Sentenza n. 342 del 1983

CONSULTA ONLINE

SENTENZA N. 342

ANNO 1983

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Prof. Leopoldo ELIA, Presidente

Prof. Antonino DE STEFANO

Avv. Oronzo REALE

Dott. Brunetto BUCCIARELLI DUCCI

Avv. Alberto MALAGUGINI

Prof. Livio PALADIN      

Dott. Arnaldo MACCARONE

Prof. Antonio LA PERGOLA

Prof. Virgilio ANDRIOLI  

Prof. Giuseppe FERRARI

Dott. Francesco SAJA

Prof. Giovanni CONSO

Prof. Ettore GALLO,

          ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 1, primo comma, della legge 22 maggio 1975, n. 152 (Disposizioni per la tutela dell'ordine pubblico), promosso con ordinanza emessa il 18 marzo 1980 dal Tribunale di Roma, nel procedimento penale a carico di Caputi Rufino ed altro, iscritta al n. 355 del registro ordinanze 1980 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 173 del 25 giugno 1980.

Visto l'atto di costituzione di Caputi Rufino e Cembalo Luigi, nonché l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 7 giugno 1983 il Giudice relatore Livio Paladin;

udito l'avvocato dello Stato Giorgio Azzariti per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1. - Con ordinanza emessa il 18 marzo 1980, il Tribunale di Roma ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 1, primo comma, della legge 22 maggio 1975, n. 152, nella parte in cui vieta di concedere la libertà provvisoria agli imputati del delitto di rapina aggravata (che veniva in specifica considerazione nella specie).

Secondo il giudice a quo, la norma impugnata contrasterebbe anzitutto "con lo spirito della Carta costituzionale", desumibile dagli artt. 13-54 della Carta stessa: in quanto collegherebbe il trattamento in esame a criteri "del tutto arbitrari", sebbene indicati tassativamente. Inoltre, essa violerebbe l'art. 3 Cost., per l'irragionevolezza della soluzione accolta: vale a dire, poiché la particolare gravità del reato in questione non rappresenterebbe un "indice adeguato" dell'"esistenza di quegli interessi processuali per i quali solo l'imputato può essere legittimamente privato della libertà personale"; e poiché, d'altra parte, l'elenco dei reati per i quali la libertà provvisoria é esclusa sarebbe viziato dalla mancata previsione di altri reati egualmente o più gravi (quali il peculato, la concussione, la corruzione, il naufragio, il disastro aviatorio). Del pari, risulterebbero lesi gli artt. 13 e 111 Cost., poiché la norma dispone direttamente l'esclusione e non consente al giudice alcuna valutazione in proposito. E così pure, dato che la custodia preventiva obbligatoria equivarrebbe ad un'anticipazione della pena, sarebbe contraddetto il principio - fissato dall'art. 27 Cost. - per cui l'imputato non é considerato colpevole fino alla condanna definitiva.

2. - Nel presente giudizio si sono costituiti gli imputati, aderendo alle tesi esposte nell'ordinanza di rimessione.

L'intervenuto Presidente del Consiglio dei ministri ha invece concluso per l'infondatezza della questione.

Considerato in diritto

Alla stregua della consolidata giurisprudenza di questa Corte, la questione si dimostra non fondata in tutti i suoi aspetti.

