SENTENZA N. 86
ANNO 1968
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
Prof. Aldo SANDULLI, Presidente
Dott. Antonio MANCA
Prof. Giuseppe BRANCA
Prof. Michele FRAGALI
Prof. Costantino MORTATI
Prof. Giuseppe CHIARELLI
Dott. Giuseppe VERZÌ
Dott. Giovanni Battista BENEDETTI
Prof. Francesco Paolo BONIFACIO
Dott. Luigi OGGIONI
Dott. Angelo DE MARCO
Avv. Ercole ROCCHETTI
Prof. Enzo CAPALOZZA
Prof. Vincenzo Michele TRIMARCHI,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale degli artt. 225, 232, 392, primo comma, e 395, ultimo comma, del Codice di procedura penale, promossi con tre ordinanze emesse dal giudice istruttore del Tribunale di Bologna, rispettivamente, il 18 novembre 1966, il 30 e 31 gennaio 1967 nei procedimenti penali a carico di Amaducci Mario ed altri, di Calabrò Antonio e di Sparavier Domenico, iscritte ai nn. 24, 84 e 85 del Registro ordinanze 1967 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 77 del 25 marzo 1967, n. 157 del 24 giugno 1967 e n. 144 del 10 giugno 1967.
Udita nella camera di consiglio del 22 maggio 1968 la relazione del Giudice Giuseppe Branca.
Ritenuto in fatto
1. - Nel corso d'un procedimento penale aperto nei confronti del signor Mario Amaducci ed altri, il giudice istruttore del Tribunale di Bologna, con ordinanza 18 novembre 1966, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 395, ultimo comma, del Codice di procedura penale per contrasto con gli artt. 24 e 3 della Costituzione: la norma viola il diritto di difesa e produce disparità di trattamento perché consente che, solo nei tre casi ivi enunciati, si possa procedere in istruttoria al proscioglimento dell'imputato senza interrogatorio e senza contestazione del fatto.
Analoga denuncia é stata avanzata dallo stesso giudice istruttore con le ordinanze del 30 e 31 gennaio 1967 emesse nel corso di procedimenti penali aperti nei confronti dei sigg. Antonio Calabrò e Domenico Sparavier.
2. - In queste due ordinanze sono inoltre denunciati, per contrasto con gli artt. 3 e 24 della Costituzione, gli artt. 225 e 392, primo comma, del Codice di procedura penale e, in una delle due, anche l'art. 232 del Codice di procedura penale.
Secondo le ordinanze, é opinione indiscussa che in generale le disposizioni relative all'istruzione formale siano applicabili alle indagini preliminari; viceversa le tre norme denunciate sono universalmente intese nel senso che a tali indagini non possano estendersi le garanzie di difesa personale e tecnica contenute negli artt. 304-304 quater del Codice di procedura penale; perciò sarebbero illegittime posto che anche gli atti di polizia giudiziaria, compiuti o no dal magistrato, fanno parte degli stati e gradi del procedimento in cui il diritto di difesa é costituzionalmente garantito: tanto più che proprio nella fase preliminare si raccolgono le affermazioni del prevenuto, cioè si pone in essere l'atto più "cruciale" dell'intero procedimento.
Il giudice istruttore di Bologna inoltre si richiama a esperienze di altri Paesi e alla norma costituzionale secondo cui il magistrato dispone direttamente della polizia giudiziaria (articolo 109); ne deriverebbe che, ai fini della difesa nel processo, il "sospettato" dovrebbe sempre potersi difendere ugualmente anche nei confronti dell'autorità di polizia: ciò sia perché dinanzi ad essa si raccolgono elementi probatori con le loro inevitabili ripercussioni nel giudizio, sia in ossequio soprattutto al principio nemo contra se tenetur edere.
3. - Infine le tre norme violerebbero anche l'art. 3, primo comma, della Costituzione: infatti dipenderebbe dalla discrezionalità dell'inquirente la scelta fra la strada delle indagini preliminari e quella dell'istruzione vera e propria, cioè fra un procedimento in cui la difesa personale e tecnica non sarebbe garantita e un procedimento in cui é garantita.
Considerato in diritto
1. - Le tre cause, avendo ad oggetto le stesse questioni di legittimità costituzionale, vengono decise con un 'unica sentenza.
2. - L'art. 232 del Codice di procedura penale é denunciato perché consente al procuratore della Repubblica di procedere a quegli atti di polizia giudiziaria che si svolgono senza le garanzie prevedute, per l'istruzione formale, dagli artt. 304-304 quater del Codice di procedura penale.
Si tratta delle c.d. indagini preliminari che il P. M. avvia subito dopo la notitia criminis e che precedono la vera e propria fase istruttoria, formale o sommaria. Esse, notoriamente, possono limitarsi all'assunzione e alla ricerca di indizi o di sommarie informazioni testimoniali; ma spesso consistono in tipici atti istruttori (interrogatorio ricognizioni ispezioni confronti perquisizioni) che danno luogo a processi verbali direttamente utilizzabili nel corso ulteriore del giudizio.
