Sentenza n. 208 del 1976

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SENTENZA N. 208

 

ANNO 1976

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

 

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori giudici:

 

Prof. Paolo ROSSI, Presidente

 

Dott. Luigi OGGIONI

 

Avv. Angelo DE MARCO

 

Avv. Ercole ROCCHETTI

 

Prof. Enzo CAPALOZZA

 

Prof. Vincenzo Michele TRIMARCHI

 

Prof. Vezio CRISAFULLI

 

Dott. Nicola REALE

 

Avv. Leonetto AMADEI

 

Dott. Giulio GIONFRIDA

 

Prof. Edoardo VOLTERRA

 

Prof. Guido ASTUTI

 

Dott. Michele ROSSANO

 

Prof. Antonino DE STEFANO

 

Prof. Leopoldo ELIA,

 

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 390 del codice di procedura penale, in relazione all'art. 225 dello stesso codice, promosso con ordinanza emessa il 24 febbraio 1975 dal pretore di Torino nel procedimento penale a carico di Canavero Luigi, iscritta al n. 206 del registro ordinanze 1975 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 181 del 9 luglio 1975.

 

Udito nella camera di consiglio del 15 giugno 1976 Il Giudice relatore Enzo Capalozza.

 

Ritenuto in fatto

 

Nel corso del procedimento penale iniziato a seguito di un rapporto dell'ispettore del lavoro, il pretore di Torino, ritenuto che quest'ultimo aveva posto in essere veri e propri atti di polizia giudiziaria senza l'osservanza delle garanzie difensive, con ordinanza 24 febbraio 1975 ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 24, secondo comma, della Costituzione, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 390 del codice di procedura penale, in relazione all'art. 225 dello stesso codice, nella parte in cui non é previsto, per gli atti di istruzione preliminare compiuti, di propria iniziativa, dalla polizia giudiziaria, l'obbligo della comunicazione giudiziaria, che é imposto per i medesimi atti allorché siano effettuati a richiesta del magistrato.

 

Nell'ordinanza si adducono argomenti per indurre questa Corte a modificare il suo indirizzo già espresso nella sentenza n. 29 del 1974, con la quale é stata dichiarata non fondata la questione di legittimità dell'art. 9 della legge 5 dicembre 1969, n. 932 (avviso di procedimento), in riferimento ai medesimi precetti costituzionali.

 

Nel giudizio dinanzi a questa Corte non vi é stata costituzione di parte, né intervento del Presidente del Consiglio dei ministri.

 

Considerato in diritto

 

1. - Questa Corte é chiamata a decidere se violi gli articoli 24, secondo comma, e 3 della Costituzione l'art. 390 del codice di procedura penale, in relazione all'art. 225 dello stesso codice, in quanto non prescrive la previa comunicazione giudiziaria (art. 3 della legge 15 dicembre 1972, n. 773), allorché la polizia giudiziaria proceda, di propria iniziativa, alle sommarie indagini.

 

2. - Secondo il giudice a quo, la mancata comunicazione toglierebbe, almeno in parte, all'inquisito la possibilità di predisporre tempestiva ed idonea difesa, sia personale, sia tecnica; né varrebbero ad eliminare la violazione dell'art. 24, secondo comma, Cost. gli avvisi previsti negli artt. 304 bis, 304 ter e 304 quater - preceduti, com'é noto, dall'invito a nominare un difensore di fiducia e, in difetto, dalla nomina di ufficio; e prescritti pure nell'istruzione sommaria (art. 390 cod. proc. pen.) e nelle operazioni preliminari della polizia giudiziaria (art. 225 cod. proc. pen.).

 

3. - Lo stesso giudice a quo ravvisa, inoltre, la violazione dell'art. 3 Cost. nella diversità di trattamento tra l'inquisito nei cui confronti gli atti siano compiuti dal magistrato, o per sua delega, e l'inquisito nei cui confronti la medesima categoria di atti sia posta in essere, ex art. 225 cod. proc. pen., di propria iniziativa, dalla polizia giudiziaria.

 

4. - La questione non é fondata in riferimento ad entrambe le indicate censure, d'altronde strettamente connesse e compenetrate.

 

5. - Premesso che la comunicazione giudiziaria (già avviso di procedimento: artt. 8 e 9 della legge 5 dicembre 1969, n. 932) é dovuta solo allorquando il giudice abbia ad attendere ad atti istruttori (sentenze n. 197 del 1972, n. 155 del 1973; ordinanza n. 6 del 1974 di questa Corte), é da precisare che il contrasto con l'art. 24, secondo comma, Cost. non sussiste, dappoiché i "rilievi", le "sommarie informazioni testimoniali", il "sommario interrogatorio dell'indiziato", gli "atti di ricognizione, ispezione o confronto", elencati nell'art. 225 cod. proc. pen., sotto il titolo sintetico e comprensivo di "sommarie informazioni", affidati agli ufficiali di polizia giudiziaria "quando vi é urgenza di raccogliere le prove del reato", non sono, di per sé, delle prove, bensì mezzi di ricerca delle prove, che la polizia giudiziaria offre e propone al magistrato: sono, in altre parole, elementi che il magistrato controlla, valuta ed elabora.

