Sentenza n. 21 del 1974
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SENTENZA N. 21

ANNO 1974

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Prof. Francesco Paolo BONIFACIO

Avv. Giovanni Battista BENEDETTI

Dott. Luigi OGGIONI

Dott. Angelo DE MARCO

Avv. Ercole ROCCHETTI

Prof. Enzo CAPALOZZA

Prof. Vincenzo Michele TRIMARCHI

Dott. Nicola REALE

Prof. Paolo ROSSI

Avv. Leonetto AMADEI

Dott. Giulio GIONFRIDA

Prof. Edoardo VOLTERRA

Prof. Guido ASTUTI

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 253 del codice di procedura penale e dell'art. 25 della legge 22 ottobre 1954, n. 1041 (disciplina della produzione, del commercio e dell'impiego degli stupefacenti), promosso con ordinanza emessa l'8 luglio 1971 dal giudice istruttore del tribunale di Bologna nel procedimento penale a carico di Cristalli Massimo, iscritta al n. 319 del registro ordinanze 1971 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 273 del 27 ottobre 1971.

Visto l'atto d'intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 5 dicembre 1973 il Giudice relatore Enzo Capalozza;

udito il sostituto avvocato generale dello Stato Giorgio Azzariti, per il Presidente del Consiglio dei ministri.

 

Ritenuto in fatto

 

Nel corso di un procedimento penale a carico di Massimo Cristalli, imputato di detenzione per uso proprio di haschisch, il giudice istruttore del tribunale di Bologna, con ordinanza 8 luglio 1971, ha sollevato questioni di legittimità costituzionale dell'art. 253 del codice di procedura penale e dell'art. 25 della legge 22 ottobre 1954, n. 1041, perché l'istituto del mandato di cattura obbligatorio e la cattura obbligatoria prevista in particolare dal citato art. 25 violerebbero gli artt. 3, primo comma, 13, primo e secondo comma, 25, terzo comma, 27, secondo comma, e 104, primo comma, della Costituzione.

Dopo aver affermato che, nella specie, il mandato di cattura, se fosse stato soltanto facoltativo, non sarebbe stato emesso, perché non motivato né da esigenze probatorie, né dalla consistenza criminosa del fatto, né dall'allarme sociale, né dal pericolo di fuga, esso giudice espone separatamente, per le due norme denunziate, i motivi di non manifesta infondatezza delle relative questioni.

La custodia preventiva obbligatoria, di cui all'art. 253 cod. proc. pen., violerebbe l'art. 25, terzo comma, Cost., in quanto, pur non rientrando tra le misure di sicurezza, sarebbe, al pari di queste, sorretta da una presunzione di pericolosità dell'agente; e non essendo, a differenza di tali misure, basata su parametri adeguati, sfuggirebbe ad una valutazione delle varie ipotesi, che invece sarebbero sottoposte ad un medesimo trattamento, in contrasto col principio di eguaglianza.

Sottraendo al giudice l'apprezzamento sull'esigenza di evitare l'inquinamento delle prove, si vulnererebbe, altresì, la sua indipendenza (art. 104, primo comma, Cost.).

La norma impugnata tenderebbe ad assicurare l'attuazione di un'eventuale condanna, in violazione del principio della presunzione di non colpevolezza (art. 27, secondo comma, Cost.), senza la garanzia di un motivato provvedimento giurisdizionale di restrizione della libertà personale (art. 13, secondo comma, Cost.).

La cattura obbligatoriamente imposta dall'art. 25 della legge n. 1041 del 1954, dettata per soddisfare in via preventiva l'interesse al mantenimento dell'ordine pubblico e non anche per garantire un efficace esercizio della funzione giurisdizionale, sarebbe in contrasto anche con l'art. 13, primo comma, Cost. Del resto, come risulterebbe dalla sentenza n. 1 del 1971 di questa Corte, il legislatore non sarebbe libero né insindacabile nelle sue presunzioni normative di allarme sociale.

Un'ulteriore violazione del principio di uguaglianza vi sarebbe, infine, per l'indiscriminata equiparazione, quanto alla cattura obbligatoria, del semplice consumatore al trafficante di droga.

Nel giudizio innanzi a questa Corte si é costituito soltanto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, la quale chiede che la questione sia dichiarata non fondata.

L'Avvocatura osserva che quelle stesse valutazioni che, secondo l'ordinanza, sarebbero da riservare al giudice, sono state compiute dal legislatore per il quale la cattura obbligatoria é diretta ad assicurare meglio il rispetto del principio di uguaglianza, che neppure sarebbe violato, per quanto attiene all'obbligatorietà della cattura, nell'ipotesi di mera detenzione per uso proprio di stupefacenti, stante la gravità intrinseca del fatto in rapporto alla salute pubblica, e tenuto conto del dilagare del fenomeno.