Questi atti, a parte certa loro sommarietà, non differiscono sostanzialmente da quelli in cui si concreta la vera e propria istruzione e perciò possono condurre il processo su binari dai quali più tardi non sarà facile uscire: basti pensare a ispezioni non facilmente ripetibili, a ricognizioni compiute nell'ansia di individuare rapidamente il colpevole, a interrogatori condotti febbrilmente nel clima d'allarme cagionato dal delitto. Il modo come le indagini vengono eseguite, gli strumenti dei quali é costretto a servirsi l'inquirente, l'assenza di vera collaborazione da parte dell'indiziato (se c'é) e di chi lo assiste possono compromettere irrimediabilmente la sorte del giudizio. Invece, se quegli stessi atti fossero compiuti nel corso dell'istruzione formale, si svolgerebbero quasi tutti alla presenza dei difensori delle parti e i documenti, che ne registrano l'andamento e le conclusioni, compresi i processi verbali degli interrogatori, sarebbero depositati presso la cancelleria a presidio d'un aperto esercizio del diritto di difesa; nel nome del quale un'analoga disciplina accompagna necessariamente anche l'istruzione sommaria in virtù dell'art. 390 del Codice di procedura penale e dopo che questa Corte ha dichiarato l'illegittimità costituzionale parziale dell'art. 392, primo comma, del Codice di procedura penale (sentenza n. 52 del 1965).
La differenza tra la fase dell'istruzione sommaria, che offre al prevenuto (se c'é un prevenuto) le garanzie previste negli artt. 390, 304 bis-304 quater, e quella precedente, che le ignora, non trova adeguata giustificazione dinanzi all'art. 24, secondo comma, della Costituzione: non é giustificata dall'urgenza di raccolta delle prove poiché la norma impugnata si applica anche fuori dei casi che esigono rapidi interventi, mentre a tali casi provvede comunque l'art. 304 ter del Codice di procedura penale; né dalla natura delle operazioni, dato che esse non differiscono da quelle di cui é fatta l'istruttoria; né dalla loro pretesa estraneità al vero e proprio giudizio, ché questo sarebbe un motivo troppo formalistico, per di più contraddetto dalla partecipazione del magistrato a quegli atti.
Anzi proprio il potere, conferito dalla legge al P. M., di compierli nella fase preparatoria invece che durante l'istruzione (il cui inizio molto spesso é difficile da cogliere) accentua l'incostituzionalità della norma denunciata: l'ampiezza del diritto di difesa, che la Costituzione garantisce in ogni stato e grado del procedimento, non può dipendere dalla mera discrezionalità dell'inquirente, portato dalla natura delle sue stesse funzioni ad allungare talvolta la fase preliminare in confronto con quella istruttoria. Il che ha avvertito esattamente l'ordinanza di rinvio. Perciò la denuncia é da accogliere, purché si avverta come, quanto alla nomina del difensore, la norma, che occorre applicare nella fase preparatoria, sia l'art. 390, dettato appunto per l'istruzione condotta dal P. M., e non l'art. 304, relativo a quella del giudice.
3. - L'incostituzionalità parziale dell'art. 232 travolge parzialmente anche un'altra delle norme impugnate, cioè l'art. 225 del Codice di procedura penale che, in certi casi, consente il compimento di veri e propri atti istruttori ad iniziativa degli ufficiali di polizia giudiziaria.
Qui la gravità degli interventi non promossi dal P. M. sembrerebbe giustificata dalle ragioni della flagranza o dell'urgenza, mentre la violazione del diritto di difesa parrebbe evitata dall'obbligo di osservare le norme sull'istruzione formale e di trasmettere gli atti al procuratore della Repubblica; ma la realtà é ben diversa.
La tensione derivante dalla delicatezza delle funzioni, il proposito di scoprire rapidamente i colpevoli, accentuato in soggetti che con l'attività di polizia giudiziaria alternano compiti di polizia di sicurezza, il timore (connaturato a questa stessa situazione) di non reperire o perdere le prove, la difficoltà d'uno stretto controllo da parte del procuratore della Repubblica portano spesso, nell'applicazione pratica, ad allargare il concetto di urgenza o di flagranza: sì che, al di là della previsione legislativa, il diritto di difesa é sacrificato a esigenze che si rivelano talora insussistenti e per le quali, d'altra parte, bastano le norme dell'istruzione, saggiamente conciliando l'esercizio di quel diritto con le assolute necessità del processo, comprese quelle dell'urgenza (art. 304 ter, ultimo comma, e 304 quater, penultimo comma).
Inoltre secondo la norma impugnata la disciplina dell'istruzione formale può estendersi alle indagini preliminari solo "per quanto é possibile", cioè praticamente a discrezione dell'autorità di polizia giudiziaria; tanto é vero che, per le ragioni dell'urgenza e sull'esempio delle operazioni compiute per incarico del P. M., si nega proprio l'applicabilità, a quelle indagini, degli artt. 304 bis, 304 ter e 304 quater del Codice di procedura penale, vale a dire delle norme che sono state introdotte recentemente a garanzia dell'esercizio del diritto di difesa: e non é dubbio che ciò contrasti con l'art. 24 della Costituzione: così come vi contrasta l'affermata inestensibilità, ricavabile a quanto pare dalla stessa disposizione impugnata, del precetto relativo alla nomina del difensore (precetto che tuttavia, in una fase di indagini analoghe a quelle del P. M., é anche in questo caso l'art. 390, non l'art. 304 additato dal giudice a quo).
