Sentenza n. 29 del 1974
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SENTENZA N. 29

ANNO 1974

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLIO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Prof. Francesco Paolo BONIFACIO

Avv. Giovanni Battista BENEDETTI

Dott. Luigi OGGIONI

Dott. Angelo DE MARCO

Avv. Ercole ROCCHETTI

Prof. Enzo CAPALOZZA

Prof. Vincenzo Michele TRIMARCHI

Dott. Nicola REALE

Prof. Paolo ROSSI

Avv. Leonetto AMADEI

Dott. Giulio GIONFRIDA

Prof. Edoardo VOLTERRA

Prof. Guido ASTUTI

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale dell'art. 390 del codice di procedura penale, modificato dall'art. 9 della legge 5 dicembre 1969, n. 932, promossi con ordinanze emesse il 26 aprile 1971 e il 12 ottobre 1972 dal pretore di Treviso nei procedimenti penali rispettivamente a carico di Migotto Luciano ed altro e di Campiello Gerardo, iscritte al n. 295 del registro ordinanze 1971 ed al n. 5 del registro ordinanze 1973 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 259 del 13 ottobre 1971 e n. 55 del 28 febbraio 1973.

Visto l'atto d'intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 5 dicembre 1973 il Giudice relatore Luigi Oggioni;

udito il sostituto avvocato generale dello Stato Giorgio Azzariti, per il Presidente del Consiglio dei ministri.

 

Ritenuto in fatto

 

Con ordinanza emessa il 26 aprile 1971 dal pretore di Treviso, nel procedimento penale a carico di Migotto Luciano e Hirsch Roberto, imputati di tentato furto, tratti a giudizio sulla base dell'interrogatorio reso in Questura dal vigile notturno denunziante senza il compimento di attività istruttoria da parte del pretore, é stata sollevata questione di legittimità costituzionale dell'art. 390 del codice di procedura penale, così come modificato dall'art. 9 della legge 5 dicembre 1969, n. 932, nella parte in cui, escludendo l'obbligatorietà dell'avviso di procedimento e dell'invito a nominare il difensore nel caso di atti di istruzione preliminare compiuti dalla polizia giudiziaria di propria iniziativa, si porrebbe in contrasto con gli artt. 3 e 24 della Costituzione.

Il giudice a quo, a sostegno della censura, prospetta la disparità ingiustificata di trattamento e la conseguente menomazione del diritto di difesa che si verificherebbe così a danno degli indiziati nei cui confronti la polizia indaga di propria iniziativa, rispetto a quelli sottoposti ad indagini su impulso dell'autorità giudiziaria, ex artt. 231 e 232 c.p.p., in favore dei quali, invece, la norma impugnata prevederebbe l'obbligo dell'avviso di procedimento; avviso che, sempre secondo l'ordinanza, ben potrebbe il magistrato emettere anche in relazione alle indagini svolte di iniziativa della polizia, al momento della ricezione del rapporto relativo.

Quanto alla rilevanza della questione, il pretore osserva espressamente che la decisione influirebbe sul giudizio principale, dovendosi, in caso di accoglimento, dichiarare la nullità del decreto di citazione ex art. 189 cod. proc. pen., conseguente alla nullità dell'istruzione preliminare di polizia.

Analoga questione é stata sollevata con successiva ordinanza del 12 ottobre 1972 emessa dallo stesso pretore nel procedimento penale a carico di Campiello Gerardo, imputato di lesioni volontarie, tratto anch'egli in giudizio senza istruttoria da parte del pretore, sulla base del rapporto di polizia giudiziaria e degli allegati verbali di sommario interrogatorio di alcuni testimoni sentiti dalla polizia a norma dell'art. 219 del codice di procedura penale.

Nell'ordinanza il pretore precisa che il dubbio di costituzionalità riguarderebbe quei casi, come quello in esame, in cui l'indiziato non abbia comunque ricevuto notizia del procedimento in epoca antecedente l'emissione del decreto di citazione a giudizio.

La disparità di trattamento, già illustrata, apparirebbe poi ancor più evidente in base al raffronto con l'istruzione formale, in relazione alla quale non esisterebbe distinzione fra atti di istruzione preliminare di iniziativa della polizia giudiziaria o su impulso del giudice e atti di istruzione giudiziale, per cui l'avviso di procedimento sarebbe dovuto, in quella sede, sempre ed in ogni caso, così dovendosi appunto rettamente interpretare la disposizione dell'art. 304 cod. proc. pen., modificato dall'art. 8 legge 5 dicembre 1969, n. 932, secondo cui il giudice istruttore é obbligato ad effettuare l'avviso di procedimento "sin dal primo atto di istruzione" ed indipendentemente cioè da qualsiasi distinzione quoad processum fra istruzione giudiziale e non giudiziale.