 

Considerato in diritto

 

1. - Il giudice istruttore del tribunale di Bologna ha promosso giudizio di legittimità costituzionale dell'istituto del mandato di cattura obbligatorio in generale (art. 253 del codice di procedura penale) e, in particolare, dell'art. 25 della legge 22 ottobre 1954, n. 1041, in riferimento agli artt. 3, 13, primo e secondo comma, 25, terzo comma, 27, secondo comma, e 104, primo comma, della Costituzione.

2. - Con sentenza n. 64 del 1970, questa Corte, dichiarando fondata la doglianza afferente all'art. 253 cod. proc. pen. solo nella parte in cui esclude l'obbligo della motivazione in ordine ai sufficienti indizi di colpevolezza (in applicazione dell'art. 111 Cost.), ha, implicitamente nel dispositivo ed esplicitamente nella motivazione, tenuto fermo l'istituto della carcerazione preventiva obbligatoria, investito con riferimento agli artt. 13 e 27 della Costituzione.

Sia alla stregua di questi profili, sia alla stregua degli altri ora prospettati con riferimento agli artt. 3, 25, terzo comma, e 104, primo comma, Cost., la Corte non ravvisa validi motivi per cambiare la sua giurisprudenza.

3. - L'invocato art. 3 non suffraga la tesi del giudice a quo: la pericolosità, che il legislatore presume nella sua discrezionalità, va messa in relazione con l'accertamento concreto, adeguatamente motivato, dei sufficienti indizi di colpevolezza, siccome questa Corte ha precisato con la citata sentenza n. 64 del 1970; e sta a base dell'obbligatorietà del mandato di cattura in modo del tutto autonomo rispetto a quella che é presupposta, per le misure di sicurezza, dall'art. 204 cod. pen., richiamato nell'ordinanza, e da altre norme dello stesso codice (artt. 203, 216, 219, 222, ecc.). Senza dire che, per queste misure, sono dettati criteri di presunzione di cui la Corte non ha negato la legittimità costituzionale (vedansi le sentenze n. 19 del 1966, n. 68 del 1967, n. 106 del 1972

).

4. - Né soccorre il terzo comma dell'art. 25 Cost., il quale esula dal thema decidendum, attenendo alle misure di sicurezza che "intervengono o successivamente all'espiazione della pena, e cioè quando il reo ha già per il reato commesso soddisfatto il suo debito verso la società, ovvero (a parte le ipotesi di cui agli artt. 49 e 115 cod. pen.) in casi nei quali il fatto, pur essendo preveduto dalla legge come reato, non é punibile" (sentenza n. 27 del 1959).

5. - Sotto il profilo del riferimento all'art. 104 Cost., che sarebbe vulnerato in quanto l'obbligatorietà del mandato di cattura sottrarrebbe al giudice l'apprezzamento sull'esigenza di evitare l'inquinamento delle prove, con violazione della sua indipendenza, la questione é da ritenersi infondata, sia perché la finalità dell'istituto é plurima e non limitata a quella di preservare la genuinità delle prove, sia perché - come obietta l'Avvocatura generale dello Stato - le valutazioni sono state già fatte discrezionalmente dal legislatore (e, aggiungasi, proprio con legge, cui i giudici sono soggetti: art. 101, secondo comma, Cost.).

6. - Secondo l'ordinanza di rimessione, in tesi subordinata, l'art. 25 della legge n. 1041 del 1954 sarebbe, comunque, inficiato di incostituzionalità, per violazione dell'art. 3 e del combinato disposto degli artt. 13 e 27, secondo comma, Cost.: aspetti, questi, che sono stati ripetutamente esaminati dalla Corte, la quale ha dichiarato non fondate le relative questioni (si vedano le sentenze n. 109 del 1968, n. 64 del 1970 e n. 9 del 1972).

La penetrante critica della legge, che riserva eguale trattamento a fattispecie assai diverse, va vagliata in altra sede, dappoiché la valutazione della congruenza tra reato e sanzione penale appartiene alla politica legislativa e non può essere censurata dalla Corte se non quando la sperequazione assume dimensioni tali da non avere una pur minima giustificazione (vedasi la motivazione della sentenza n. 109 del 1968, testé citata): il che non si verifica nella specie.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale sia dell'art. 253 del codice di procedura penale, sia dell'art. 25 della legge 22 ottobre 1954, n. 1041 (disciplina della produzione, del commercio e dell'impiego degli stupefacenti), sollevate dal giudice istruttore del tribunale di Bologna con l'ordinanza in epigrafe, in riferimento agli artt. 3, 13, primo e secondo comma, 25, terzo comma, 27, secondo comma, e 104, primo comma, della Costituzione.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 24 gennaio 1974.

Francesco Paolo BONIFACIO - Giovanni Battista BENEDETTI - Luigi OGGIONI - Angelo DE MARCO - Ercole ROCCHETTI - Enzo CAPALOZZA - Vincenzo Michele TRIMARCHI - Nicola REALE - Paolo ROSSI - Leonetto AMADEI - Giulio GIONFRIDA - Edoardo VOLTERRA - Guido ASTUTI.

Arduino SALUSTRI - Cancelliere

Depositata in cancelleria il 30 gennaio 1974.