge 30 aprile 1969, n. 153 (Revisione degli ordinamenti pensionistici e norme in materia di sicurezza sociale) promosso con ordinanza emessa il 23 novembre 1990 dal Pretore di Torino nel procedimento civile vertente tra Castagno Loredana e I.N.P.S. iscritta al n. 9 del registro ordinanze 1991 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 5, prima serie speciale, dell'anno 1991;
Visti gli atti di costituzione di Castagno Loredana, dell'I.N.P.S., nonché l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri;
Udito nell'udienza pubblica del 9 aprile 1991 il Giudice relatore Luigi Mengoni;
Uditi l'avvocato Pasquale Vario per l'I.N.P.S. e l'Avvocato dello Stato Franco Favara per il Presidente del Consiglio dei Ministri;
Ritenuto in fatto
1. - Nel corso di un procedimento civile instaurato da Loredana Castagno contro l'I.N.P.S. per ottenere la pensione di anzianità sul presupposto di avere prestato lavoro, con regolare contribuzione, presso privati per un periodo (circa ventisette anni) ritenuto insufficiente dall'Istituto a norma del diritto vigente, il Pretore di Torino, con ordinanza del 23 novembre 1990, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 38, secondo comma, e 53 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 22 della legge 30 aprile 1969, n. 153, "nella parte in cui condiziona il diritto a pensione al possesso di almeno trentacinque anni di contribuzione".
Considerata la tendenza in atto alla parificazione dell'impiego pubblico con quello privato, il giudice remittente ritiene ingiustificata la disparità di trattamento delle due categorie dei lavoratori a fini del collocamento in pensione, essendo il requisito di anzianità lavorativa assai meno grave per i dipendenti pubblici (vent'anni di servizio, ridotti a quindici per le donne coniugate o con prole).
Oltre all'art. 3 Cost., sarebbero violati l'art. 38, secondo comma, che garantisce a tutti i lavoratori il diritto di essere provveduti di mezzi adeguati alle loro esigenze di vita per il tempo della vecchiaia, e l'art. 53 perché la concessione ai dipendenti pubblici di un trattamento di quiescenza anticipato rispetto a quello riservato ai lavoratori privati comporta per la collettività un onere che, dovendo essere coperto da entrate tributarie, si traduce in aggravio di imposta anche per i redditi dei lavoratori privati.
2. - Nel giudizio davanti alla Corte si è costituita la ricorrente aderendo alle argomentazioni svolte nell'ordinanza di rimessione e concludendo per la dichiarazione di illegittimità della norma impugnata. In una memoria depositata nell'imminenza dell'udienza di discussione la parte privata elenca le differenze di trattamento, definite artificiose e inaccettabili, con cui viene attuato nell'impiego pubblico e nell'impiego privato il principio che garantisce ai lavoratori la possibilità di percepire un reddito anche quando per ragioni di età abbiano cessato di lavorare, e sottolinea in particolare la disparità di trattamento delle lavoratrici, essendo concesso solo a quelle del settore pubblico un aumento fino a cinque anni dell'anzianità di servizio effettivamente maturata.
Si è pure costituito l'I.N.P.S. argomentando per l'infondatezza della questione, specialmente sul riflesso che il Pretore valuta erroneamente la pensione di anzianità come un pensionamento anticipato, mentre si tratta di una figura autonoma avente funzione premiale nei confronti dei "cittadini che hanno dimostrato una encomiabile assiduità e affezione al lavoro". Essa perciò non è confrontabile col trattamento di quiescenza dei dipendenti pubblici.
3. - È intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato dall'Avvocatura dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile o, comunque, infondata.
L'Avvocatura ricorda che questa Corte ha ripetutamente affermato la non comparabilità, ai fini dell'art. 3 Cost., di diversi sistemi pensionistici, così come ha ritenuto che la tendenziale convergenza tra impiego pubblico e lavoro privato non può addursi a fondamento di censure di disparità di discipline, e in particolare di regimi previdenziali differenziati. Quanto all'art. 38, secondo comma, Cost., l'attuazione di questa direttiva costituzionale è rimessa a scelte discrezionali del legislatore col solo limite del criterio di adeguatezza alle esigenze di vita dei lavoratori.
Irrilevante appare infine, ad avviso dell'interveniente, il richiamo all'art. 53 Cost., atteso che la copertura con entrate tributarie non concerne il rapporto in contestazione nel giudizio principale.
Considerato in diritto
1. - Il Pretore di Torino dubita della legittimità costituzionale dell'art. 22 della legge 30 aprile 1969, n. 153, nella parte in cui per i lavoratori privati iscritti all'INPS subordina il diritto alla pensione di anzianità al requisito di trentacinque anni di contribuzione effettiva in costanza di lavoro.
La ragione del dubbio è derivata dal confronto con l'art. 42 del testo unico delle norme sul trattamento di quiescenza dei dipendenti civili e militari dello Stato (d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092) ai quali il diritto alla pensione compete dopo soli vent'anni di servizio effettivo, ridotti a quindici per le dipendenti coniugate o con prole. Questa disparità di trattamento è ritenuta contrastante, oltre che con l'art. 3, anche con gli artt. 38, secondo comma, e 53 Cost.
