SENTENZA N. 150
ANNO 1981
REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo Italiano
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori giudici
Avv. Leonetto AMADEI, Presidente
Dott. Giulio GIONFRIDA
Prof. Edoardo VOLTERRA
Dott. Michele ROSSANO
Prof. Antonino DE STEFANO
Prof. Leopoldo ELIA
Prof. Guglielmo ROEHRSSEN
Avv. Oronzo REALE
Dott. Brunetto BUCCIARELLI DUCCI
Avv. Alberto MALAGUGINI
Prof. Livio PALADIN
Dott. Arnaldo MACCARONE
Prof. Virgilio ANDRIOLI
Prof. Giuseppe FERRARI
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto dal Ministro per la Marina mercantile, in proprio e per delega del Presidente del Consiglio dei ministri, nei confronti del Pretore di Genova, notificato il 20 dicembre 1979, depositato il 7 gennaio 1980 ed iscritto al n. 1 del registro ordinanze 1980, per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato sorto a seguito dell'ordinanza emessa dal detto Pretore il 25 febbraio 1977, concernente il divieto di pesca e commercializzazione, a partire dalle ore 24 del 26 febbraio 1977, su tutto il territorio nazionale, del novellame di qualunque specie marina.
Vista l'ordinanza n. 123 del 2 ottobre 1979, con la quale questa Corte ha dichiarato ammissibile il ricorso per conflitto di attribuzione di cui sopra;
udito nell'udienza pubblica del 4 marzo 1981 il Giudice relatore Livio Paladin;
udito l'avvocato dello Stato Giorgio Azzariti, per il Ministro per la Marina mercantile e per il Presidente del Consiglio dei ministri;
udito l'avv. Alessandro Pizzorusso, per il Pretore di Genova.
Ritenuto in fatto
1. - Mediante un ricorso depositato il 13 aprile 1977, il Ministro per la Marina mercantile, in proprio nonché per delega del Presidente del Consiglio dei ministri, ha sollevato conflitto di attribuzione nei confronti del Pretore di Genova: impugnando l'ordinanza 25 febbraio 1977, con la quale il Pretore ha vietato la pesca e la commercializzazione del novellame di qualunque specie marina su tutto il territorio nazionale, a partire dalle ore 24 del 26 febbraio, ed ha disposto il sequestro del "prodotto eventualmente rinvenuto sul mercato". In effetti, nel ricorso si assume che concorrerebbero in tal caso tutti i requisiti necessari affinché insorga un conflitto tra poteri dello Stato: sia perchè il Ministro ricorrente - da solo o per delega del Presidente del Consiglio dei ministri - disporrebbe della competenza a dichiarare definitivamente la volontà del potere esecutivo; sia perchè sarebbe indiscutibile la legittimazione passiva di un giudice quale il Pretore di Genova; sia perchè il Pretore avrebbe in sostanza annullato il decreto ministeriale 18 gennaio 1977 (con il quale il Ministro per la Marina mercantile autorizzava la pesca del novellame di sarda in alcuni compartimenti marittimi, quanto al periodo 1 febbraio-31 marzo 1977), in violazione delle norme costituzionali che conferirebbero ai giudici ordinari la sola "affermazione dell'ordinamento nel caso concreto, cioè nei confronti di uno o più soggetti determinati".
Con ordinanza n. 85 del 1978, sospesa ogni pronuncia sull'ammissibilità del ricorso, la Corte ha quindi acquisito tutti gli atti relativi al procedimento in cui s'era inserita l'ordinanza impugnata, al fine di accertare se esistessero i presupposti di un conflitto risolvibile dalla Corte stessa. Ne è risultato: che il veterinario capo del Comune di Genova, con rapporto informativo del 17 febbraio 1977, aveva prospettato al Pretore alcuni dubbi circa la legittimità del decreto ministeriale 18 gennaio 1977, sostenendo in particolar modo che la deroga relativa alla pesca del "bianchetto" non sarebbe stata intesa a soddisfare le esigenze indicate dall'art. 32 della legge n. 963 del 1965; che il Pretore di Genova, sulla base di tale rapporto, aveva emesso senz'altro l'ordinanza impugnata, disponendone la notificazione "agli Organi preposti al controllo, ai Veterinari dei mercati ittici e alle persone, enti, associazioni che si dedicano alla pesca ed al commercio del novellame"; che carabinieri del NAS di Genova avevano poi sequestrato, in data 31 marzo 1977, trenta chilogrammi di "bianchetto". presso la trattoria Mentana di Genova; e che il Pretore di Genova aveva conseguentemente inviato, in data 18 aprile 1977, comunicazione giudiziaria a Donati Giuseppe ed a Sesta Mentana, per il reato di cui all'art. 15 della legge n. 963 del 1965.