Per sfuggire alla denuncia di incostituzionalità non varrebbe rilevare che quelle operazioni, compiendosi prima del giudizio, sarebbero fuori da "ogni stato e grado" del processo: all'opposto, a parte che quanto s'é detto sull'attività del P. M. può ripetersi a lortiori per le iniziative della polizia giudiziaria, tali atti non sono estranei al giudizio poiché rientrano in indagini preordinate a una pronuncia penale e si traducono in processi verbali di cui é consentita la lettura nel dibattimento (art. 463 del Cod. proc. penale).
D'altronde la dichiarazione di illegittimità parziale dell'art. 225 non preclude alla polizia giudiziaria lo svolgimento di proprie indagini, ma pone limiti a quelle che si risolvono in veri e propri atti istruttori da utilizzare direttamente nel processo. A questo proposito vedrà il giudice ordinario come la disciplina dell'istruzione e il precetto dell'art. 390 si possano realizzare, soprattutto nell'eventualità che il prevenuto non risponda all'invito di scegliersi un difensore; ad ogni modo, anche se risultasse che di regola occorrerà l'intervento del magistrato, l'inconveniente, a giudicare dall'esperienza d'altri Paesi, non sarebbe d'eccessiva gravità: il diritto di difesa, in un ordinamento che vieta di considerare colpevole chi non abbia subito una condanna definitiva, val bene il sacrificio d'una maggiore speditezza delle indagini.
4. - Data l'illegittimità parziale degli artt. 225 e 232, la denuncia dell'art. 392, primo comma, del Codice di procedura penale, già dichiarato incostituzionale con la sentenza n. 52 del 1965, deve essere respinta poiché la norma, nella sua attuale portata, non impedisce l'estensione delle garanzie degli artt. 304 bis-quater del Codice di procedura penale dell'istruzione sommaria e perciò alle indagini di polizia giudiziaria. Il giudice a quo chiede inoltre che l'art. 392, primo comma, sia dichiarato illegittimo in quanto non rende estensibile all'istruzione sommaria (e perciò nemmeno a quelle indagini) l'art. 304 del Codice di procedura penale; ma anche questa denuncia é manifestamente infondata poiché, dichiarati parzialmente illegittimi gli artt. 225 e 232, l'applicabilità all'istruzione sommaria dell'art. 390 esclude che si possa lamentare l'inestensibilità dell'analogo art. 304.
5. - Le ordinanze denunciano inoltre l'ultimo comma dell'art. 395 del Codice di procedura penale che, fuori dei tre casi ivi indicati, ammetteva il proscioglimento senza interrogatorio e senza la contestazione del fatto: la norma contrasterebbe con l'"interesse costituzionale al giusto processo" e col diritto del prevenuto ad "essere informato" anche se poi lo si proscioglie con formula piena.
La denuncia deve essere respinta con giudizio di manifesta infondatezza: infatti da un canto questa Corte ha già dichiarato l'illegittimità costituzionale della norma là dove non prevedeva la contestazione del fatto e l'interrogatorio dell'imputato ai fini del proscioglimento con formula diversa da quelle che "il fatto non sussiste" o che "non é stato commesso dall'imputato" (sentenza n. 151 del 1967); dall'altro l'"interesse al giusto procedimento" é sufficientemente tutelato con le garanzie offerte dagli artt. 304 bis-304 quater del Codice di procedura penale: l'interrogatorio e la contestazione del fatto si richiedono invece perché il prevenuto sia messo in condizione di difendersi allo scopo di evitare un proscioglimento che, nei riflessi morali e sociali, potrebbe essergli dannoso (sentenza citata); danno non ipotizzabile nel caso in cui si riconosca che il fatto non sussiste o non é stato commesso da lui.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara l'illegittimità costituzionale degli artt. 225 e 232 del Codice di procedura penale nella parte in cui rendono possibile, nelle indagini di polizia giudiziaria ivi previste, il compimento di atti istruttori senza l'applicazione degli artt. 390, 304 bis, ter, quater del Codice di procedura penale;
dichiara inoltre la manifesta infondatezza delle questioni sollevate, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, con le ordinanze del giudice istruttore del Tribunale di Bologna citate in epigrafe, sulla legittimità costituzionale degli artt. 392, primo comma, e 395, ultimo comma, del Codice di procedura penale.
Così deciso in Roma, in camera di consiglio, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 2 luglio 1968.
Aldo SANDULLI - Antonio MANCA - Giuseppe BRANCA - Michele FRAGALI - Costantino MORTATI - Giuseppe CHIARELLI - Giuseppe VERZÌ - Giovanni Battista BENEDETTI - Francesco Paolo BONIFACIO - Luigi OGGIONI - Angelo DE MARCO - Ercole ROCCHETTI - Enzo CAPALOZZA - Vincenzo Michele TRIMARCHI
Depositata in cancelleria il 5 luglio 1968.