Per prima cosa, la Corte non può condividere l'assunto che il divieto legislativo di concedere la libertà provvisoria, quanto "alla rapina aggravata prevista dal secondo capoverso dell'art. 628 del codice penale" (come appunto dispone l'impugnato art. 1, primo comma, della legge 22 maggio 1975, n. 152), collida o comunque interferisca con il principio, sancito nel secondo comma dell'art. 27 Cost., per cui l'imputato non é considerato colpevole sino alla condanna definitiva". Fin dalla sentenza n. 64 del 1970, la Corte ha negato che la presunzione di non colpevolezza dell'imputato escluda che, "nell'ambito di una valutazione politica discrezionale, la legge... possa stabilire ipotesi nelle quali, sussistendo sufficienti indizi di colpevolezza, al giudice sia fatto obbligo di emettere il mandato di cattura", per non "porre in pericolo quei beni a tutela dei quali la detenzione preventiva viene predisposta". "Se fosse vero il contrario" - ha chiarito in proposito la sentenza n. 14 del 1972 - "sarebbe illegittima ogni misura di carcerazione preventiva, che é, invece, ammessa dall'ultimo comma dell'art. 13 Cost."; laddove é da dirsi come ha ancora precisato la sentenza n. 88 del 1976 - che il diniego della libertà provvisoria non implica alcuna presunzione di colpevolezza, "poiché la detenzione preventiva non ha la funzione di anticipare la pena". Ed analoghi concetti sono stati espressi nella sentenza n. 1 del 1980 (per non dire della successiva sentenza n. 15 del 1982), anch'essa ignorata da parte del giudice a quo.

Secondariamente, é vano appellarsi agli artt. 13 e 111 Cost., per desumerne - come fa l'ordinanza in esame - l'illegittimità di ogni "esclusione della applicazione della libertà provvisoria", disposta in via "unicamente automatica"; quasi che la sola soluzione del problema, consentita dalla Carta costituzionale, fosse quella già indicata dall'art. 277, primo comma, cod. proc. pen. (nel testo sostituito dalla legge 15 dicembre 1972, n. 773), per cui la concessione della libertà provvisoria era ammessa "anche nei casi di emissione obbligatoria del mandato di cattura". La Corte, infatti, ha contestato più volte la fondatezza di opinioni del genere (cfr. le sentenze n. 64 del 1970, n. 21 del 1974, n. 1 del 1980); ed anche per questo verso il giudice a quo non adduce alcun motivo, che possa indurre la Corte stessa a modificare il proprio orientamento.

Infine, non regge nemmeno la tesi che il divieto del quale si tratta sia tanto irragionevole da violare il principio costituzionale d'eguaglianza e da contraddire, nel medesimo tempo, quello che il Tribunale di Roma definisce "lo spirito della Carta costituzionale". Da un lato, con la citata sentenza n. 1 del 1980 la Corte ha ribadito che rientra nelle finalità cautelari della carcerazione preventiva anche la "tutela della collettività dal pericolo di commissione di certi reati". D'altro lato, non é affatto arbitrario che la legge n. 152 del 1975 abbia incluso la rapina aggravata fra i reati per i quali non é ammessa la libertà provvisoria: la "particolare gravità" del reato in questione é anzi riconosciuta dallo stesso giudice a quo; e la mancata estensione del divieto ad altre ipotesi, che il Tribunale considera di gravità non minore, non elimina l'intrinseca giustificatezza della previsione in esame (mentre non spetta alla Corte sanare le eventuali discrasie sottraendo determinate fattispecie alla comune disciplina processuale penale, per ricondurle nell'ambito di una disciplina speciale, come quella dettata dal primo comma dell'art. 1 l. cit.).

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 1, primo comma, della legge 22 maggio 1975, n. 152, nella parte concernente la "rapina aggravata prevista dal secondo capoverso dell'art. 628 del codice penale", sollevata dal Tribunale di Roma - in riferimento agli artt. 3, primo comma, 13, ultimo comma, 27, secondo comma, e Cost. - Con l'ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 14 dicembre 1983.

Leopoldo ELIA - Antonino DE STEFANO - Oronzo REALE - Brunetto BUCCIARELLI DUCCI - Alberto MALAGUGINI - Livio PALADIN - Arnaldo MACCARONE -  Antonio LA PERGOLA - Virgilio ANDRIOLI - Giuseppe FERRARI - Francesco SAJA - Giovanni CONSO - Ettore GALLO

Giovanni VITALE - Cancelliere

          Depositata in cancelleria il 14 dicembre 1983.