SENTENZA N. 104
ANNO 1974
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
Prof. Francesco Paolo BONIFACIO
Dott. Giuseppe VERZÌ
Avv. Giovanni Battista BENEDETTI
Dott. Angelo DE MARCO
Avv. Ercole ROCCHETTI
Prof. Enzo CAPALOZZA
Prof. Vincenzo Michele TRIMARCHI
Prof. Vezio CRISAFULLI
Dott. Nicola REALE
Prof. Paolo ROSSI
Avv. Leonetto AMADEI
Dott. Giulio GIONFRIDA
Prof. Edoardo VOLTERRA
Prof. Guido ASTUTI
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 42, settimo comma, e 45 della legge 4 luglio 1967, n. 580 (Disciplina per la lavorazione ed il commercio dei cereali, degli sfarinati, del pane e delle paste alimentari), promosso con ordinanza emessa il 13 marzo 1972 dal pretore di Milano nel procedimento penale a carico di Alghisi Agostino ed altri, iscritta al n. 199 del registro ordinanze 1972 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 165 del 28 giugno 1972.
Visto l'atto d'intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell'udienza pubblica del 6 marzo 1974 il Giudice relatore Enzo Capalozza;
udito il sostituto avvocato generale dello Stato Renato Carafa, per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
Su invito del pretore di Milano, il nucleo antisofisticazioni dei carabinieri prelevava, presso panificatori di quella città, campioni di pane e di sfarinati e li inviava, per l'analisi, al locale Ufficio di igiene e profilassi, il quale, per i prodotti non risultati corrispondenti ai requisiti di legge, inviava alcune denunzie direttamente al pretore e non al medico provinciale.
Anziché trasmettere gli atti al medico provinciale, per l'ulteriore corso della procedura ai sensi degli artt. 42, settimo comma, e 45 della legge 4 luglio 1967, n. 580, il pretore, con ordinanza 13 marzo 1972, sollevava questione di legittimità costituzionale di tali disposizioni, perché esse, in violazione dell'art. 112 Cost., lederebbero il principio della titolarità dell'azione penale propria del pubblico ministero, e quindi del pretore per i reati di sua competenza, attribuendo il potere-dovere di acquisire e vagliare la notitia criminis ad un organo amministrativo.
Afferma il pretore che, nel sistema della legge n. 580 del 1967, il pubblico ministero prende visione degli atti a seguito della denuncia del medico provinciale, che é prevista - all'infuori del caso di mancato pagamento della pena pecuniaria da parte del trasgressore - solo per l'ipotesi che egli ravvisi nel fatto gli estremi dei delitti indicati nel citato art. 42, settimo comma, restando esclusi i casi di altri delitti, fra i quali, quello, assai frequente, della frode in commercio (art. 515 codice penale).
Nel giudizio dinanzi a questa Corte si é costituito il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, con atto di intervento depositato il 28 giugno 1972, nel quale chiede che la questione sia dichiarata inammissibile o, comunque, infondata.
L'Avvocatura deduce che il pretore, avendo agito nella veste di pubblico ministero, non aveva la potestà di promuovere il giudizio di legittimità costituzionale; e, nel merito, richiama la giurisprudenza di questa Corte, secondo la quale il precetto contenuto nell'art. 112 Cost. non esclude condizioni per il promovimento o la prosecuzione dell'azione penale, anche in considerazione degli interessi pubblicistici perseguiti dalla pubblica Amministrazione.
Considerato in diritto
1. - Il pretore di Milano ha sottoposto a questa Corte la seguente questione: se gli artt. 42, settimo comma, e 45 della legge 4 luglio 1967, n. 580, sulla disciplina per la lavorazione ed il commercio dei cereali, degli sfarinati, del pane e delle paste alimentari, importino violazione dell'art. 112 della Costituzione, per essere stato interposto il medico provinciale tra il capo del laboratorio di analisi, al quale sia risultata l'infrazione, ed il titolare dell'obbligo di promovimento dell'azione penale: é ad esso medico provinciale che - secondo il sistema della citata legge - va trasmessa la denunzia; ed egli deve, a sua volta, ritrasmetterla all'autorità giudiziaria, allorché sia stato omesso il pagamento della somma stabilita in via amministrativa a carico del trasgressore (art. 45) e allorché si tratti di delitti previsti dai capi II e III del titolo VI del libro II del codice penale (art. 42, settimo comma).
Lamenta il pretore che, così, non sarebbero perseguiti fatti delittuosi, quali la frode in commercio, prevista e punita dall'art. 515 del codice penale.