2. - La questione non è fondata.
La pensione di anzianità, introdotta nel sistema di previdenza sociale per i lavoratori privati dalla legge n. 903 del 1965 e ridisciplinata dalla legge n. 153 del 1969, non è un'ipotesi particolare nell'ambito della pensione di vecchiaia. Quest'ultima si fonda essenzialmente sul raggiungimento di un limite di età qualificato da una certa anzianità contributiva (quindici anni), mentre la pensione di anzianità prescinde in modo assoluto dall'età, essendo fondata esclusivamente sulla durata dell'attività lavorativa e sulla correlativa anzianità di contribuzione effettiva. Non si tratta di una anticipazione dell'età pensionabile, bensì di una deroga a questo presupposto, la quale configura un'ipotesi autonoma di pensione avente finalità di riconoscimento e di premio nei confronti dei cittadini che hanno adempiuto il dovere prescritto dall'art. 4, secondo comma, Cost. con una partecipazione assidua alle attività della produzione sociale, durata almeno trentacinque anni. La riprova dell'estraneità dell'istituto al concetto di pensione di vecchiaia anticipata è data dall'art. 22, sesto comma, della legge n. 153, a norma del quale la pensione di anzianità si trasforma in pensione di vecchiaia quando il titolare raggiunge l'età pensionabile.
Anche il trattamento di pensione previsto per i dipendenti dello Stato dall'art. 42, secondo comma, del citato testo unico del 1973 è legato esclusivamente all'anzianità di servizio. Tuttavia esso si differenzia dalla pensione di anzianità dei lavoratori privati sia sotto l'aspetto sistematico, sia sotto l'aspetto funzionale. Questa forma un'eccezione ai presupposti normali del diritto a pensione, accordata in vista della meritevolezza del lavoratore, del quale intende premiare la fedeltà al servizio dimostrata per trentacinque anni; quello, invece, è un'ipotesi del trattamento normale di quiescenza, alternativa all'ipotesi del primo comma fondata sul compimento di una età-limite, in considerazione della quale il requisito di anzianità di servizio è ridotto da venti a quindici anni. La prima alternativa è un privilegio riservato dallo Stato ai propri dipendenti, che un tempo poteva forse trovare una qualche giustificazione nella disciplina fortemente autoritaria dell'impiego pubblico (stipendi fissati unilateralmente dallo Stato con funzione alimentare piuttosto che retributiva, divieto di sciopero, ecc.), ma oggi appare ingiustificato alla stregua della tendenziale parificazione delle discipline dell'impiego pubblico e dell'impiego privato e dei relativi trattamenti economici.
Ma proprio per questa ragione, anche se non si voglia tenere conto delle differenze tecnico-formali tra le due forme di pensione messe a confronto dal giudice a quo e della loro appartenenza a sistemi pensionistici diversi (cfr. sentenze nn. 173 del 1986, 366 del 1988 e 86 del 1990), dall'art. 42 del citato testo unico non si può trarre un valido termine di comparazione ai fini dell'art. 3 Cost. Il principio di eguaglianza non è invocabile allo scopo di generalizzare una norma singolare, tanto meno quando di essa sia dubbio il fondamento razionale (cfr. sentenze nn. 46 del 1983, 6 e 769 del 1988, 427 del 1990).
3. - Non può dirsi violato l'art. 38 Cost. Al contrario, poiché la cessazione dell'attività di lavoro dipendente, alla quale è subordinato il diritto alla pensione di anzianità, non è causata da uno degli eventi contemplati dalla norma costituzionale, l'art. 22 della legge n. 153 del 1969 sviluppa la tutela dell'art. 38 estendendola a una situazione di bisogno che si determina in ragione non dell'età, ma della durata del lavoro svolto, la cui misura, discrezionalmente apprezzata dal legislatore, non appare, in sé considerata, eccedere il limite della razionalità.
Nemmeno si ravvisa una violazione del principio di equa distribuzione del carico tributario (art. 53 Cost.), sia perché la spesa iscritta nel bilancio annuale dello Stato per il pagamento delle pensioni ai dipendenti statali collocati in quiescenza trova una contropartita, tra le entrate, nelle somme trattenute a tal fine sugli stipendi, sia perché lo Stato concorre anche al finanziamento delle pensioni del settore privato.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
Dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 22 della legge 30 aprile 1969, n. 153 (Revisione degli ordinamenti pensionistici e norme in materia di sicurezza sociale), sollevata, in riferimento agli artt. 3, 38, secondo comma, e 53 della Costituzione, dal Pretore di Torino con l'ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 12 aprile 1991.
Ettore GALLO - Aldo CORASANITI - Giuseppe BORZELLINO - Francesco GRECO - Gabriele PESCATORE - Ugo SPAGNOLI - Francesco Paolo CASAVOLA - Antonio BALDASSARRE - Vincenzo CAIANIELLO - Mauro FERRI - Luigi MENGONI - Enzo CHELI - Renato GRANATA - Giuliano VASSALLI.
Depositata in cancelleria il 2 maggio 1991.