Sentenza n. 197 del 1972

 CONSULTA ONLINE 

 SENTENZA N. 197

ANNO 1972

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori:

Prof. Costantino MORTATI, Presidente

Dott. Giuseppe VERZÌ

Dott. Giovanni Battista BENEDETTI

Prof. Francesco Paolo BONIFACIO

Dott. Luigi OGGIONI

Dott. Angelo DE MARCO

Avv. Ercole ROCCHETTI

Prof. Enzo CAPALOZZA

Prof. Vincenzo Michele TRIMARCHI

Prof. Vezio CRISAFULLI

Dott. Nicola REALE

Prof. Paolo ROSSI

Avv. Leonetto AMADEI

Prof. Giulio GIONFRIDA, Giudici,

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 8 della legge 5 dicembre 1969, n. 932 (che ha sostituito l'art. 304 del codice di procedura penale), promosso con ordinanza emessa il 1 aprile 1970 dal pretore di Livorno nel procedimento penale a carico di Vivo Angelo, iscritta al n. 332 del registro ordinanze 1970 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 299 del 25 novembre 1970.

Visto l'atto d'intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 22 novembre 1972 il Giudice relatore Enzo Capalozza;

udito il sostituto avvocato generale dello Stato Michle Savarese, per il Presidente del Consiglio dei ministri.

 

Ritenuto in fatto

 

Con ordinanza del 1 aprile 1970, emessa nel corso di un processo a carico d’Angelo Vivo, tratto a giudizio senza il previo compimento d’attività istruttoria anche di carattere preliminare, il pretore di Livorno ha posto in dubbio, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, la legittimità costituzionale dell'art. 8 della legge 5 dicembre 1969, n. 932, "in quanto consente al pretore di non comunicare avviso di procedimento se egli non ritenga di esperire attività istruttoria".

Secondo il giudice a quo, l'avviso di procedimento sarebbe da porre anzitutto in relazione con le facoltà difensive riconosciute dal codice di procedura penale, in via generale alle parti private dall'art. 145 (facoltà delle parti di produrre memorie e istanze) e, in ispecie, alla persona offesa dal reato ed all'imputato, rispettivamente dagli artt. 306 (deposito di memorie, indicazione d’elementi di prova, proposte d’indagini) e 250 (presentazione spontanea): prima ancora di adempiere la sua finalità con l'atto istruttorio in vista del quale deve essere comunicato, l'avviso accrescerebbe la possibilità di una più tempestiva tutela di ciascun interessato - tra cui la persona offesa sebbene non ancora costituita parte civile - in aderenza al precetto dell'art. 24 della Costituzione.

Invece, la norma denunziata, limitando l'obbligo della comunicazione soltanto all'ipotesi che sia esperita un'attività istruttoria, violerebbe tale precetto e, pregiudicando i diritti e gli interessi della parte privata, ivi compresi quelli di difesa dell'imputato, potrebbe arrecare, altresì, un turbamento al principio d’eguaglianza dei cittadini (art. 3 Cost.) nei procedimenti dinanzi al pretore che l'attività istruttoria non ha obbligo di espletare.

Nel giudizio é intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, con atto depositato il 16 novembre 1970, nel quale si chiede che la questione sia dichiarata non fondata.

Nel contestare la pretesa violazione dell'art. 24 Cost., l'Avvocatura osserva che l'avviso di procedimento, la cui mancata previsione nel sistema processuale, prima della legge de quo, non era mai stata sospettata d’illegittimità costituzionale, mira a porre le parti private in grado di far valere tempestivamente le loro ragioni, sempreché il procedimento si svolga per fasi diverse. Lo stesso avviso, per altro, non adempirebbe ad alcuna funzione concreta e si risolverebbe in una vuota formalità quando sia omessa la fase istruttoria prima del dibattimento.

L'Avvocatura richiama, infine, la giurisprudenza di questa Corte, che ha dichiarato infondate le censure ripetutamente avanzate a proposito della facoltà attribuita al pretore di prescindere dalla previa istruttoria; e deduce, quanto all'art. 3 Cost., che la stessa differenza obiettiva tra i procedimenti che richiedono e quelli che non richiedono l'avviso giustificherebbe la diversità di disciplina delle due vicende processuali.