Con ordinanza n. 123 del 1979, la Corte ha allora statuito - a norma dell'art. 37 della legge n. 87 del 1953 - l'ammissibilità del ricorso in esame. In quella pronuncia si afferma, infatti, che "esiste la materia di un conflitto", dal momento che il ricorrente invoca una serie di norme costituzionali (artt. 101, 102 e 113), per desumerne che non spetterebbe al potere giudiziario, bensì all'esecutivo, l'emanazione di atti che astrattamente autorizzino o vietino la pesca di determinate specie. Inoltre, vi si ribadisce, circa il Pretore di Genova, il criterio per cui "i singoli organi giurisdizionali esplicando le loro funzioni in situazioni di piena indipendenza, costituzionalmente garantita, sono da considerarsi legittimati ... ad essere parti in conflitti di attribuzione" (come già sostenuto nell'ordinanza n. 228 del 1975). Quanto infine alla legittimazione attiva, vi si precisa che nel caso in esame essa spetta al Presidente del Consiglio dei ministri, "previa conforme deliberazione del Consiglio dei ministri"; ma si ammette che tale delibera, non essendovi alcun termine perentorio entro il quale debbano venir proposti i ricorsi per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato, possa anche intervenire in un momento successivo, sanando il vizio del ricorso in questione, a patto di precedere la notificazione di esso.
2. - Entro il prescritto termine di sessanta giorni dalla comunicazione di tale ordinanza al Presidente del Consiglio dei ministri, il Consiglio ha perciò deliberato - in data 27 novembre 1979 - di autorizzare l'Avvocatura dello Stato ad elevare conflitto nei confronti dell'ordinanza 25 febbraio 1977 del Pretore di Genova. Ed il ricorso è stato regolarmente notificato, in data 20 dicembre 1979.
Costituitosi nel presente giudizio, il Pretore ha per altro dedotto di aver pronunciato, in data 28 dicembre 1979, sentenza di proscioglimento degli imputati Donati Giuseppe e Sesia Mentana, dichiarando "non doversi procedere ... in ordine al reato loro ascrittogli perchè estinto per amnistia". Contestualmente, è stato revocato "il decreto di sequestro del novellame di sarda ... emesso nei confronti di ignoti il 25 febbraio 1977": sia perchè l'amnistia concessa con il d.P.R. 4 agosto 1978, n. 413, avrebbe "estinto qualunque altro reato di pesca abusiva del bianchetto"; sia anche perchè la disciplina normativa della pesca marittima sarebbe stata già modificata - sul punto - in virtù del d.P.R. 10 ottobre 1977, n. 922.
Con questo fondamento, la difesa del Pretore di Genova chiede che la Corte dichiari cessata la materia del contendere. In via subordinata, la difesa stessa conclude per l'inammissibilità o per il rigetto del ricorso. Da un lato, infatti, in una memoria depositata il 19 febbraio 1981 si osserva che la delibera adottata il 27 novembre 1979 dal Consiglio dei ministri non farebbe alcun riferimento all'originario ricorso del Ministro per la Marina mercantile; e dunque non potrebbe venir considerata "come un atto di sanatoria" del ricorso medesimo, in quanto proposto da un organo diverso da quello competente. D'altro lato, si richiama "il principio secondo il quale il merito dei provvedimenti giurisdizionali non può essere sindacato altro che da parte del giudice competente a pronunciarsi sull'impugnazione proposta da una parte processuale contro i provvedimenti stessi": donde un sistema di rapporti fra giurisdizione ed amministrazione che risulterebbe "sostanzialmente sconvolto", se in vista di qualunque disapplicazione d'un atto amministrativo ad opera di un giudice la pubblica amministrazione potesse, non essendo "parte in causa", sollevare conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato.
3. - Alla pubblica udienza, entrambe le parti hanno insistito nelle rispettive conclusioni.