 

In sostanza, gli atti preliminari della polizia giudiziaria anticipano il procedimento, ma non sono fase di esso e, pertanto, esulano stricto sensu dagli stati e gradi del procedimento presidiati dal diritto inviolabile della difesa (sentenza n. 197 del 1973 e n. 29 del 1974).

 

E se questa Corte, con la sua sentenza n. 86 del 1968, ha esteso le garanzie proprie dell'istruzione (introdotte con la riforma di cui alla legge 18 giugno 1955, n. 517) agli atti compiuti dalla polizia giudiziaria, ciò non implica che la comunicazione giudiziaria debba andare oltre i confini fissati dalla legge ordinaria.

 

Come la comunicazione giudiziaria non é imposta dalla Costituzione e risponde solo ad esigenze che il legislatore ordinario ha - ritenuto, nella sua discrezionalità, di dover soddisfare in favore di tutti coloro che possono avere interesse nel processo e possono assumere la qualità di parti; così rientra nella discrezionalità del legislatore ordinario determinare la sfera di applicazione della comunicazione stessa.

 

E la sua estraneità agli atti preliminari d'iniziativa della polizia giudiziaria non viola i diritti della difesa, che sono adeguatamente protetti dal combinato disposto degli artt. 225, 304 bis, 304 ter e 304 quater.

 

6. - É esatto il rilievo, contenuto nell'ordinanza di rimessione, che la difesa, nella sua globalità, non si esaurisca in ciò che prevedono gli articoli ora menzionati, ma se si dà ingresso ad atti che richiedono l'avviso al difensore, il prevenuto ne riceve notizia e, con ciò stesso, viene a conoscenza delle indagini in corso a suo carico e può prendere tutte quelle misure difensive che ritiene a lui giovevoli, con particolare riguardo alle memorie e istanze (artt. 145, 304 bis, terzo comma, cod. proc. pen.), ché é logico siano ammissibili ora anche in sede di sommarie informazioni della polizia giudiziaria, ivi compresa la richiesta di audizione di testimoni a discarico.

 

Né va dimenticato che i testimoni vengono intesi dalla polizia giudiziaria senza giuramento (art. 225, primo comma, ultima parte, cod. proc. pen.) e, perciò, con assai scarso peso nel successivo procedimento giudiziale che il magistrato debba eventualmente instaurare.

 

7. - Neppure v'é violazione dell'art. 3 Cost. sia sotto il profilo della diversità di trattamento, sia sotto il profilo della irragionevolezza.

 

Invero, l'escussione di testimoni e gli altri atti elencati nell'art. 304 bis cod. proc. pen. non postulano l'avviso al difensore (sentenza n. 63 del 1972 di questa Corte che, peraltro, ha munito delle garanzie dell'assistenza tecnica le ispezioni giudiziali di cui all'art. 309 cod. proc. pen.), per cui l'inquisito non ne ha preventivamente formale notizia neppure se vengono effettuati ad opera e per impulso del magistrato: cade, di conseguenza, la censura relativa alla diversità di trattamento. La quale cade, altresì, perché, per quanto detto sub paragr. 5, la posizione di chi é direttamente inquisito dalla polizia giudiziaria non é eguale a quella di chi é direttamente o indirettamente inquisito dal magistrato.

 

8. - Infine, l'esclusione della comunicazione giudiziaria non é irragionevole: potrebbe, se mai, apparire abnorme la disposizione che prevedesse l'indiscriminato e generalizzato avvertimento circa le indagini preliminari, sia per la difficoltà di tenere sullo stesso piano dell'inquisito gli altri interessati (cui pure spetta la comunicazione: artt. 8 e 9 della legge 5 dicembre 1969, n. 932; art. 3 della legge 15 dicembre 1972, n. 773), spesso del tutto ignoti, specie all'inizio delle indagini stesse; sia perché la comunicazione (che, per l'ora citato articolo 3 della legge n. 773 del 1972, deve essere dettagliata e circostanziata con indicazione delle disposizioni che si pretendono violate e della data del fatto), sarebbe di remora e di ostacolo, in una fase cosi delicata e discreta, a che la polizia giudiziaria, nell'espletamento delle sue funzioni istituzionali (art. 219 cod. proc. pen.), assicurasse le prove e ne evitasse l'inquinamento.

 

PER QUESTI MOTIVI

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 390 del codice di procedura penale, in relazione all'art. 225 dello stesso codice, sollevata dal pretore di Torino, in riferimento agli artt. 24, secondo comma, e 3 della Costituzione, con l'ordinanza in epigrafe.

 

Così deciso in Roma, in camera di consiglio, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 15 luglio 1976.

 

Paolo ROSSI - Luigi OGGIONI - Angelo DE MARCO - Ercole ROCCHETTI - Enzo CAPALOZZA - Vincenzo Michele TRIMARCHI - Vezio CRISAFULLI - Nicola REALE - Leonetto AMADEI - Giulio GIONFRIDA - Edoardo VOLTERRA - Guido ASTUTI - Michele ROSSANO - Antonino DE STEFANO - Leopoldo ELIA.

 

Arduino SALUSTRI - Cancelliere

 

Depositata in cancelleria il 28 luglio 1976.