 

Considerato in diritto

 

1. - L'ordinanza di rimessione ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 8 della legge 5 dicembre 1969, n. 932 - con riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione -, in quanto esso consente al pretore di non comunicare avviso di procedimento, se ritenga di non dover esperire attività istruttoria.

2. - Deve premettersi che l'art. 8 della legge n. 932 del 1969, dettato per l'istruzione formale, si applica anche al procedimento pretorile per il tramite dell'art. 389, ultimo comma, cod. proc. pen., stante il disposto del successivo art. 9, che ha esteso la sfera d’applicazione del (nuovo) istituto all'istruzione sommaria.

3. - La questione non é fondata.

La norma impugnata prescrive che sin dal primo atto d’istruzione sia comunicato avviso di procedimento all'imputato ed a coloro che possono avere interesse nel processo come parti private; pone, cioé, la linea di demarcazione dell'obbligo nell'espletamento del primo atto d’istruzione (eseguito direttamente o a mezzo d’ufficiali di polizia giudiziaria: art. 398, primo comma, cod. proc. pen.), nel senso che il giudice, solo se questo voglia compiere, deve disporre la previa comunicazione.

É esatta l'affermazione del pretore di Livorno che la ratio legis della normativa introdotta dalla "novella" n. 932 del 1969 sia di assicurare all'imputato e alle altre parti private più ampie e concrete garanzie di soddisfacimento dei vari interessi contrastanti; ed é esatta, altresì, l'affermazione che tale ratio sia ispirata all'art. 24 della Costituzione.

Ha, per altro, osservato giustamente l'Avvocatura generale dello Stato che, prima dell'entrata in vigore della legge n. 932, non si era mai denunziata, per violazione del diritto d’azione e di difesa, la mancata previsione, nel nostro sistema processuale, dell'avviso di procedimento: una violazione che avrebbe - in ipotesi e per assurdo - riguardato, per diffusa situazione d’incostituzionalità, l'intiero sistema, dal momento dell'esercizio dell'azione penale.

Appare coerente con la giurisprudenza costituzionale - che, pur avendo inciso profondamente nelle strutture del codice di rito per l'ampliamento e il rafforzamento del diritto di difesa, ha ripetutamente riconosciuto la legittimità della citazione a giudizio senza istruttoria predibattimentale, del rito direttissimo e della condanna per decreto penale - escludere che la norma impugnata vulneri l'art. 24 della Costituzione.

Proprio da questo orientamento consegue la legittimità della norma, tanto più in quanto né il diritto di difesa si spinge, a livello costituzionale, sino alla tutela della pur giustificata aspirazione di scongiurare lo strepitus fori, né la presentazione spontanea dell'art. 250 cod. proc. pen. e il deposito di memorie, istanze e proposte degli artt. 145 e 306 dello stesso codice (che sono, del resto, solo modalità accessorie ed integrative, cioé niente affatto essenziali e caratterizzanti dell'azione e della difesa di cui all'art. 24 Cost.) attribuiscono all'inquisito il diritto di evitare il giudizio (o la condanna per decreto) e alla parte offesa o danneggiata quello di far valere, nel processo penale, le proprie ragioni; né alcuna discriminazione viene operata tra l'imputato e quanti siano civilmente interessati al processo.

Soluzione, questa, che trova conforto nella stessa dizione dell'art. 24, secondo comma, Cost., che prevede la garanzia della difesa in ogni stato (e grado) del procedimento: non può, invero, ritenersi obbligatoria quella garanzia per uno stato (o fase: la fase istruttoria) che nel procedimento manchi.

4. - Né l'art. 8 della legge confligge col principio di eguaglianza dell'art. 3 Cost., esistendo una differenza obiettiva tra i procedimenti che richiedono l'avviso e quelli che non lo richiedono, cioé tra i procedimenti per cui si compiono atti istruttori e quelli per i quali viene disposto direttamente il dibattimento. Si tratta di una differenza che giustifica, appunto, la diversità di trattamento.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 8 della legge 5 dicembre 1969, n. 932 (modificazioni al codice di procedura penale in merito alle indagini preliminari, al diritto di difesa, all'avviso di procedimento ed alla nomina del difensore), sollevata dal pretore di Livorno in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 14 dicembre 1972.

Costantino MORTATI - Enzo CAPALOZZA

Depositata in cancelleria il 29 dicembre 1972.