Per altro, l'Avvocatura dello Stato ha aggiunto che questa Corte dovrebbe rettificare l'impostazione dell'ordinanza n. 123 del 1979, là dove si afferma che i ricorsi per conflitto di attribuzione, proposti dal Presidente del Consiglio dei ministri, vanno di regola fondati "sopra una previa conforme deliberazione del Consiglio". Anche in tema di conflitto tra poteri dello Stato sarebbe infatti applicabile - per analogia - la norma dettata dall'art. 39, terzo comma, della legge n. 87 del 1953, in tema di conflitti fra Stato e Regione (onde "il ricorso è proposto per lo Stato dal Presidente del Consiglio dei ministri o da un Ministro da lui delegato"). Di conseguenza, risulterebbero radicalmente infondate le eccezioni d'inammissibilità, sollevate dalla parte resistente.
Considerato in diritto
1. - Nell'ordinanza 10 ottobre 1979, n 123, "riservato ogni definitivo giudizio circa l'ammissibilità e circa il merito del ricorso", la Corte ha tuttavia statuito che i conflitti di attribuzione tra i poteri dello Stato non possono venire sollevati né dai singoli Ministri né - di regola - dal solo Presidente del Consiglio: cui spetta bensì di proporre ricorso, ma in base ad una delibera del Consiglio dei ministri. Considerato però che un ricorso del genere non è sottoposto ad alcun termine, fino a quando la Corte non lo abbia dichiarato ammissibile e non ne abbia disposto la notifica (ai sensi del quarto comma dell'art. 37 della legge n. 87 del 1953), la predetta ordinanza ha ritenuto che a sanare il vizio bastasse far precedere la notificazione da una conforme deliberazione consiliare, depositata in Cancelleria entro sessanta giorni dalla comunicazione dell'ordinanza stessa al Presidente del Consiglio; ed è appunto in tal senso - come già si è ricordato in narrativa - che il Consiglio ha deliberato, in data 27 novembre 1979, "di autorizzare l'Avvocatura dello Stato ad elevare conflitto di attribuzione tra i poteri dello Stato nei confronti dell'ordinanza 25 febbraio 1977 del pretore di Genova relativa al divieto di pesca e commercializzazione del novellame di qualunque specie marina".
Ora, la difesa del Pretore di Genova eccepisce, in primo luogo, che la deliberazione prescinderebbe dal precedente ricorso dell'organo monocratico, senza affatto operarne la ratifica; in secondo luogo, che nella deliberazione stessa non si provvederebbe nemmeno a ratificare la delega rilasciata dal Presidente del Consiglio dei ministri al Ministro per la marina mercantile; in terzo luogo, che l'intervento del Consiglio non varrebbe comunque a sanare l'originario difetto di legittimazione del Ministro ricorrente, perchè posto in essere dopo la citata decisione della Corte sull'ammissibilità del ricorso. Ma questi assunti non fanno se non riproporre, in termini diversi, una sola eccezione: contestando, in sostanza, che il Consiglio dei ministri abbia realmente adempiuto a quanto prescritto dalla Corte nell'ordinanza n. 123 del 1979. E tale eccezione si dimostra infondata. É infatti da escludere che il Consiglio abbia deliberato la proposizione di un nuovo ricorso; tanto più che il testo dell'atto notificato al Pretore di Genova è identico a quello già depositato il 13 aprile 1977. Con tutta evidenza, al contrario, è in ordine al ricorso originario che il Consiglio è stato chiamato a pronunciarsi, ai sensi e per gli effetti indicati da questa Corte, immediatamente dopo la comunicazione dell'ordinanza n. 123 del 1979. Pertanto, si deve concludere che quel collegio abbia approvato, in tutti i suoi aspetti, il ricorso sul quale si basa il presente giudizio: sanando con ciò stesso - come la Corte riafferma in questa sede - il vizio relativo alla legittimazione dell'organo ricorrente.
2. - A sua volta, per altro, l'Avvocatura dello Stato eccepisce che, nel decidere definitivamente circa l'ammissibilità del ricorso, la Corte dovrebbe riconoscere la legittimazione attiva del Ministro per la marina mercantile, in quanto delegato dal Presidente del Consiglio, anche in mancanza di una previa conforme deliberazione consiliare: analogamente a quanto disposto dall'art. 39, terzo comma, della legge n. 87 del 1953, in ordine ai conflitti di attribuzione fra Stato e Regioni, che pure coinvolgono l'intero apparato statale e non soltanto il potere esecutivo.