Il pretore insiste poi nell'illustrare la portata della lesione del diritto di difesa che conseguirebbe alla mancata comunicazione dell'avviso di procedimento, ravvisabile nell'esclusione della possibilità da parte dell'indiziato di esplicare attività idonea ad ottenere la valutazione degli indizi emersi a suo carico in base alle indagini di polizia, avvalendosi, ad esempio, della facoltà di presentare istanze o memorie a norma dell'art. 145 cod. proc. pen., o di rendere spontanee dichiarazioni al magistrato, a norma dell'art. 250 del codice di procedura penale.

Il pretore, infine, nel dare atto di avere già sollevato questione analoga con la precedente ordinanza, spiega di avere ritenuto opportuno riproporre la questione perché essendosi, nel caso precedente, l'attività di iniziativa della polizia giudiziaria limitata al solo interrogatorio del denunciante, si potrebbe dubitare che, con ciò solo, si sia concretato un vero e proprio atto preistruttorio e non piuttosto una pura e semplice notitia criminis, come tale inidonea a costituire, sempre secondo il pretore, "presupposto di fatto" tale da "giustificare e consentire l'esame della questione".

Le ordinanze, notificate e comunicate come per legge, sono state pubblicate, la prima sulla Gazzetta Ufficiale n. 259 del 13 ottobre 1972, e la seconda sulla Gazzetta Ufficiale n. 55 del 28 febbraio 1973.

Nel giudizio introdotto con l'ordinanza 26 aprile 1971 si é costituito il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, che ha depositato le proprie deduzioni il 22 giugno 1971.

L'Avvocatura osserva che l'istituto dell'avviso di procedimento, introdotto con gli artt. 8 e 9 della legge 5 dicembre 1969, n. 932, effettivamente non si applica per le sommarie informazioni della polizia giudiziaria o quando il pretore emette decreto di citazione a giudizio senza compiere alcun atto istruttorio. Dette limitazioni, peraltro, diversamente da quanto sostenuto dal giudice a quo non contrasterebbero con i menzionati precetti costituzionali. Invero la prima ipotesi di esclusione sarebbe giustificata perché la comunicazione dell'avviso presupporrebbe in ogni caso un'imputazione, ancorché fluida, la quale non potrebbe essere formulata che dall'autorità giudiziaria. L'omissione dell'avviso nel caso in cui il pretore emette decreto di citazione a giudizio senza compiere atti istruttori sarebbe poi altrettanto giustificata, perché il decreto stesso assolverebbe la funzione informativa dell'avviso, rendendolo quindi superfluo.

 

Considerato in diritto

 

1. - Le due ordinanze, di analogo contenuto, propongono la stessa questione di legittimità costituzionale e pertanto i relativi giudizi, congiuntamente discussi nella pubblica udienza, possono essere riuniti e decisi con unica sentenza.

2. - Il giudice a quo sostanzialmente lamenta che la norma impugnata non prevede, nei confronti del magistrato, l'obbligo di effettuare la comunicazione giudiziaria e di rivolgere all'indiziato l'invito a nominare un difensore nei casi in cui il magistrato stesso intenda procedere alla emissione del decreto di citazione in giudizio sulla sola base delle risultanze delle indagini preliminari svolte dalla polizia giudiziaria di propria iniziativa. Egli afferma che tale omissione, nelle ipotesi in cui, come appunto nei giudizi penali sopra ricordati, l'indiziato non sia stato direttamente inquisito a norma dell'art. 225 c.p.p. e non sia stato quindi informato, comunque, dell'esistenza del procedimento, concreterebbe una discriminazione in danno di coloro contro i quali si procede in tal guisa ed a favore di coloro che si trovano, invece, ad essere assoggettati ad indagini di polizia giudiziaria su specifica delega o ordine del magistrato, a norma degli artt. 231 e 232 c.p.p., ipotesi questa che comporta, al contrario, l'obbligo della comunicazione e dell'invito predetti.

Tale discriminazione si risolverebbe, altresì, in una lesione del diritto di difesa per la menomazione che esso subirebbe per effetto della lamentata lacuna della legge, e della conseguente impossibilità dell'indiziato di esplicare a proprio favore attività difensiva prima del dibattimento.

3. - La questione, nei termini accennati, é infondata.