2. - Occorre rispondere preliminarmente all'interrogativo se il giudice a quo, cui la denunzia é direttamente pervenuta, abbia sollevato la questione in veste di pubblico ministero, nel quale caso essa sarebbe inammissibile.
É bensì vero che la valutazione della rilevanza e della non manifesta infondatezza spetta all'autorità giurisdizionale chiamata a pronunziarsi sulla causa e che il pubblico ministero non può sostituirvisi, non avendo il potere di emettere provvedimenti decisori (vedansi le sentenze n. 109 del 1962, n. 40 del 1963 e n. 183 del 1971 di questa Corte), ma é altrettanto vero che le due funzioni di pubblico ministero e di giudice sono unificate nel pretore, al quale spetta ogni iniziativa nel processo.
Né é consentito di presumere che, avendo il giudice a quo rimesso in limine gli atti alla Corte costituzionale, lo abbia fatto come pubblico ministero e non come giudice, cioè prima e non dopo di aver esercitato l'azione penale, sia perché questa non si concreta in un atto formale, sia perché il pretore, per i reati di sua competenza, qualora non proceda ad atti di istruzione, non ha l'obbligo di contestare il fatto (sentenze n. 46 del 1967 e n. 16 del 1970 della Corte), né di disporre l'avviso di procedimento - ora comunicazione giudiziaria (sentenza n. 197 del 1972), né di interrogare l'indiziato o l'imputato, fuori dei casi previsti nell'art. 398, ultimo comma, del codice di procedura penale (sentenza n. 33 del 1966).
3. - La censura mossa agli artt. 42, settimo comma, e 45 della legge n. 580 del 1967, in riferimento all'art. 112 Cost., non é fondata.
Infatti, é giurisprudenza di questa Corte che il principio dell'obbligatorietà dell'azione penale non esclude che l'ordinamento stabilisca determinate condizioni per il promovimento o la prosecuzione di essa, anche in considerazione degli interessi pubblici perseguiti dall'Amministrazione dello Stato (sentenza n. 105 del 1967).
Del resto, la conciliazione in via amministrativa é un istituto tradizionalmente e largamente accolto nel nostro diritto, specie in materie di carattere tecnico (persino per delitti punibili con la sola pena della multa: art. 141 della legge 25 settembre 1940, n. 1424; art. 110 della legge 17 luglio 1942, n. 907, modificato dall'art. 10 della legge 3 gennaio 1951, n. 27), quale é anche quella in esame (per le garanzie difensive in tema di revisione, vedasi la sentenza n. 146 del 1970).
D'altra parte, la ipotizzabilità, rispetto alla legge in esame, di una frode in commercio (art. 515 cod. pen.) é, per vero, assai remota, sol che si tengano presenti la materialità del reato (consegna di una cosa mobile per un'altra, ovvero di una cosa mobile, per origine, provenienza, qualità o quantità, diversa da quella richiesta o pattuita) e i limiti di applicazione della legge n. 580 del 1967, quali risultano dalla sua dettagliata normativa e dalla minuta disciplina delle modalità esecutive delle infrazioni; e quel reato é, per di più, del tutto estraneo alla regolamentazione della conciliazione in via amministrativa del denunziato art. 45, che attiene alle fattispecie contravvenzionali, punibili con la sola pena dell'ammenda (di per sé già ammesse all'oblazione: art. 162 cod. pen.), elencate nel precedente art. 44, il quale, altresì, fa salvi in modo espresso i casi in cui i fatti costituiscano più gravi reati.
Il che sta a significare che ogniqualvolta pervenga al pubblico ministero o al pretore la notizia di reati diversi da quelli previsti e descritti nella legge n. 580 del 1967, l'azione penale può (e deve) essere liberamente ed obbligatoriamente promossa.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 42, settimo comma, e 45 della legge 4 luglio 1967, n. 580 (Disciplina per la lavorazione ed il commercio dei cereali, degli sfarinati, del pane e delle paste alimentari), sollevata, in riferimento all'art. 112 della Costituzione, dal pretore di Milano con l'ordinanza in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 4 aprile 1974.
Francesco Paolo BONIFACIO - Giuseppe VERZÌ- Giovanni Battista BENEDETTI - Angelo DE MARCO - Ercole ROCCHETTI - Enzo CAPALOZZA - Vincenzo Michele TRIMARCHI - Vezio CRISAFULLI - Nicola REALE - Paolo ROSSI - Leonetto AMADEI - Giulio GIONFRIDA - Edoardo VOLTERRA - Guido ASTUTI.
Arduino SALUSTRI - Cancelliere
Depositata in cancelleria il 18 aprile 1974.