Sennonché la Corte deve confermare, anche in questa parte, l'impostazione dell'ordinanza n. 123 del 1979. Certo è che le attribuzioni dei singoli ministri non assumono uno specifico rilievo costituzionale nei rapporti con gli organi giurisdizionali (se non nelle ipotesi della "facoltà" e delle competenze spettanti al Ministro della giustizia, in base all'art. 107, secondo comma, ed all'art. 110 Cost.), per cui essi non possono autonomamente sollevare conflitti del tipo in esame. E va ripetuto altresì che non basta allo scopo una delega del solo Presidente del Consiglio.
Non gioverebbe richiamare in contrario l'ordinanza n. 49 del 1977, in cui la Corte ha bensì precisato "che dal punto di vista subbiettivo non sorge problema circa la competenza del Presidente del Consiglio dei ministri a dichiarare definitivamente la volontà del potere esecutivo"; ma lo ha fatto in un caso nel quale era stato lo stesso Presidente a rifiutarsi di trasmettere - allegando il segreto politico-militare - un carteggio al giudice istruttore del Tribunale di Torino, che pertanto si era ritenuto leso nelle proprie attribuzioni. Al di fuori di situazioni del genere, che mettono in questione poteri esercitati od esercitabili dal solo Presidente, occorre ribadire che è il Governo a prendere parte - in nome dell'unità di indirizzo politico ed amministrativo, proclamata nel primo comma dell'art. 95 Cost. - ai conflitti tra i poteri dello Stato; e per Governo si intende in questa sede - non diversamente da quanto ha già chiarito la sentenza n. 8 del 1967, in tema di rinvii delle leggi regionali - l'intero Consiglio dei ministri.
Non vi è dunque lo spazio per le interpretazioni od integrazioni analogiche, suggerite dall'Avvocatura dello Stato. Da un lato, non può considerarsi casuale che, nel complesso delle norme attinenti ai ricorsi del Governo dinanzi alla Corte, la previsione dell'art. 39, terzo comma, della legge n. 87 del 1953 sia completamente isolata. D'altro lato, le due situazioni messe a raffronto non sono del tutto consimili od affini, per cui si possa dire che la ratio dell'art. 39, terzo comma, coincida con quella che dovrebbe ispirare l'individuazione dell'organo esecutivo, legittimato a proporre conflitto tra i poteri dello Stato. Al contrario, tale previsione si collega alle peculiarità dei conflitti fra Stato e Regioni, che la Corte ha costantemente risolto mediante la congiunta considerazione degli Statuti speciali (o della Costituzione) e delle relative norme di attuazione (o delle norme di trasferimento delle funzioni statali): con la conseguenza di porre in rilievo le attribuzioni spettanti a particolari ministri o ministeri (o ad altre componenti ben determinate dell'amministrazione dello Stato), in rapporto alle corrispettive attribuzioni regionali. Il che non trova riscontro nei conflitti tra i poteri dello Stato, nei quali l'esecutivo si presenta - di regola - come un potere costituzionalmente accentrato ed unitario, che in definitiva si regge sul principio collegiale.
3. - In via preliminare e principale, la difesa del Pretore di Genova chiede che la Corte dichiari cessata la materia del contendere, per effetto della revoca del provvedimento impugnato, disposta dal Pretore stesso con la sentenza di proscioglimento in sede di istruzione, pronunciata il 28 dicembre 1979 nei confronti di Donati Giuseppe e di Mentana Sesia. Ma la richiesta, cui non aderisce l'Avvocatura dello Stato, dev'essere respinta.
Per quanto la definisca - riduttivamente - quale "decreto di sequestro del novellame di sarda", si può ipotizzare che la predetta sentenza di proscioglimento abbia revocato per intero l'ordinanza del 25 febbraio 1977, vietante "la pesca e la commercializzazione, su tutto il territorio nazionale, del novellame di qualunque specie marina". Ma ciò non significa che siano stati realizzati i presupposti in vista dei quali suoi essere dichiarata - secondo la giurisprudenza di questa Corte - la cessazione della materia del contendere nei conflitti di attribuzione. A partire dalle sentenze n. 74 del 1960 e n. 3 del 1962, la Corte ha chiarito che tale specie di pronunce s'impone quando l'atto denunciato risulti annullato ex tunc, facendo implicitamente venir meno le affermazioni di competenza che avessero dato luogo al conflitto e privando in tal modo il ricorrente dell'originario interesse ad ottenere una decisione sull'appartenenza del potere contestato. A questi criteri continuano ad informarsi le decisioni più recenti, in tema di conflitti di attribuzione fra Stato e Regioni ovvero di giudizi di legittimità costituzionale promossi mediante ricorso, sulle quali cerca invece di basarsi la difesa della parte resistente. In particolar modo, tali sono i motivi ispiratori delle sentenze n. 4 del 1978, n. 101, n. 126 e n. 190 del 1980; tanto più che si tratta di decisioni adottate su concorde richiesta dello Stato e della Regione interessata (o comunque d'intesa fra di essi).