Questa Corte, con la sentenza n. 197 del 1972 ha già ritenuto che la disciplina censurata, la quale si rende applicabile al procedimento pretorile per effetto della norma oggi impugnata, in relazione all'art. 389, ultimo comma, c.p.p. regola l'obbligo della comunicazione giudiziaria e dell'invito a nominare un difensore nel senso che il magistrato vi é tenuto solo nel caso in cui intenda compiere egli stesso un atto di istruzione, sia direttamente, sia a mezzo della polizia giudiziaria.

Con la stessa sentenza la Corte ha, peraltro, posto in evidenza che esiste una differenza fra i procedimenti che, secondo la normativa impugnata, richiedono la comunicazione giudiziaria, e quelli che invece non la richiedono, cioè tra i procedimenti per cui si compiono atti istruttori da parte del magistrato e quelli per i quali viene invece disposto direttamente il dibattimento. Trattasi invero di una differenza che trova logico riscontro nelle caratteristiche peculiari delle singole vicende giudiziarie le quali, attraverso le varie modalità che le accompagnano dal loro sorgere al momento in cui ne viene investito il magistrato, postulano, all'esito del prudente esame di quest'ultimo, la scelta dell'una o dell'altra via processuale.

Ed é, d'altra parte, evidente che la denunziata differente regolamentazione dell'obbligo della comunicazione giudiziaria é logicamente collegata alla descritta diversità delle situazioni considerate, il che, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, é sufficiente per escludere la violazione del principio costituzionale di eguaglianza.

Come ricordato con la menzionata sentenza, questa Corte ha altresì ripetutamente escluso il contrasto con la garanzia del diritto di difesa, della citazione a giudizio senza istruttoria predibattimentale da parte del magistrato, ed ha espressamente affermato al riguardo che il diritto di difesa non si spinge, al livello costituzionale, sino alla tutela della pur giustificata aspirazione di scongiurare lo strepitus fori, negando che la presentazione spontanea prevista dall'art. 250 c.p.p. ed il deposito di memorie, istanze e proposte di cui agli artt. 145 e 306 c.p.p., attribuiscano all'inquisito il diritto di evitare il giudizio. Ciò in aderenza alla dizione dell'art. 24 Cost. che pone la garanzia della difesa in ogni "stato" del procedimento e "pertanto non può ritenersi operante in uno stato (o fase: la fase istruttoria) che nel procedimento manchi". Ed appunto in base a tale orientamento questa Corte ha fin da allora sostanzialmente escluso che la comunicazione giudiziaria, nella fase processuale in esame, risponda ad una esigenza di tutela necessaria del diritto di difesa, e che la sua omissione contrasti quindi con l'art. 24 della Costituzione.

Può qui aggiungersi che queste conclusioni si armonizzano con le statuizioni contenute nella sentenza n. 86 del 1968 secondo cui vanno estese agli atti preistruttori che la polizia giudiziaria compia nei confronti di un indiziato, le garanzie difensive predisposte dagli artt. 304 bis, ter e quater c.p.p. per i corrispondenti atti istruttori. Invero, i motivi di esclusione sopra esposti sono collegati alla portata della comunicazione giudiziaria, intesa quale istituto di favore ma non assolutamente indispensabile per la garanzia del diritto di difesa in rapporto alla procedura in esame, che é compatibile, comunque, di per sé, con la garanzia stessa. La quale, d'altra parte, proprio in base ai principi stabiliti con la menzionata sentenza n. 86 del 1968, cui il legislatore si é ispirato dettando le modificazioni al c.p.p. di cui alla legge 5 dicembre 1969, n. 932, é salvaguardata anche nel periodo delle indagini preliminari di polizia giudiziaria.

Non sussiste pertanto neppure la denunziata violazione dell'art. 24, secondo comma, Cost. e la questione va conseguentemente dichiarata infondata.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 390 del codice di procedura penale, modificato dall'art. 9 della legge 5 dicembre 1969, n. 932, questione sollevata con le ordinanze di cui in epigrafe, in relazione agli artt. 3 e 24 della Costituzione.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 5 febbraio 1974.

 

Francesco Paolo BONIFACIO - Giovanni Battista BENEDETTI - Luigi OGGIONI - Angelo DE MARCO - Ercole ROCCHETTI - Enzo CAPALOZZA - Vincenzo Michele TRIMARCHI - Nicola REALE - Paolo ROSSI - Leonetto AMADEI - Giulio GIONFRIDA - Edoardo VOLTERRA - Guido ASTUTI.

Arduino SALUSTRI - Cancelliere

 

Depositata in cancelleria il 13 febbraio 1974.