Viceversa, nella ricordata sentenza n. 3 del 1962 si precisava che il puro e semplice "esaurimento degli effetti" dell'atto impugnato non basta a far cessare "il dibattito circa la spettanza del potere". Ma questo è sostanzialmente il caso della revoca in esame, che è stata determinata da ragioni sopravvenute, del tutto indipendenti dalla risoluzione del presente conflitto: ossia - come si legge nella sentenza pretorile del 28 dicembre 1979 - perchè l'amnistia concessa con il d.P.R. n. 413 del 1978 avrebbe estinto non solo il reato ascritto ai due imputati, ma "qualunque altro reato di pesca abusiva del bianchetto che fosse stato commesso nel periodo di tempo cui si riferiva il d.m. 18 gennaio 1977" (ed anche perchè la modificazione dell'art. 126 del regolamento per la pesca marittima disposta con il d.P.R. n. 922 - rectius: n. 920 - del 1977, avrebbe reso "la disciplina normativa della materia ... diversa da quella vigente all'epoca dei fatti").
Ne segue che il Pretore non ha annullato ex tunc l'ordinanza del 25 febbraio 1977, la quale ha pur sempre prodotto una serie di effetti, quanto meno nell'ambito della competenza territoriale di quel giudice. E non vi è stato nemmeno un riconoscimento - sia pure implicito - che l'attribuzione contestata spettasse al potere esecutivo o non potesse comunque venire esercitata dal Pretore: ché anzi nella motivazione della sentenza del 28 dicembre 1979 si accenna espressamente ail'esigenza di riesaminare ex novo la questione, qualora essa "dovesse ripresentarsi", alla stregua della nuova disciplina regolamentare della pesca marittima.
Malgrado la sorte dell'atto impugnato, residua perciò l'interesse del ricorrente ad ottenere quella decisione sulla spettanza delle attribuzioni in contestazione che rappresenta specialmente nei conflitti tra i poteri; dello Stato - l'oggetto principale del giudizio di questa Corte, in base all'art. 38 della legge n. 87 del 1953.
4. - Allo scopo di definire esattamente i termini dell'attuale controversia, occorre anzitutto analizzare i contenuti del provvedimento impugnato, per metterli in rapporto con le attribuzioni allora spettanti al potere esecutivo in materia di pesca marittima.
Nelle premesse dell'ordinanza del 25 febbraio 1977, si precisa dunque che l'art. 15 della legge 14 luglio 1965, n. 963, "vieta la pesca ed il commercio del novellame marino di qualsiasi specie", mentre l'art. 32 della legge medesima consente al Ministro per la marina mercantile di derogare alle vigenti discipline regolamentari della pesca, ma "al solo fine di adeguarla al progresso delle conoscenze scientifiche ed alle applicazioni tecnologiche e favorirne lo sviluppo in determinate zone e per determinate classi"; sicché il decreto ministeriale 18 gennaio 1977, che autorizza la pesca ed il commercio del novellame di sarda, "appare palesemente illegittimo in quanto la pesca del novellame non corrisponde ad alcun adeguamento scientifico, non comporta applicazioni tecnologiche atte a favorirne lo sviluppo", ed anzi produce "una grave depauperazione del patrimonio ittico". Con questo fondamento, "visti gli artt. 219, 357 e 622 c.p.p.", il pretore di Genova "vieta la pesca o la commercializzazione, su tutto il territorio nazionale, del novellame di qualunque specie marina, disponendo altresì che il prodotto eventualmente rinvenuto sul mercato venga sequestrato"; ed ancora, "dispone che il suddetto decreto venga notificato agli Organi preposti al controllo, ai Veterinari dei mercati ittici e alle persone, enti, associazioni che si dedicano alla pesca ed al commercio del novellame".
Ora, la prima indicazione ricavabile da tali dati è nel senso che quello impugnato non si risolve in un provvedimento di sequestro penale. Malgrado il richiamo degli artt. 622 e 337 cod. proc. pen. (quest'ultima, infatti, sembra essere la norma cui realmente allude l'atto in esame, che cita per errore la non pertinente disposizione dell'art. 357), l'ordine di sequestrare "il prodotto eventualmente rinvenuto sul mercato "non rappresenta se non la conseguenza del generale divieto di pescare e commercializzare il novellame: a base del quale dovrebbero pertanto porsi l'art. 219 cod. proc. pen., nonché il primo comma dell'art. 220, per cui la polizia giudiziaria, chiamata ad impedire che i reati "vengano portati a conseguenze ulteriori", è tenuta in tal senso ad eseguire gli ordini del pretore.
Dal dispositivo dell'ordinanza che ha dato luogo al presente conflitto si desume con chiarezza, inoltre, che l'atto stesso non si esaurisce - come invece vorrebbe la difesa del Pretore di Genova - nella disapplicazione del decreto ministeriale 18 gennaio 1977, ai sensi dell'art. 5 dell'allegato E della legge n. 2248 del 1865. Effettivamente, il Pretore non si è limitato a sostenere che la predetta autorizzazione ministeriale alla pesca del novellame di sarda esorbitasse dalla previsione della legge n. 963 del 1965 e fosse dunque illegittima: per poi decretare il sequestro di quel particolare genere di pescato, relativamente al caso sottoposto al suo giudizio. Da un lato, all'atto in cui fu emessa l'ordinanza in contestazione, al Pretore non era pervenuta la notizia di alcuno specifico reato: tali non essendo le "segnalazioni di critica in ordine alla commercializzazione del prodotto in oggetto", cui genericamente accenna il rapporto informativo 17 febbraio 1977 del veterinario capo dei Comune di Genova. D'altro lato, è ancor più determinante la circostanza che, dopo aver negato la legittimità del d.m. 18 gennaio 1977, il Pretore disponga ben oltre l'ambito materiale e territoriale di applicazione dei provvedimento autorizzativo: non solo statuendo nel senso di rendere del tutto inoperante il provvedimento medesimo, ma estendendo il suo divieto al novellame di qualunque specie marina (anziché al solo "bianchetto") e a tutti i compartimenti marittimi (anziché alle sole zone prese in considerazione dal Ministro per la marina mercantile).
Da ciò discende che l'ordinanza impugnata non comporta la vanificazione, senza limiti di tempo, del solo potere ministeriale di autorizzare la pesca del novellame di sarda; ma preclude - alla lettera - l'esercizio dell'autorizzazione (espressamente prevista dall'art. 126 del d.P.R. n. 1639 del 1968) a pescare, detenere, trasportare e commerciare lo stesso novellame di anguilla, come pure le corrispondenti autorizzazioni relative ai "novellame allo stato vivo destinato agli allevamenti o ai ripopolamenti" (di cui all'art. 125 del citato regolamento di esecuzione). Del resto, ciò non si verifica a caso, dal momento che il Pretore fa implicitamente proprie le considerazioni conclusive del rapporto del veterinario capo del Comune di Genova, per cui "l'autorizzazione alla esclusiva pesca di novellame di sarda" costituirebbe "una limitazione assurda ed in pratica inapplicabile"; e dunque non si limita a vietare - a fronte dell'autorizzazione stessa - la pesca del solo "bianchetto", ma coinvolge nel divieto ogni genere di novellame.
Né giova osservare che gli effetti realizzati dall'ordinanza del 25 febbraio 1977 sono stati - verosimilmente - assai meno ampi del dispositivo di essa. Le usurpazioni o le menomazioni d'una attribuzione rivendicata da altro potere dello Stato non dipendono, infatti, dalle sole conseguenze concretamente prodotte dai comportamenti contestati, ma si misurano in vista dell'intrinseca entità delle pretese che abbiano determinato le situazioni di conflitto.
5. - Ciò posto, il ricorso dev'essere accolto.
Giustamente, l'Avvocatura dello Stato osserva che il provvedimento pretorile in questione "appare abnorme nel suo contenuto", nonché "lesivo delle attribuzioni riservate in genere al potere esecutivo ed in particolare al Ministro per la marina mercantile". Nel primo senso, infatti, la Corte di cassazione ha chiarito che l'attivita impeditiva prevista dall'art. 219 cod. proc. pen. non comprende il potere di emettere atti amministrativi riservati dalla legge ad altre autorità; ed ha poi precisato, di recente, che nessun organo giurisdizionale può disporre un sequestro su tutto il territorio nazionale, indipendentemente da un collegamento con reati commessi nella sua circoscrizione.
Ora, se nel caso in esame si trattasse soltanto d'un sequestro decretato da un giudice penale carente di giurisdizione, il vizio del provvedimento (comunque si volesse qualificarlo) potrebbe non assumere altro che un rilievo interno alla giurisdizione stessa: senza cioè concretare la materia di un conflitto di attribuzione fra poteri dello Stato, risolvibile da questa Corte. Sennonché, a determinare una lesione delle attribuzioni costituzionalmente riservate al Governo, sta precisamente il fatto che il Pretore di Genova - attraverso un esercizio preventivo del potere-dovere di impedire che i reati "vengano portati a conseguenze ulteriori" - ha provveduto in via generale ed astratta nella materia della pesca marittima; ed ha espresso a questo modo la pretesa di precludere, in tutte le loro possibili manifestazioni, l'esercizio delle corrispondenti autorizzazioni previste dalla legge n. 963 del 1965, quanto alla pesca ed al commercio del novellame (tanto che lo stesso Governo, per superare l'ostacolo, ha ritenuto di dover modificare l'art. 126 del regolamento di esecuzione approvato con il d.P.R. n. 1639 del 1968, mediante l'articolo unico del d.P.R. n. 920 del 1977).
Provvedimenti come quello impugnato collidono, quindi, con l'ultimo comma dell'art. 113 Cost. Vero è che tale norma, rinviando alla legge la determinazione degli organi giurisdizionali abilitati ad annullare gli atti della pubblica amministrazione, ammette implicitamente che il legislatore possa - nei limiti in cui lo consentono i criteri di riparto fra la giurisdizione ordinaria e la giurisdizione amministrativa, statuiti dal primo comma dell'art. 103 Cost. - attribuire siffatti poteri di annullamento anche al giudice ordinario (si vedano già in tal senso le sentenze n. 32 del 1970 e n. 161 del 1971). Ma, con ciò stesso, l'art. 113 esclude che spetti alle autorità giudiziarie ordinarie di annullare gli atti amministrativi, in mancanza d'una previsione di legge; ed a più forte ragione comporta che tali autorità non possano contrapporsi o sovrapporsi alle autorità amministrative, arrogandosi poteri che per legge vadano esercitati dall'esecutivo, in forme e con procedimenti prefissati: fino al punto di perseguire - come si riscontra nel caso in esame - l'eliminazione dei poteri medesimi
Situazioni del genere non possono risolversi nei tradizionali conflitti fra l'esecutivo e il giudiziario, implicanti le "questioni di giurisdizione" fatte salve dall'art. 37, secondo comma, della legge n. 87 del 1953. Ferme dunque restando - in particolar modo - le pronunce che le vigenti norme processuali demandano in tal campo alla Corte di cassazione, è compito di questa Corte stabilire che al Pretore di Genova non era e non è dato di paralizzare le attribuzioni proprie del Governo in materia di pesca e di commercio del novellame, traendone le conseguenze indicate dall'art. 38 della citata legge n 87.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara che non spetta al Pretore di Genova di vietare la pesca e la commercializzazione, su tutto il territorio nazionale, del novellame di qualunque specie marina; e, di conseguenza, annulla l'ordinanza pretorile n. 1658/77 R.G. del 25 febbraio 1977.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 26 giugno 1981.
Leonetto AMADEI – Giulio GIONFRIDA - Edoardo VOLTERRA - Michele ROSSANO - Antonino DE STEFANO - Leopoldo ELIA - Guglielmo ROEHRSSEN - Oronzo REALE - Brunetto BUCCIARELLI DUCCI - Alberto MALAGUGINI - Livio PALADIN - Arnaldo MACCARONE - Virgilio ANDRIOLI - Giuseppe FERRARI.
Giovanni VITALE - Cancelliere
Depositata in cancelleria il 24 luglio 1981.